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Altre delusioni 235

zione. Dopo quindici giorni, neanche più la cercò. E si ristrinsero a scambiarsi un saluto, tristamente, essa cercando di rattenere lo sguardo di lui, egli di scansare il suo. Tutto era finito.


ALTRE DELUSIONI.


Ma egli l’adorava, e soffriva ancora. E avendo bisogno di conforto, lo tornò a cercar nella scuola. Ma era troppo tardi. La scuola non dà consolazioni che ai suoi amanti fedeli, e punisce più severamente i mutevoli che quelli che non l’hanno mai amata. La sua classe era in disordine, e l’autorità lo fomentava. Certo che il sindaco, il quale aveva preso in odio il maestro, non voleva ora ricominciare con lui una guerra a colpi di testa, come l’aveva fatta con la Galli, per uscirne con le corna rotte: egli s’era persuaso che ci voleva un’altra tattica, ch’era di rendergli la vita intollerabile a forza di piccole molestie continue. Quindi, nella scuola, dove l’inserviente non entrava più, s’andava ammontando il sudiciume; gli lasciavan mancare l’inchiostro e il gessetto per la lavagna; non davan più quaderni agli alunni poveri, che venivano con le mani vuote, e non facevan altro che disturbare. I ragazzi, i quali capivan da tutto questo che il municipio voleva metter fuori il maestro, alzavan la cresta in iscuola, gli consigliavan d’andarsene con delle iscrizioni sui muri, e si toccavan coi gomiti, nei banchi, sogghignando, quando egli diceva a quelli di seconda: — L’anno venturo vi farò far questo e quest’altro; — il che lo feriva nell’anima. Uno dei peggio era il figliuolo del liquorista assessore, un ragazzo sugli undici anni, il quale, ogni volta che il maestro ripetesse, come tutti hanno il vezzo, una frase o parola abituale, contraeva in una certa maniera la pelle del cranio, che tutta la sua capigliatura veniva giù, come una parrucca che si volesse staccare; ciò che esilarava tutta la scolaresca senza ch’ei lo potesse punire, perchè il birbo diceva che era un vizio di natura, che aveva fin da bambino. Un giorno, per altro, provocato fuor d’ogni modo, egli