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Di nuovo a Milano nel 1834 al Teatro Re l’eseguisce la stessa compagnia e il Barbiere di Siviglia (Milano, II [1834], n. 6) così ne scrive: «Dicesi che le produzioni del Veneziano Terenzio non siano più cose dei nostri tempi, ma noi, assistendo alla rappresentazione del R. i., ci siamo persuasi del contrario; quel quadro sociale, egregiamente composto e rifulgente di verità, è fresco come se fosse stato eseguito nel trentatrè; passioni, caratteri, vizi, cattiverie, bontà dei nostri giorni, e lezioni d’avvedutezza, sì adatte a noi come agli uomini del secolo scorso».
Dopo il 1834 segue un lungo sonno che nel 1907 G. Costetti s’augurava qualcuno interrompesse, sembrandogli il R. i. una «gran gemma scintillante e radiosa di vaghissimi prismi». Inteso a metter in rilievo i pregi della «bellissima commedia», ne encomia «i dialoghi ora schioppettanti di festosità, ora densi di satira, ora dolcissimi di sentimento» e dice bene pur de’ martelliani che, anche non perfetti, son «belli e buoni per la scena, e sulla scena risuonano come voci allegre e domestiche di casa nostra» (Pel 2° cent. d. nascita di C. G. Il Teatro A. Manzoni, 1907, p. 47). Gli diè sulla voce Cesare Levi, giudicando meritatissimo l’oblio (Rass. bibl. della lett. ital., 1908, anno XVI, p. 41).
Nel secondo anno del suo soggiorno a Parigi il Goldoni trasse dal R. i. uno scenario dell’arte. «Ho dato - scriveva il 18 aprile del 1763 all’Albergati - una commedia a soggetto intitolata Arlequin Héritier ridicule, cavata dal mio R. i., ed è andata felicemente per me, ma i comici non l’hanno recitata a dovere, forse perchè le scene erano troppo filate» (Racc. Masi, p. 206). Dal Mercure de France (Mai, 1 763) sappiamo che si recitò l’11 aprile.
Per la fortuna del R. i. rammentiamo che uno studioso del teatro del Nota, accoglie questo lavoro tra le fonti del Nuovo ricco, e avverte ancora come l’episodio dell’anello, mandato in tutte e due le commedie dai nuovi ricchi alla signora che vagheggiano, possa essere stato ispirato al Goldoni e al Nota da un tratto simile nel Bourgeois gentilhomme (O. Allocco-Castellino, Alberto Nota, Ricerche, ecc., Torino, 1912, p. 165).
La bella dedicatoria aggiunge nuovi particolari a quanto sull’infanzia del Nostro si leggeva nella lettera a Parmenione Trissino (dedicatoria del Giocatore, cfr. vol. V pag. 203). Rivivono in una nota di malinconico rimpianto i primi anni sereni, il prediletto gioco de’ burattini (germe modesto d’un glorioso avvenire), la bella casa oggi ancora esistente e la villa di Roncade con gli artistici spassi, cari al nonno gaudente. Ma questo nonno lo conobbe il Goldoni, come la presente lettera e le Memorie (P. I, cap. I) recisamente affermano? O Carlo Alessio morì già tra il 1702 e il 1704, secondo un documento scoperto dal Borghi (Modena a C. G., 1907, p. 21)? Di fronte a un rogito notarile i più de’ biografi accettarono la correzione proposta dal benemerito studioso modenese. Solo il Valeri non seppe acconciarvisi, perchè gli parve inverisimile che già a cinquantaquattro anni (la presente dedica è del 1761 ) la memoria tradisse di tanto il Goldoni (Una bugia di C. G. La Ross. Internaz., 15 maggio, 1912, p. 201).
Gli Zanetti «erano anticamente marzeri all’insegna del Carro a S. Maria Mater Domini... Vennero fatti conti dall’imperatore Leopoldo... Si gloriano dei due fratelli Anton Maria e Girolamo» (Tassini. Cittadini Veneziani, Mano-