Il romanzo d'un maestro (De Amicis)/Il secondo anno a Camina/I
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GIORNATE GRIGIE.
Quando il maestro ritornò a Camina v’era già un buon numero di villeggianti, e correva ogni giorno una nuova notizia, che faceva il giro del paese: — Ieri è arrivata la famiglia Borelli. — Stasera arriva la signora dell’ingegnere. — S’è già visto passar le casse di casa Fiorini. — Ma con la stagione della villeggiatura parve che cominciasse la disdetta per lui. Una delle ultime arrivate fu la famiglia d’un professore dell’Università di Genova, che lo chiamò a far ripetizione a un suo figliuolo, stato rimandato agli esami di licenza dalle scuole elementari. In quella casa c’era una bella signorina di diciassette anni, la quale sotto un visetto pallido e sentimentale nascondeva una civetteria feroce, una smania irrefrenabile di tirare al bersaglio con gli occhi sul primo capitato, così per esercizio e per spasso, seducendo anche la vittima con un suo vezzo particolare, che era di trattenere il fiato ogni tanto e poi di sprigionarlo con forza, come se una profonda commozione le sollevasse il cuore. Costei si mise subito a fare alle occhiate e a finger delle subitanee palpitazioni col giovine maestro, il quale, senza cadere in alcuna illusione, ne provò una viva compiacenza d’amor proprio, pensando che se anche non era che un capriccio quello di lei, rivelava però un’anima gentile, che comprendeva la nobiltà della sua professione e non disprezzava la modestia del suo stato. Ed egli rispose, con discrezione, all’invito, e il gioco delle pupille e delle mezze parole durò fin che arrivarono vari giovani professori, amici della famiglia, e un cugino tenente dei bersaglieri, il quale scoperse la corrispondenza oculare. Un giorno, facendo la sua lezione, il maestro gli sentì dir forte nella stanza accanto: — Come mai tu, una ragazza piena d’ingegno e d’istruzione, ritorni al sillabario? — Dopo quel giorno la ragazza non lo guardò più. Ed egli ne fu offeso nell’anima, e ruminò quelle parole per intere giornate, domandandosi mille volte perchè la signorina dovesse trovare tanta differenza di nobiltà tra l’ufficio d’educare il cuore ai fanciulli e quello di comandare fianco destro ai soldati. Doveva dunque persuadersi per forza che la sua professione era tenuta così bassa, da parer quasi vergognosa e ridicola? Quel nuovo colpo vibrato alla sua alterezza di maestro da una donna che l’aveva prima accarezzato appunto in quel sentimento, gli riuscì così inaspettato e doloroso, ch’egli cessò con un pretesto di dar le lezioni, e ritornò nella sua solitudine.
Ma quell’anno, per suo dispetto, era venuto a Camina un diluvio di villeggianti, presi da un furore non mai veduto di passeggiate e di feste, e quello spettacolo dello scialo signorile, il rumore delle carrozze e delle voci allegre di signore e di signori ch’egli sentiva per la strada la sera tardi, mentre studiava nella sua camera, lo irritava più che mai nello stato d’animo in cui allora si trovava, gli faceva sbattere i libri nel muro, gli risollevava nel cuore l’odio del danaro, la rabbia del proletario umiliato, tutti i desideri di distruzione violenta dell’ordine attuale di cose, che l’avevan tormentato tanti anni prima, a Garasco, e quando s’era creduto offeso dalla signora Ribbani, a Altarana. Ma non trovò in tali pensieri maggior sollievo di quello che ci avesse trovato altre volte; oltre che ora lo scoraggiava l’apparente solidità dell’edifizio sociale, e quasi lo induceva a credere che lo stato presente del mondo fosse una fatalità, o una giustizia triste e crudele, di cui gli sfuggissero le cagioni, e alla quale fosse insensato di ribellarsi. Sconfortato da tutto ciò, smise di studiare, rifiutò vari inviti per scampagnate, e stette tanti giorni senza uscir di casa, che il parroco, sospettando qualche cosa, l’andò a trovare una sera per scuoterlo. — Bisogna saper conciliare, — gli disse col solito gioco delle dita — studio e ricreazione, ricreazione e studio. — Ma al vederlo triste davvero e quasi sul punto di confidarsi a lui in un impeto di effusione filiale, se la battè subito subito, dicendogli qualche buona parola di sull’uscio, dalla scala e dalla strada.
Non riuscì a cavarlo di casa che don Bruna, conducendolo una mattina a far colazione con lui e i suoi nipoti alla borgata del Salice. La vista di quel pretino arzillo che correva per l’orto a prender peperoni e lattuga, uscendo in esclamazioni gioiose sulla bellezza della giornata, e i cento aneddoti ameni, pieni di bonarietà ingenua, che raccontò davanti alla sua mensa semplice e pulita, lo ricrearono un poco; ed anche si riconfortò alquanto paragonandosi a quella povera nipote contadina, brutta, malata d’occhi dal troppo studiare, e sempre avvilita del fiasco fatto agli esami; alla quale egli, maestro patentato e provetto, pareva un essere privilegiato, che avesse toccato l’apice d’ogni ambizione. Nondimeno, egli non aveva il riso solito e don Bruna se n’accorse. — Caro Ratti, — gli disse a un tratto, — lei ha una pena.
— Ah! lo so io! — entrò a dire la serva, sghignazzando. — Il signor maestro è malinconico perchè è lontana la bella maestra.
Alludeva alla maestra Pedani, ch’era in vacanza a Torino. Il Ratti le avrebbe dato un pugno sui denti. E stava per rispondere; ma fu distratto da quel viso di chierico del nipote, che a quell’accenno alla Pedani s’era fatto rosso scarlatto fin nel bianco degli occhi; e stette pensando da che cosa potesse nascere quel turbamento, se da una passionaccia lasciva di seminarista vizioso ed ipocrita, o da un amor bello e ardente d’uomo casto, che riuscisse a vincersi, ma non a dissimulare.
Ma don Bruna ritornò paternamente sul discorso, accompagnando il maestro a braccetto per un tratto di strada: — Ah! il mio Ratti è malinconico! Questo non mi piace. Non voglio, non voglio vedere. Un giovanotto par suo, che ha dei così buoni sentimenti, che ha una bella carriera davanti a sè, e tanti e tanti ragazzi da educare, che lo aspettano.... Ah! non va, non va. Bisogna proprio che ci mettiamo al latino. — E non lo lasciò che dopo averlo costretto a sorridere, promettendogli di capitar una mattina a casa sua a cominciar le lezioni col Nuovo metodo, che dava le regole in rima.