Il sigillo d'amore/La rivale
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LA RIVALE.
Quindici giorni precisi dopo quello delle nozze la sposina si accorse per la prima volta che il marito la tradiva.
Erano andati in montagna, forse per vedere più da vicino la famosa luna di miele; non in una delle solite pensioni dove le nuove coppie sono invidiate, spiate e spesso prese in giro, ma in casa di una vecchia paesana che era stata un tempo a servizio presso la famiglia dello sposo: tutta la casetta, in mezzo a un fitto bosco di castagni, era a loro disposizione.
Luogo più bello non poteva inventarsi per due giovani sposi innamorati come gatti: e come felini essi passavano la giornata fra i cespugli, nell’ombra odorosa di funghi, tra i fiori lisci e dorati che brillavano come ceri nella penombra del bosco e non partecipavano all’amore che li sfiorava con la mano della sposa.
La vecchia preparava i pasti che erano quasi sempre a base di funghi, squisiti ed eccitanti. A mezzogiorno gli sposi mangiavano nella cucina fumosa, che sembrava un’antica cucina fiamminga: di sera preferivano le camerette al piano superiore perchè la cucina si riempiva di figure rosse e nere, di maschiacci giovani e vecchi, marito, figli e parenti della vecchia, tutti rudi boscaiuoli che tornavano dalla selva dove tutto il giorno avevano tagliato e fatto rotolare lungo il torrente grossi tronchi d’alberi, e dopo aver mangiato come lupi, bevevano, e fumavano la pipa.
L’odore della pipa, sopratutto, dispiaceva alla sposa; la raggiungeva fino alla camera nuziale e le dava nausea.
Anche lo sposo non fumava che sigarette profumate, e pochissimo del resto. Nella seconda settimana di matrimonio cominciò però a fumare un po’ di più: evidentemente cominciava ad annoiarsi: e la sposa, col suo finissimo intuito di donna innamorata, se ne accorse.
La sua prima gelosia fu dunque per la sigaretta del marito, sebbene anche lei, riguardo a fumare sigarette, non scherzasse.
Inoltre il tempo si fece brutto: e allora, aspettando che il tempo tornasse bello, i due sposini, quando non avevano di meglio da fare, fumavano e fumavano. Il guaio era che nei giorni di pioggia forte gli uomini non andavano a lavorare: riempivano la cucina con le loro figure tumultuose e col fumo delle loro pipe: qualcuno saliva anche nelle camere di sopra, e allora tutta la casa tremava per quei passi di gigante ferrato. I due sposi quindi dovevano restarsene nella camera nuziale, quasi tutta occupata dal letto che pareva proprio un monumento, e il fumare e il resto non bastava a dissipare la loro noia.
Anzi avevano deciso di partire, se il tempo continuava così.
Una sera la sposa andò a letto presto. Era raffreddata e la vecchia le preparò una bevanda calda, di fiori secchi misteriosi, che realmente le diede subito un senso di benessere e di sonnolenza dolce come quello provocato dall’aspirina.
Allora lei stessa pregò lo sposo di andar fuori, nel paese, in una pensione dove si faceva della musica, o dove lui voleva.
Egli preferì scendere nella cucina della vecchia, fra quei bei tipi di montanari, alle spalle dei quali voleva divertirsi.
*
Tornò su tutto pregno dell’odore delle loro pipe. La sposina dormiva e sudava, e non si accorse che vagamente della cosa: sognò, cioè, che anche lei fumava la pipa.
I guai cominciarono la sera dopo, quando egli le consigliò di andarsene ancora a letto presto e di prendere la bevanda sonnifera, e lui tornò giù di sua spontanea iniziativa.
Nel suo dormiveglia ella pensava che razza di divertimento poteva procurare la compagnia di quei zoticoni puzzolenti di vino e di cattivo tabacco, dei quali, del resto, non si capiva il linguaggio ostrogoto.
Ma la mattina dopo vide, con una prima puntura di gelosia, una bellissima donna la cui presenza pareva illuminasse la nera cucina. Era vestita con un costume quasi zingaresco, rosso e viola, con catenelle, medaglie di rame, spilloni raggianti sulla torre dei capelli d’un nero verdognolo. Anche gli occhi erano verdi, nel viso bianchissimo, d’una trasparenza straordinaria. Alta e forte, sembrava infine una degna fata di quelle selve ancora primordiali, nata coi funghi e le orchidee selvatiche in mezzo ai borri muschiosi.
Era una nuora della vecchia, venuta da un paese più giù sotto la montagna.
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Arrivata la sera lo sposo rinnovò alla sposa l’invito di andarsene a letto.
Ella si ribellò.
— Se tu vuoi andare vai, — disse con una voce sorda che non pareva la sua. — Io sto su alzata a leggere.
Rifiutò anche la bevanda che la faceva dormire: aveva l’impressione che la vecchia e lo sposo fossero d’intesa contro di lei per un’azione malefica.
Egli rimase. Rimase, ma era di un umore tetro, col viso cattivo e gli occhi stralunati. Nel silenzio si sentiva di tanto in tanto come uno sbattere arrabbiato di ali: erano le pagine dei giornali che gli sposi leggevano.
Infine risonò anche una specie di piccolo ruggito: era l’uomo che sbadigliava.
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Questa melanconia durò per qualche sera: di giorno, poi, egli trovava sempre scuse per allontanarsi dalla sposa, ed ella osservava con crescente angoscia che ciò avveniva quando la donna vestita di rosso e viola non era a casa. Un giorno, infine, si accorse con orrore che egli, al ritorno da queste gite misteriose, puzzava tutto di tabacco da pipa, odore del quale erano impregnati i capelli e le vesti della presunta rivale.
*
Allora ella decise di fare una prova.
Venuta la sera, richiese la bevanda e finse di andarsene a letto, accusando una recrudescenza del suo raffreddore. Poi consigliò al marito di uscire; ed egli uscì come un gatto al quale dopo una lunga reclusione in casa, viene aperta la porta su un giardino pieno di altri gatti.
Ella palpitava e sudava.
Piano piano si alzò, si rivestì, scese scalza al buio la scaletta di legno, penetrò nella cameretta terrena sulla quale dava l’uscio della cucina.
L’uscio era spalancato: e ciò ch'ella vide non lo dimenticò mai più.
I boscaiuoli avevano finito di cenare e sulla tavola si vedevano ancora le stoviglie grigie fiorite d’azzurro, con avanzi di polenta e di sugo rossiccio, e i boccali per il vino compagni alle stoviglie.
La vecchia e la nuora s’erano già alzate di tavola: in mezzo agli uomini, giovani e vecchi, rossi e neri, chi barbuto chi calvo, tutti col bicchiere in mano e la pipa in bocca, come Gesù fra gli apostoli sedeva il biondo e pallido sposo, e anche lui, con gli occhi nuotanti in un languore di voluttà, fumava una corta pipa di radica in colore delle castagne.