Il ricco insidiato/Nota storica
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NOTA STORICA
La favola dell’uomo che nell’improvviso mutamento di fortuna impara a conoscere si bene chi lo circonda, da togliersi, pel disgusto de’ falsi amici, al sociale consorzio, ha in sè tragica forza, perchè comprende un rivolgimento profondo nell’anima dell’offeso e giunge alla condanna dell’umana abiezione. Quando invece, come imagina il Goldoni in questo suo Ricco insidiato, il mutamento non sia che simulato e tutto si risolva in una gustosa burla degli interessati, l’argomento resta altamente comico ed è tra le più felici trovate che uno scrittore teatrale possa desiderare.
Ebbe il Goldoni precursori, gloriosi e oscuri: Neante, Plutarco, Luciano, Del Carretto, Boiardo, Shakespeare, Brécourt, Delisle. Quanti di questi conobbe? Forse Luciano, forse quel Delisle che nel Thimon le Misantrope, commedia in 3 atti, recitata dai Comici italiani nel 1722, a rendere più attraente l’antica favola introdusse la donna amante e sincera, fedele nella fortuna buona e nella trista. Ma la veste sempre ancora classico-mitologico del lavoro tradisce a pnmo sguardo la fonte lucianesca. - Non è inutile ricordare che in una delle Lettere serie, facete, capricciose ecc. di Gasparo Gozzi, edite nel 1752 (Venezia, appresso G. B. Pasquali), trovasi proprio Il Timore ovvero il Misantropo di Luciano, tradotto e dedicato a S. E. Angelo Quirini.
Moderno di concezione e d’ambiente è questo Ricco insidiato, dove le vittime della propria avidità restano beffate e al protagonista non cade in mente di farsi misantropo. Certo non tutti gli abbondanti elementi di comicità che sono nel soggetto vennero sfruttati. Più agile poteva esser l’azione e più brioso il dialogo. Donna Felice, il personaggio che grazie al nobile compito affidatogli dall’autore poteva da semplice commedia d’intreccio elevare il lavoro in più alte sfere, temperandone cioè l’artifizio d’una nota sinceramente affettuosa, riuscì, come tante virtuose femmine goldoniane del suo teatro toscano, manierata, fredda. E si sarebbe inclinati a non ritenere del tutto scevra di mire interessate - il desiderio cioè, di farsi sposare dal conte - neppur lei. Chi di quest’eroina fa l’elogio ci sembra meni buona al Goldoni l’intenzione prima che il fatto: «Non vi seduce - domanda il Ciampi - gradevolmente quella Donna Felicita nel R. i., la quale si fa arma del proprio sesso contro le insidie che tendono al conte Orazio e il servo e la sorella e i parassiti, e scuopre accortamente i raggiri, e fuga con l’aspetto del giusto la falsa lusinga e la scaltra rapina» (La commedia italiana, Roma, 1 880, p. 217)?
Grande e l’ammirazione dello Schedoni per l’abilità onde il protagonista riesce a scansare i lacci degli intriganti d’ambo i sessi. Ma non doveva, a parer suo, il Goldoni mandar donne sole «a ritrovar nelle case gli amanti», licenza riprovevole quanto quella di farle veder sole nelle strade (Principii morali, ecc. Modena, 1828, pp. 37, 91). Pochi altri critici comprendono il R. i. in giudizi sommari d’interi gruppi di commedie. E tra quelle «di second’ ordine» per il Galanti (op. cit., p. 243). Anche il De Gubernatis la ritiene «di minor conto» (C. G., Firenze, 191 1, p. 313). Vincenzo Ratti non giudica, ma in una sua amplissima classificazione del repertorio goldoniano (impresa irta di scogli!) mette, senza una ragione al mondo, questa tra «le commedie romanzesche e sentimentali» (C. G., Discorso, ecc.. Asti, [1874], p. 20).
Sull’accoglienza ch’ebbe dal pubblico di Venezia nel 1758 ci testano due testimonianze dello stesso autore, il quale, non per la prima volta, è in contraddizione con sè stesso. In una scena delle Morbinose (I, 7) a Siora Felice che osserva:
...tutti i nostri difetti.
I li mette in teatro. Vardè che maledetti!
siora Lucietta risponde:
Si ben, co la commedia del Ricco insidiato
Che diavolo no hai dito, che diavolo no hai fato?
Basta, me xe sta dito de una mare e una fia...
Manco mal che l’ha abù poco applauso. So dano.
Le Memorie invece riferiscono: «Cette pièce fu extrémement goutée et applaudie» (P. II, cap. XXXV). Dove sta il vero? Forse è da fidarsi più della memoria di Lucietta che accennava a una recita seguita pochi giorni innanzi.
Altre poche rappresentazioni potemmo fissare ancora, lontani - questa volta come sempre - dai pretendere a compiutezza.
Nel 1765 il Ricco insidiato si fece il 22 (23?) gennaio al S. Samuele di Venezia (Diario Veneto).
Nel carnovale dei 1819-1820 al Teatro alla Canobiana di Milano, interprete la Comp. di Gaetano Perotti (Seconda Continuazione della Serie cronologica delle rappres. dei Teatri di Milano. Milano, 1821, p. 135).
Il 2 agosto 1820 si fa a Torino (Biblioteca Teatrale, Venezia, Gnoato, 1820).
Il 21 dicembre 1828 al Teatro Re di Milano dalla Compagnia Ducale di Modena (I Teatri, Milano, 30 die. 1828).
L’anno dopo gli stessi comici la recitano a Parma e il Censore Universale dei Teatri di Luigi Prividali scriveva di quella rappresentazione: " Nè meno clamorosa fu la generale approvazione, con cui premiata venne la susseguente commedia del nostro impareggiabile Goldoni, intitolata il Ricco insidiato: trovò il pubblico particolarmente lodevole il modo franco e naturale, con cui superar seppero quegli attori la gran difficoltà di ben recitare il verso martelliano» (n. 22, p. 86). E altri caldissimi elogi nella riproduzione di questo lavoro fece il Prividali alla stessa Compagnia dopo una recita al Teatro Re (cfr. Censore ecc., 1829, n. 87, p. 345).
Un’altra esecuzione per parte della Ducale di Modena ebbe luogo il 4 febbraio 1831 al San Luca di Venezia.
Di nuovo a Milano nel 1834 al Teatro Re l’eseguisce la stessa compagnia e il Barbiere di Siviglia (Milano, II [1834], n. 6) così ne scrive: «Dicesi che le produzioni del Veneziano Terenzio non siano più cose dei nostri tempi, ma noi, assistendo alla rappresentazione del R. i., ci siamo persuasi del contrario; quel quadro sociale, egregiamente composto e rifulgente di verità, è fresco come se fosse stato eseguito nel trentatrè; passioni, caratteri, vizi, cattiverie, bontà dei nostri giorni, e lezioni d’avvedutezza, sì adatte a noi come agli uomini del secolo scorso».
Dopo il 1834 segue un lungo sonno che nel 1907 G. Costetti s’augurava qualcuno interrompesse, sembrandogli il R. i. una «gran gemma scintillante e radiosa di vaghissimi prismi». Inteso a metter in rilievo i pregi della «bellissima commedia», ne encomia «i dialoghi ora schioppettanti di festosità, ora densi di satira, ora dolcissimi di sentimento» e dice bene pur de’ martelliani che, anche non perfetti, son «belli e buoni per la scena, e sulla scena risuonano come voci allegre e domestiche di casa nostra» (Pel 2° cent. d. nascita di C. G. Il Teatro A. Manzoni, 1907, p. 47). Gli diè sulla voce Cesare Levi, giudicando meritatissimo l’oblio (Rass. bibl. della lett. ital., 1908, anno XVI, p. 41).
Nel secondo anno del suo soggiorno a Parigi il Goldoni trasse dal R. i. uno scenario dell’arte. «Ho dato - scriveva il 18 aprile del 1763 all’Albergati - una commedia a soggetto intitolata Arlequin Héritier ridicule, cavata dal mio R. i., ed è andata felicemente per me, ma i comici non l’hanno recitata a dovere, forse perchè le scene erano troppo filate» (Racc. Masi, p. 206). Dal Mercure de France (Mai, 1 763) sappiamo che si recitò l’11 aprile.
Per la fortuna del R. i. rammentiamo che uno studioso del teatro del Nota, accoglie questo lavoro tra le fonti del Nuovo ricco, e avverte ancora come l’episodio dell’anello, mandato in tutte e due le commedie dai nuovi ricchi alla signora che vagheggiano, possa essere stato ispirato al Goldoni e al Nota da un tratto simile nel Bourgeois gentilhomme (O. Allocco-Castellino, Alberto Nota, Ricerche, ecc., Torino, 1912, p. 165).
La bella dedicatoria aggiunge nuovi particolari a quanto sull’infanzia del Nostro si leggeva nella lettera a Parmenione Trissino (dedicatoria del Giocatore, cfr. vol. V pag. 203). Rivivono in una nota di malinconico rimpianto i primi anni sereni, il prediletto gioco de’ burattini (germe modesto d’un glorioso avvenire), la bella casa oggi ancora esistente e la villa di Roncade con gli artistici spassi, cari al nonno gaudente. Ma questo nonno lo conobbe il Goldoni, come la presente lettera e le Memorie (P. I, cap. I) recisamente affermano? O Carlo Alessio morì già tra il 1702 e il 1704, secondo un documento scoperto dal Borghi (Modena a C. G., 1907, p. 21)? Di fronte a un rogito notarile i più de’ biografi accettarono la correzione proposta dal benemerito studioso modenese. Solo il Valeri non seppe acconciarvisi, perchè gli parve inverisimile che già a cinquantaquattro anni (la presente dedica è del 1761 ) la memoria tradisse di tanto il Goldoni (Una bugia di C. G. La Ross. Internaz., 15 maggio, 1912, p. 201).
Gli Zanetti «erano anticamente marzeri all’insegna del Carro a S. Maria Mater Domini... Vennero fatti conti dall’imperatore Leopoldo... Si gloriano dei due fratelli Anton Maria e Girolamo» (Tassini. Cittadini Veneziani, Manoscritto del Museo Correr, V, p. 128; cfr. ancora del Tassini: Curiosità veneziane, a pag. 786). E di Anton Maria, bibliotecario della Marciana, e di Girolamo, professore a Padova, fu cugino il dedicatario. Per le nozze d’un nipote del quale, Anton Maria anch’esso, con Giustina Gabriel il Goldoni pubblicò un Capitolo (Museo Correr, P. D. 5098. Non lo registra A. G. Spinelli). Il nome degli Zanetti si legge più volte nei carteggi goldoniani (Masi, pp. 217, 279: Spinelli, Fogli, ecc., p. 73).
E. M.
Il Ricco insidiato uscì a stampa la prima volta nei l. VII del Nuovo Teatro Comico dell’Avv. C. G. edito a Venezia dal Pitteri, nell’anno 1761; e fu l’anno stesso e ne! 1775 ristampato a Bologna (a S. Tomaso d’Aquino). Fu impresso nuovamente a Torino (Guibert e Orgeas X. 1776), a Livorno (Masi VI. 1788). a Lucca (Bonsignori VIII. 1789) a Venezia (Savioli VII, 1773; Zatta cl. 3a, II, 1792) e forse altrove nel Settecento. Non si trova nei volumi editi dal Pasquali. — La presente ristampa seguì con maggior fedeltà il testo del Pitteri, curato dall’autore. Valgono le solite avvertenze.