Il romanzo d'un maestro (De Amicis)/Il secondo anno a Camina/II
Questo testo è stato riletto e controllato. |
◄ | Il secondo anno a Camina - I | Il secondo anno a Camina - III | ► |
LA METAMORFOSI DELLA “LETTERATA„.
Ripreso com’era dalla sua antica acrimonia contro i signori, il giovane ebbe un senso di compiacenza maligna quando riseppe che la maestra Gamelli, ostinata, nonostante quello che era accaduto, a cacciarsi in mezzo alla gente, continuava a asciugarsi delle umiliazioni. Da ultimo essa aveva inasprito anche di più le signore del paese mettendosi a frequentare di preferenza, e con ostentazione, le villeggianti torinesi, come per far capire che queste, meglio educate e più colte di quelle, erano una compagnia più degna di lei. Ma le sue nemiche del villaggio non tardarono ad attaccare il prurito della canzonatura anche alle nuove venute, le quali, istruite da loro e tirate dall’esempio, presero, esse pure, a spassarsi della maestrina, notando e ripetendo dietro le sue spalle, e fino in presenza sua, le sue parole scelte, le sue occhiate al cielo, la sua pronunzia d’accatto. Ma siccome facevan questo con più garbo di quell’altre, la maestra, benchè fatta sospettosa dall’esperienza, non se n’accorse pei primi giorni. Le fu però strappata la benda dagli occhi, d’un sol colpo, a un desinare in campagna, al quale era stata invitata. Degli studenti, che fin dai primi giorni le discorrevano in versi martelliani, per celia, ma fingendo una sincera ammirazione per i piccoli saggi ch’ella dava ogni tanto del suo ingegno, l’avevano istigata a scrivere una poesia d’occasione, da leggere in fin di desinare, per coronare la festa. Essa non seppe resistere alla tentazione, scrisse la poesia e la lesse. Non era punto una poesia ridicola; ma agli uditori, che eran predisposti a ridere dagli scherzi soliti, s’apprese il contagio dell’ilarità con una prontezza e una violenza tale, che anche i più seri e i più rispettosi, dopo aver fatto sforzi erculei fino a metà della lettura, scoppiarono.
Fu una scenaccia. Quasi tutti, vergognati, s’affrettarono a chieder scusa alla maestra, a inventar spiegazioni della cosa: lei e la poesia non c’entravano; avevan riso della faccia buffa d’un di loro, che fingeva di capire e non capiva nulla; c’eran tre o quattro un po’ brilli; e via dicendo. Ma la povera ragazza rimase come fulminata. Sononchè le forze della vanità letteraria sono infinite; e in grazia a queste ella riprese animo in pochi giorni; aiutata anche dalla buona fortuna che in quella brutta congiuntura della poesia le fece trovare una vera amica. Era la moglie d’un pezzo grosso delle strade ferrate, una bella trentenne piena di brio e di spirito, che recitava qualche volta nel teatro di Camina, mirabilmente; che dipingeva, cantava, dava anima e grazia a tutte le feste, unendo all’altre rare qualità una semplicità di modi rarissima e uno squisito buon senso; una signora brillante, nella quale l’abitudine dell’allegra vita non aveva punto scemato una bontà affettuosa e pietosa, che la spingeva a capo di tutte le imprese benefiche e la faceva accorrer la prima all’annunzio d’ogni disgrazia. Indignata della scena fatta alla maestra, e mossa da una pietà gentile per lei, essa prese da quel momento a proteggerla e a dimostrarle una viva benevolenza. Il villaggio vide con stupore nascere in pochi giorni fra di loro una intrinsichezza di vecchie amiche, che sarebbe parsa ostentata dal lato della signora, se non fosse stato assurdo il pensare ch’ella potesse fare qualche cosa al mondo altro che per impulso spontaneo del cuore. Che cosa ella dicesse a quattr’occhi alla sua giovine protetta, nessuno lo potè sapere: il più probabile è che col tatto fine e con la franchezza amabile riuscisse a far comprendere alla ragazza i leggieri difetti che guastavano le buone doti della sua mente e del suo cuore, e a levarle di dosso ella stessa, senza offenderla nè farla soffrire, quella vernice d’affettazione poetica e professorale che attirava gli epigrammi ed era stata la causa di tutti i suoi dispiaceri. Il fatto è che, dopo un breve periodo in cui la maestra si mostrò pensierosa e schiva della gente, tutti osservarono in lei un gran mutamento: non più discorsi pedanteschi, non più fiori poetici, nè pateticume; cessata pure la ricercatezza che aveva nella pronunzia; scomparso fin anche dal vestire quel non so che di singolare, che tradiva il concetto ch’ella aveva di sè stessa; e all’antico sussiego, succeduta una naturalezza, un’affabilità nuova, quasi umile, ma senza bassezza, anche con le signore che l’avevano offesa, come s’ella si fosse in tutto ricreduta, e avesse capito che doveva fare come una seconda entrata a Camina, e ricominciare un’altra esistenza.
Questo mutamento produsse un effetto eccellente, perchè era come una confessione ch’essa faceva d’aver imparato qualche cosa nel villaggio, e d’essere stata costretta ad abbassar le armi della letteratura. La protezione della bella signora compì l’opera, la società fece festa alla convertita, e questa ne parve quasi felice, e l’allegrezza che dimostrò nel respirare quell’aria nuova, finì di riconciliarle anche i più ostili. Accettò di recitare coi dilettanti una parte modestissima in una commedia di Gherardi del Testa, e piacque. Si rifiutò di scrivere un prologo in versi per una rappresentazione straordinaria, e piacque anche di più. E d’allora in poi fu invitata, desiderata anzi a tutte le gite o a tutti i convegni. E v’andò, e vi si divertì a due doppi di prima. Ma poi che si fu messa per questa china, il suo mutamento continuò di là dal limite a cui si sarebbe dovuto arrestare. Avendo rinunziato all’ambizione di primeggiare per l’indegno e per la coltura, ne veniva, logicamente, ch’ella cercasse delle soddisfazioni d’amor proprio d’un altro genere; e fu così. Caduta la letterata, s’alzò la donna. Cominciò con non respinger più, come prima usava, con l’austerità d’una vergine musa, quella specie di corteggiamento giocoso che si fa a tutte le signore nelle feste di campagna; non si mostrò più offesa delle dichiarazioni di cattivo gusto; non voltò più il capo in là, con un senso di ripugnanza, all’udire i discorsi liberi che si tenevano alla fine delle ribotte. Sorrise dapprima di nascosto, poi sorrise palesemente, poi rise forte come molt’altre a tutti quei grossi scherzi a doppio senso che si dicevano e facevano dagli uomini eccitati dal vino, correndo in brigata pei giardini o su per le viottole dei colli, e che a cagione della sua antica fama di sentimentalità poetica, tutti dicevano e facevano a lei in particolar modo, come se ci provassero un gusto più raffinato che con l’altre. A poco a poco ella si abituò a ritorni dalle scampagnate a braccetto, alle strette di mano tirate in lungo, ai piccoli contatti cercati, alle dichiarazioni d’amore fatte in viso, con quel tuono tra il serio e il faceto, che toglie alla donna il diritto d’offendersi, e lascia libera la via della ritirata, e di concessione in concessione, giunse fino a tollerare che si scherzasse davanti a lei su quel tale accidente seguíto alla sua alunna, che l’aveva tanto addolorata nei primi giorni. Dopo due mesi di quella vita, era un’altra: il villaggio l’aveva domata e rimpastata a modo suo. Il maestro Ratti, stupito, la vide varie volte, verso sera, ritornare dalle feste dei vicini santuari in mezzo a una brigata di signore e di signori, che portavan dei fiori sui cappelli e canterellavano: una sera, appoggiata al braccio d’un ufficiale, un’altra volta, fra due studenti, rossa essa pure nel viso e ridente, con una rosa sul petto. E come nei modi fatti più sciolti, nel viso colorito dall’aria aperta, negli occhi animati dai nuovi pensieri essa aveva preso qualche cosa di più femminile, un che di molle e di caldo che prima le mancava, il giovine, preparato all’amore dalla tristezza della solitudine, cominciò a sentirsi spinto verso di lei, e non dalla simpatia soltanto, ma da una certa gelosia degli uomini che la circondavano, dal sospetto ch’essa avesse già trascorso assai più oltre di quello che era, da quella curiosità del mistero che ispiran sempre le persone in cui è seguíto un mutamento. Era stato creduto un tempo il suo amante, e questa idea lo stimolava. Non aveva occasione di parlarle, e questa difficoltà gli era un’esca di più. La maestra Pedani era assente, e anche il non aver quel confronto voleva dire. La sua passioncella si rinfocò. Egli l’adocchiava di sfuggita, la seguitava qualche volta di lontano, era impaziente che i villeggianti partissero, per avvicinarsele. Gli pareva che sarebbe stato facile, sgombrato il villaggio dei concorrenti, di ridestare in lei quel sentimento di benevolenza che l’aveva spinta mesi prima a domandargli consiglio. E quando venne l’autunno, e il villaggio rientrò nella sua quiete abituale, una sera di luna, in cui sentiva più che mai il peso della sua solitudine e il calore dei suoi ventisette anni, mise insieme una dichiarazione d’amore in endecasillabi, che le presentò il dì dopo, dicendole: — Lei un giorno ha chiesto il mio parere sopra un suo sonetto; mi dia il suo su questi sciolti. — La sera stessa, rivedendolo, la maestra gli mise un foglio nelle mani. Egli credette che fosse la risposta. Restò di sasso quando essa gli disse freddamente: — Si riprenda i suoi versi. Non mi piace più la poesia: m’ha dato troppi dispiaceri. Mi faccia il favore di parlarmi in prosa, quando avrà qualche cosa da dirmi.... che riguardi la scuola.