Il romanzo d'un maestro (De Amicis)/Altarana/XX

Una delusione

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UNA DELUSIONE.


Il maestro fu doppiamente felice dell’accaduto, poichè vedeva finire il martirio di quella povera creatura e cominciare insieme un periodo di pace, in cui sperava ch’ella si sarebbe lasciata andare con lui all’amore del quale gli aveva dato un pegno così caro e così triste in quel momento di disperazione. E la prima sera che la vide sul terrazzino, colta l’occasione, col coraggio di chi crede la sua passione corrisposta, e con ardente tenerezza, le aprì tutto l’animo suo, carezzando le dita ch’essa aveva messe tra gli stecconi del cancello, e sostando per riprender l’alito in fin d’ogni frase. E le parlò a lungo, supponendo che ella tacesse per la commozione: le fece comprendere bene che a lui quell’affetto doveva riempir tutta la vita, che essa era veramente la creatura che egli aveva sempre sognata come compagna della sua esistenza, che non avrebbe più potuto rinunziarvi, senza perdere ogni speranza di felicità, e anche di pace, per sempre. E dette le ultime parole, baciò quelle dita con ardore. E stette ad aspettare, trepidando, cercando di riconoscere l’espressione del suo viso già velato dall’oscurità.

Il suono della voce che gli rispose gli strinse il cuore alla prima parola. Ahimè! Non era la voce d’un’amante.

— La ringrazio, caro signor Ratti, — rispose la maestra con un accento dolce di mestizia; — io le sarò sempre grata con tutta l’anima.... Lei è stato un fratello per me.... Senza di lei, non avrei forse avuto la forza di soffrir tanto.... Se l’occasione si presentasse, non potrei mai fare abbastanza per sdebitarmi.... Le voglio bene, e glielo posso dire.... Ma quello che lei dice.... è impossibile.

Il giovine, costernato, ripetè quell’eterna e insensata domanda degli innamorati non corrisposti: — Perchè?

La ragazza mise un sospiro.

— Perchè.... — rispose lentamente, con accento di tenerezza quasi materna.... — La mia vita è già fissata. [p. 233 modifica]Io debbo consacrarmi tutta a mio padre.... Lei è così giovane.... comincia ora la sua carriera.... Non son destinata a questo.... Lei non sa quanto mi fa pena di dirglielo.

E dopo un momento di silenzio, ripetè a bassa voce, dolcemente: — È impossibile.... Ah! ecco, lo dicevo io! — proruppe poi tutt’a un tratto, commossa, udendo un singhiozzo mal soffocato del giovine. — Io dovevo finire con farlo soffrire! È un destino! Questo è il peggio, poi. Non posso sentire. Andiamo, signor Ratti! La prego. Dio mio! Non farebbe così se sapesse quanto mi fa pena! Mi lasci andar la mano.... la tenga, ma si queti. Ah! ho già sofferto abbastanza. No, Ratti. Ora basta. Mi chiama mio padre.

Ma il giovine non lasciava andare la mano, e tutta la sua giovinezza, provata dalla sventura e assetata d’amore, parlava in quel momento. Sì, egli voleva che lei l’amasse, egli aspettava quell’affetto fin dalla prima gioventù; aveva adorato i fanciulli e amato la scuola, aspettando lei; era orfano, solo, senza speranza di fortuna nel mondo; ma il mondo sarebbe mutato per lui s’ella gli avesse voluto bene; lei, nessun’altra, perchè non n’avrebbe mai trovato un’altra che le somigliasse, bella così, buona come sua madre, forte come una martire, degna d’esser adorata in ginocchio. Quanto aveva sofferto e come l’aveva amata durante quei tristi giorni trascorsi! Quando la vedeva passar per la strada, pallida e coraggiosa, in mezzo agli sguardi di scherno, egli avrebbe baciato la terra dove posava i piedi, le avrebbe dato da bere il suo sangue per rinvigorirle le forze, aveva pianto d’ammirazione, di rabbia e d’amore.

— Oh cara.... cara Faustina! Io non son nemmeno degno di parlarle! Perchè mi dovresti voler bene? Tutta la mia vita non vale una parola della tua bocca, bella creatura benedetta! Ma chi t’ha mandata? Chi t’ha mandata? Io vorrei restar morto qui, con la tua mano sul cuore!

E tacque, ansando e baciandole le dita. Essa non rispose. Egli provò ad allentarle la mano; la mano si ritirò; ma tremava.

E passò un tempo breve, che gli parve eterno, nel quale egli sentì la voce grossa del torrente, come il gridìo confuso d’una folla che passasse, senza fine; vide dei [p. 234 modifica]falò di pastori accesi sulla montagna; e, in un attimo, pensò al proprio viso, a certe donne che l’avevan guardato con simpatia, al dolore che avrebbe provato se avesse avuto un’altra ripulsa, e invocò sua madre col pensiero, come se credesse e sperasse qualche cosa nella sua intercessione.

Finalmente intese quella voce, una voce di tanta dolcezza, che alle prime parole egli sperò.

— Grazie! — disse la ragazza, facendo appena sentir le parole. — Io non dimenticherò mai, mai quello che m’ha detto. Mai. Le sarò affezionata fin che vivrò.... lo porterò sempre nel mio cuore....

E poi, facendo un grande sforzo: — Ma è impossibile!... Noi non potremmo volerci bene che in un modo solo, e questo è impossibile. Abbiamo quindi un dovere tutti e due: di non parlarne più. Costerà un sacrifizio a me pure.... Lei sarà felice senza di me, caro signor Ratti. Ne son certa. Se le dò un dispiacere.... mi perdoni, lei che è così buono. E mi voglia bene ancora, come un fratello. E sia sempre buono così, per far contenta sua madre.

Il giovane si premè una mano sulla bocca e mise un gemito.

Ella, mossa da pietà, spinse la mano tra due stecconi, come per dargli un ultimo conforto, ed egli la coprì di baci, urtando la fronte contro il cancello.

— Addio! — diss’ella, con un sospiro, ritirandosi, ed egli diede ancora un bacio nel vuoto.

Poi la chiamò, e tese l’orecchio; ma non udì che la voce del torrente. Non c’era più.


Passò una notte disperata. La rivide la mattina all’alba, sul terrazzo, pallida e con gli occhi rossi. Essa lo salutò con grande dolcezza.

Ritentò la prova la sera, con un nuovo barlume di speranza. Ma quella e altre volte essa rispose sempre nello stesso modo, chinando il capo in atto di tristezza, e dicendo, con gli occhi fissi sui pini di là dal cortile: — È impossibile.... Non parliamone più.

E il giovane la obbedì. E ripresero a poco a poco i discorsi di prima. Ma senza ritrovar più i bei momenti del passato. Al maestro pareva di non aver più nulla da dire: egli stesso troncava pel primo la [p. 235 modifica]conversazione. Dopo quindici giorni, neanche più la cercò. E si ristrinsero a scambiarsi un saluto, tristamente, essa cercando di rattenere lo sguardo di lui, egli di scansare il suo. Tutto era finito.