Il romanzo d'un maestro (De Amicis)/Garasco/XII
Questo testo è stato riletto e controllato. |
◄ | Garasco - XI | Garasco - XIII | ► |
IL FURORE DEI PREMI.
Tra queste distrazioni e il lavoro egli si trovò quasi impensatamente sotto gli esami. Benchè dovesse andarsene dal paese, pure avrebbe voluto preparar bene gli alunni alla prova. Ma a Garasco aveva molta più importanza degli esami la distribuzione dei premi, che si soleva fare ai primi d’agosto, e a cui il sindaco festaiuolo si dedicava con grande entusiasmo, facendovi venir gente da tutti i dintorni. In quest’occasione egli non badava a denaro, e pagava di borsa e di persona ad un tempo, come in un affare d’onore. Un mese avanti gli alunni erano esercitati a cantare in coro dall’organista, che faceva anche il rivenditore di libri, di carta e di telerie, e maestri e maestre dovevano far studiare a memoria e insegnar a declamare poesie, dialoghi e complimenti per lo più di fabbrica municipale, che erano un frastorno grande per loro e per la scolaresca. Ma il peggio era questo, che assegnando il sindaco per premi libri legati, quadretti, fazzoletti, buccoline e altre cose belle e vistose come voleva l’indole sua, si accendeva ogni anno nei parenti, anche fra i benestanti, un tal furore d’avere i figliuoli premiati, che, un mese prima degli esami, facevano una ressa intorno ai maestri, da non lasciarli più bene avere, e a cose finite, eran guai. Se un maestro premiava il figliuolo d’un signore, gli davan di venduto; se premiava il figliuolo d’un povero, lo trattavan di repubblicano e socialista. Se cadevan per caso due premi in una famiglia, uno a un maschio, l’altro a una femmina, gridavano tutti alla partigianeria e alla corruzione, come se fosse impossibile che due ragazzi in una sola famiglia meritassero il premio. In quei giorni gli insegnanti erano veri martiri. Chi li guardava in cagnesco, chi toglieva loro il saluto, da per tutto eran tartassati come se facessero un manifesto mercimonio di quei quattro gingilli. E il nostro esordiente n’ebbe la parte sua. Dei parenti, che non s’erano mai fatti vedere in tutto il corso dell’anno, ebbero la faccia di invitarlo a desinare tre giorni prima degli esami. Padri e madri degli alunni ch’egli aveva prescelti per recitar le poesie, e che andava esercitando nella scuola, si presentavano a lui per dirgli che, se non assicurava loro un premio, avrebbero proibito ai ragazzi di recitare “perchè„ dicevano “già che il ragazzo s’espone a fare una cattiva figura, e che, se riesce bene, abbellisce la festa e diverte i signori, è più che giusto ch’egli riceva un compenso„ come se si fosse trattato di artisti di cartello. Di più, un’autorità raccomandava l’uno, un’altra l’altro; tutti avevano un protetto. Il giovine maestro ebbe persino la consolazione di legger delle minaccie scritte col carbone sui muri, e dei nomi di piccoli candidati che si proponevano da sè stessi. Ci fu anche una donna che andò a pregarlo di dare un premio al suo figliuolo perchè era stato tormentato per un mese da un patereccio. Ma egli era tranquillamente risoluto a decidere secondo coscienza, a costo anche di scatenare un inferno. La sola cosa che lo faceva uscire dai gangheri era il vedere come fosse assolutamente fiato perduto il tentar di far intendere la ragione a chi gli veniva a proporre di commettere degli spropositi e delle ingiustizie.