Il romanzo d'un maestro (De Amicis)/Camina/XV

L’ispettore scienziato

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Camina - XIV I martiri della ginnastica
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L’ISPETTORE SCIENZIATO.


Di questi suoi colleghi il Ratti rivide una parte in occasione della visita dell’ispettore, il quale venne a Camina verso la fin di maggio, quando le scuole eran già mezze vuote. Il primo a saperne l’arrivo fu il maestro Reale, che da vari giorni, durante le lezioni, mandava due dei suoi monelli in vedetta sulla strada provinciale, un mezzo miglio fuor del paese. Ma il Ratti se lo vide entrare in scuola all’impensata, accompagnato dal parroco. Era un pezzo d’uomo, con un gran cappello di finto Panama e un enorme panciotto bianco; un viso raccolto e mobile ad un tempo di pensatore disordinato; di quegli uomini di talento e colti, ma dannosi o inutili, che pensando e operando sorvolano continuamente al proprio ufficio, come pezzi d’artiglieria puntati male che mandano la palla al di sopra del bersaglio. Era per il Ratti una varietà nuova dell’ispettore; la quale lo attirò più dell’altre, senza recargli, per questo, maggior vantaggio. Entrò, guardò, interrogò il maestro con modi affabili, e stette a sentire un po’ di lezione; fece egli stesso delle domande agli alunni; ma dal modo come si grattava il mento e girava gli occhi per aria, si capiva che prestava poca attenzione. A un tratto interruppe un alunno che aveva interrogato ed espose al maestro una sua teoria.

Egli era contrario all’idea della più parte dei pedagogisti, che si dovessero coltivare le facoltà dello spirito in maniera da impedir che l’una o più d’una prevalessero alle altre. Egli credeva che il maestro dovesse cercare in ogni ragazzo la facoltà dominante, la quale, più o men celata, esiste in tutti, e dedicarsi con ogni mezzo a fortificarla e a svolgerla, a farne nascere l’ambizione, la fiducia in sè, l’impulso allo studio, servendosi così di quella, come d’una leva, per innalzar tutte le altre. E seguitò un buon tratto, confutando di passaggio la teoria dell’eguaglianza delle intelligenze, del Jacotot. [p. 128 modifica]

Poi interruppe daccapo l’alunno per consigliare al maestro la lettura d’un libro uscito di fresco: Spencer e Schopenhauer nell’educazione; chiaro, sintetico, che gli sarebbe riuscito molto utile per dare un buon indirizzo all’educazione morale.

Quando infine il ragazzo potè rispondere, l’ispettore gli corresse la pronunzia, e domandò al maestro: — Lei non è mica rafforzista, per caso?

Il giovane aveva appena un’idea vaga della quistione sulla pronunzia che s’agitava fra rafforzisti e raddoppisti; ma comprendendo dal tono della domanda l’opinione dell’ispettore, rispose fermamente: — Oh no, signore!

— Alla buon’ora! — esclamò quegli. — E non ci si lasci tirare. Per me, è una teoria senza fondamento solido, la quale non serve che ad accrescere la confusione dei metodi. E negò il valore dell’argomento dei rafforzisti, che la loro teoria abbia corso nei migliori metodi di lettura delle scuole di Germania, del Belgio ecc. Per il tedesco, intanto, non era vero, e citò degli esempi di spezzamento di parole composte, nelle quali la prima componente finiva per due consonanti, e nello spezzar la parola, le dette consonanti restavano a far sillaba con la vocale interiore. E promise al maestro di dargli un libretto pubblicato da poco, in cui le ragioni del Lambruschini, del Muzzi, del Gazzetti erano vittoriosamente confutate.

Poi, a proposito d’un alunno, il cui padre era ricoverato nel manicomio di Collegno, parlò della teoria della trasmissione ereditaria, sostenendo l’idea del Siciliani contro quella degli evoluzionisti puri, che non davano sufficiente importanza all’energia della volontà e ne davan troppa al mezzo ambiente. E soggiunse: — Ne riparleremo.

Dopo questo, mentre il parroco faceva alcune domande di religione ai ragazzi ancora stupefatti dai discorsi incomprensibili che avevan sentiti, egli esclamò, come parlando a sè stesso: — La divinità! In che cosa può consistere la coscienza della divinità nel fanciullo? Questa è la quistione grave, reverendo. Quistione di sentimento. Sentimento d’una forza superiore personale? Sentimento d’un inconoscibile?

Il parroco lo guardò, stupito, arrotondando la bocca. [p. 129 modifica]

L’ispettore s’alzò, fece un elogio ai ragazzi, al maestro, al soprintendente, e poi, rivolgendosi di nuovo alla scolaresca: — Ricordatevi.... — esclamò, come se volesse incominciare un discorso; ma cambiò idea, e detto: — A rivederci, ragazzi! — uscì.

Il parroco, buon uomo, che desiderava d’aver un elogio preciso del maestro da riferire al municipio, appena furon fuori, gli domandò: — Le pare dunque, signor ispettore, che il metodo sia buono?

— Oh Dio mio! — rispose quegli, rimettendosi in capo il largo Panama. — Il metodo.... Nonostante tutti i progressi delle scienze biologiche illuminate anche dalle scoperte recenti della paleontologìa e dell’embriologìa, noi non conosciamo ancora abbastanza la genesi, l’evoluzione, le leggi del pensiero, e tutte le facoltà umane in generale, da poter dire in modo assoluto: — Questo è il metodo buono. — Non esiste un metodo. Ciascun maestro ripara più o meno abilmente a questa mancanza. Il vero è che si dovrebbe usare un metodo diverso per ciascun ragazzo, anzi, un metodo per ciascuna facoltà sua. — Il parroco scrollò il capo, guardando in terra, — Del resto — concluse l’ispettore — chi sa! Son forse tutte buggerate, mi scusi, e non esiste nemmeno una scienza dell’educazione. Chi sa che non sia vera l’obbiezione che si faceva lo Spencer: se l’autodidattica è un principio inconcusso, perchè non abbandonare i fanciulli alla disciplina della natura?

Il parroco sorrise in atto di approvazione, e s’accomiatò; e l’ispettore, con quella pronta familiarità con cui i vecchi rimestatori di idee s’attaccano a chi pare che li intenda un poco in mezzo a molti che non li intendon punto, volle che il maestro andasse a mangiare un boccone con lui alla trattoria del Cappello grigio; dov’egli fece una corsa senza fine a traverso all’immenso ginepraio della pedagogia tedesca, non interrompendosi che una volta per domandare di punto in bianco: — Cos’è questo sindaco?... M’ha tutto l’aspetto d’un villan cornuto. — In fine, disse d’aver trovato nell’altra scuola un maestro che gli era parso mezzo briaco, e a quel proposito espose una serie d’osservazioni fatte da lui intorno all’effetto particolare che [p. 130 modifica]produce l’ebbrezza sulla memoria dei vocaboli e dei numeri; dalle quali osservazioni egli credeva che si potessero cavare certi nuovi lumi per l’arte mnemonica, che avrebbero giovato moltissimo anche nelle scuole primarie.

Il giorno innanzi egli aveva già visitato varie scuole dei dintorni; compì il giro delle sue visite quel dopo desinare, e il giorno seguente tenne nella scuola del Ratti una conferenza didattica, alla quale intervennero quasi tutti gli insegnanti del mandamento. Fra questi, il Ratti vide il poeta zoppo, il prete che tirava calci e pugni, l’ubiquista, la maestra di Riocaldo; ed altri, che conosceva soltanto per reputazione. L’ispettore trattò del dovere che incombe ai maestri di conoscere i particolari caratteri morali e politici dell’età presente per poter combattere in germe, nell’animo dei fanciulli, le passioni pericolose e i vizi propri del loro ambiente sociale, e non cadere, d’altra parte, nell’errore di dar loro un’educazione che contrasti allo spirito dei tempi e del paese in cui dovranno vivere. E da principio, facendo uno sforzo, parlò in maniera da farsi intendere, presso a poco, da tutti; ma poi scappò così fuori di strada e col pensiero e con la frase e con le citazioni, che i più degli uditori perdettero il filo affatto, e stettero a sentire come se avesse discorso di calcolo sublime. C’era il povero prete, che, all’udire il nome ripetuto dello Schopenhauer, aveva una contrazione spasmodica della guancia destra, e si rimbruniva, come al nome d’un nemico misterioso del suo sangue. Altri, pure divorando il conferenziere con gli occhi, pensavano evidentemente ai propri affari. I più vecchi sonnecchiavano. Quando l’ispettore finì, tutti rimasero silenziosi, come rintontiti, con una così tenebrosa confusione nel capo, che, presi lì per lì, non avrebbero più saputo di dove rifarsi a insegnar l’alfabeto. Il solo maestro Reale espresse la sua soddisfazione, dicendo abbastanza forte per esser sentito: — Quello è un uomo!

L’ispettore, sempre assorto nei suoi pensieri, incontrando all’uscita il sindaco, che non riconosceva più, gli fece elogi di tutti. E tutti lo accompagnarono all’albergo, che non avrebbe saputo ritrovar da sè solo, e gli rimasero intorno a sentirlo parlare, fin che partì [p. 131 modifica]in calesse fra le scappellate generali. Dopo venti minuti tornò indietro a prender delle carte che aveva dimenticate. Poi ripartì per non più ritornare, lanciando un’ultima parola al maestro Ratti: — Domani le manderò il libro. — Non mandò nulla, nessuno lo vide più. E non rimase di lui nel villaggio che l’immagine d’un enorme Panama, di sotto al quale sgorgava una fontana inesauribile di parole incomprese.