Il rapimento di Proserpina (1797)
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IL RAPIMENTO
DI PROSERPINA
POEMETTO
DEL
CHIABRERA
Mille prove d’Amor su mille cetre
Già si cantaro infra la vaga gente,
E crearo quei canti almo diletto:
Ora una Euterpe me ne torna a mente,
5Ciò fu quando Plutone ebbe nel petto
Fuoco più forte, che la fiamma inferna,
Onde involò di Proserpina il volto;
E di quelle bellezze ornò suo letto.
Donna, che d’Arno in riva il core hai volta
10Verso Ippocrene, e che non può sventura
Disviar da quei gioghi il tuo pensiero,
Porgi l’orecchio a mia canzon novella:
Tu seorger puoi di Pindo i bei segreti
Chiusi alla plebe, o fra le Aonie Dive
15Ad onta del destin, saggia Isabella.
Odo narrar sulle Castalie rive,
Che il superbo figliuol di Citerea
Un dì vantossi, e sull’Olimpo eccelso
Fra gli altri Numi sollevando l’arco.
20Colla man pargoletta, alto dicea:
Ecco l’armi possenti, onde trionfo
Sopra qualunque cor dell’Universo;
Chi negarlo oserà? questa faretra
Gli orgogli abbatte d’ogni spirito avverso,
25Or ciascun tremi; e così lieto in viso
Vibrava i dardi, e balenar facea
Da i rubin delle labbra un bel sorriso.
Nella Corte del ciel non fu sembiante
Salvo dimesso; e rammentossi Giove,
30E l’antico Saturno ebbe in memoria,
Come già per l’addietro ei visse amante,
E fè più chiara l’amorosa gloria;
Fra tanti Momo sol batte le palme,
E fisa gli occhi nell’Idalio Nume;
35Spirto sfacciato, e che ciascuno emenda
Arditamente, e che ripien di tosco
Nulla cosa lodare ha per costume, a
Costui disse ghignando: agevol cosa
E’ di sua propria man farsi corona;
40Amore alto sublimi il tuo potere;
Ma senti ciò, che al mondo altri ragiona
E ciò, che io ti ragiono: ardere il petto,
Di Giove, e di Saturno al biondo Apollo
Per bella Ninfa faettare il core,
45Per Anfitrite è di tua potestate
Certo argomento; ma qual meraviglia?
Per se medesimi son Numi benigni,
E tutti acconci ad apprezzar beltade;
Ma scendi un poco dell’Inferno al centro;
50Provati a saettar gli aspri macigni
Di quei petti feroci; assalta Bronte,
Piaga Piraemo, e fa, che sfoghi il core
Sterope amando in lusinghevol voci,
E d’alto allor ti cingerò la fronte.
55Se l’eccelso Pluton, Re degli orrori,
Non ha di che tementi, e s’egli a nome
Non conosce tuo stral, di che t’onori?
Amor, quando vedrò nell’ime parti
Del Tartaro profondo i tuoi decreti
60Farsi legge al Signor, che ivi governa,
lo dirò, che sei scarso in celebrarti.
Si disse Momo; ed ascoltando Amore
Turbava gli atti, ed a sembiante lieto
Cospargea non so qual nube nascosa;
65Poi tenne il guardo alquanto fiso, e volse
Sopra cose diverse il suo pensiero;
Al fin si scote, e spiega l’ali, come
Le dispiega augellin, quando s’accorge,
Che strali incocca l’appiattato arciero.
70Donna trovò, che Iniquitate ha nome.
Carca di lunga etate, e che parole,
E che sguardi, e che moti, e che pensieri
Accompagnar con frodolenza suole;
Vaga di male, e che gli altrui tormenti
75Quasi non sa guardar, se non son fieri;
Costei chiamò per nome, indi le disse:
Perchè nell’Universo il pregio cresca
Di mia corona, e non sia core ardito
A far difesa, e contrastar miei strali,
80Io vorrei saettar con bella prova
Il Principe di Stige, e di Cocito;
Ma non vo’ tra quei fumi, e tra quell’ombre
Del paventato orror dibatter l’ali,
E però vegno a te; to non rifiuti
85Far quei viaggi, anzi frequenti, ed usi
Frequente passeggiar gli antri infernali;
Non negar dunque i tuoi cortesi aiuti,
Ma scendi fra gli abissi, ed opra in modo
Che abbandoni Pluton l’atro soggiorno,
90E venga a vagheggiar l’aure serene;
S’egli ci viene, ed io porrogli aguati;
E con laita di alcun viso altiero
Farò, ch’ei sentirà delle mie pene.
Qual poi verso di te per tal servizio
95Nodo mi stringerà, noi ti vo dire;
Ma ch’ei grande sarà, creder conviene.
Così parlava di Ciprigna il figlio
Verso l’iniqua donna; e disciogliendo
La lingua attossicata, ella rispose:
100Io per modo a Pluton darò consiglio
Ch’egli verrà sulle pendici Etnee,
Bramoso di goder feste amorose;
Ora Amor senti me: presso quel monte
Proserpina suol far chiuso soggiorno,
105Ed ivi Berecintia genitrice
Le bellezze di lei serba nascose:
Viso al mondo non è cotanto adorno,
Ch’ella nol vinca; ed è parlare in vano
Nominar perle, ed oro, e gigli, e rose.
110Tanto ad ogni beltà costei fa scorno,
Dunque per l’onor tuo fatica prendi,
Che agli occhi di Plutone ella’s’esponga,
Se fai, ch’egli si accosti a cotal foco,
Già lo veggo distrutto in grandi incendi:
115Ma perchè tua bontade offre mercede
Al mio servir, cio, ch’io desiro, intendi:
Io mi sono una, che ad altrui non cerco
Punto piacer; agli affar miei procuro,
E se avvenisse, che di amico affetto
120S’ingombrasse il mio cor, mi fora duro;
Però prometti, che di tua saetta
Ei giammai per sentir non è percossa,
E ch’ei di non amar sarà sicuro;
Fin qui diss’ella, indi rispose Amore:
125Se l’Universo avesse alcun potere,
Che avesse più virtù del poter mio,
Per quello io giurerei che le mie voglie
Sarian sempre seconde al tuo desio;
E però la di Stige ombra profonda,
130E di Cocito l’infernal palude,
Siccome cosa vil, pongo in oblio,
Ma sulla fede mia faccio promessa:
Ecco, rimira, alzo la destra, e giuro,
Che io non giammai percoterò tuo core,
135Sicchè ei di non amar sarà sicuro.
Fornito il dir si dipartiro entrambo,
Vaghi di trarre a fine il lor pensiero.
L’Iniquità per la Tenaria foce
Precipitossi a piombo inver gli abissi,
140Di là di Flegetonte atri sentieri;
Nè si fermò, finchè non fu davanti
Al gran Pluton; quivi abbassò la fronte,
E piegò le ginocchia, ed adorollo
Ed ei le disse con altier sembiante:
145Qual cagion ti conduce al mio cospetto?
E di qual parte vieni? ella rispose
Vengo dalle fresche ombre d’Elicona
Ove sentia cantar le belle Dive.
E Pluton: che dicéan l’inclite Muse?
150Esaltavan l’onor di mia corona?
E l’orribile donna allor soggiunse:
Con bella man su i cembali sonori
Dicean di Giove adunator di nembi,
E di Nettuno imperator dell’onde
155Per belle donne i già sofferti amori;
Come un togliesse alle Fenicie sponde
La cara Europa, e come l’altro in petto
Per Anfitrite raccogliesse ardori:
Ma di te, gran Signor, nulla memoria
160Parnaso feo, come di Re, che sempre
Stassi sepolto in tenebrosi orrori,
E che della beltà sprezza la gloria;
Ed è per verità gran meraviglia,
Signor si grande non trovar diletto
165Dentro un bel viso, e nel felice lume
Di duo begli occhi non fissar le ciglia
In che le volgi tu? forse di Aletto
T’invogliano le serpi? e di Megera
Gli angui annodati tra sulfurei crini?
170E di Tesifone atra il fiero aspetto?
Oh se tu miri mai vergine altiera
Per bellezza mirabile; se mai
D’una fronte gentil miri il sereno
Di viver sol qual pentimento avrai?
175E se fosse atto vile, e fosse indegno
Beltate amar, non amerebbe Giove,
Ne men Nettuno: hacci maggior possanza?
Questi nel mare, e quei nel ciel ha regno;
Ma se nel petto tuo vaghezze nuove
180Or voi mutare, e ad amar ti volgi,
Diman sull’alba, appo le rive d’Etna,
Beltà vedrai non mai veduta altrove
Di Berecintia la figliuola quivi
Andrà soletta: oh buon Plutone, oh quale
185Alto conforto, e qual piacer t’aspetta,
Se quella di te degna alta sembianza,
O Plutone, a rapir tu menti l’ale?
Ella adegua Giunon, se non l’avanza.
Così parlò l’Iniquità. Plutone
190Dentro pensoso si commosse, e disse:
Facciasi di veder l’alta bellezza,
Onde favelli, e ricerchiamo in prova
Quali siano d’Amor l’alte dolcezze,
Sarò col Sole in sulle rive d’Etna,
195E l’orme seguirò dei gran Fratelli.
Tacquero a tanto, e dell’ombroso inferno
Al fier governo egli rivolse il core;
Ma la donna crudel si mise a volo,
E di quanto Pluton fermato avea
200Diede notizia, e ne fè saggio Amore
Ho sin qui travagliato, e s’altro avanza
Da farsi, e tu comanda, ella dicea.
Amor le rende grazie, indi soggiunge:
Donna del regno, e della mia possanza
205Tu non sei vaga, e però buon consiglio
Sembra al mio cor, che tu ne viva lunge,
Vanne dove t’aggrada: e così detto
Ei pensa al modo di domar Plutone.
Nè pria la bella Aurora in Oriente
210Facendo scorta al Sol, di fresche rose
Si componea sul crin vaghe corone,
Ch’ei pensa all’opra; a se chiamò lo Scherzo
Il Riso, il Gioco, singolar famiglia;
E dove Proserpina ave sua stanza
215Colà gli spinge su sonore corde
A far co’ snelli piè Dedelea danza.
La verginella a quel gentil rumore
Fuore uscì dall’albergo, e per diletto
Moveva le belle orme appo coloro,
220Che la traean, dove voleva Amore.
Era il Re dell’abisso in riva d’Etna
Già pervenuto e s’avvolgea d’un nembo;
Che altrui lo nascondea; ma senza orrore,
E quando scorse la real fanciulla,
225Per Amor si piagò dell’aureo dardo,
Forte così, che di menar la vita,
E di gioirne senza lui fa nulla.
Come regio Falcon, che volge il guardo
Contra augellin; così Pluton si avventa
230Verso la bella donna, e via la porta.
Ella straccia le chiome, e si lamenta,
Ma l’amator la placa, e la conforta,
E ch’ei regna sotterra, e che di Giove
Egli è degno fratello ei le rammenta;
235O bellissima vergine, sopporta,
Egli dicea, questo improviso oltraggio,
Come segno d’amore: Amor m’ha spinto.
A fuore uscir del mio superbo impero,
E m’ha spinto a fornir tanto viaggio;
240Torniti a mente, che da Amor fu vinto
Un tempo Giove, adunator di nembi,
E per Europa trasformossi in Toro,
E via la trasse dal paterno albergo;
Ella per entro il ar ebbe spavento,
245E sospirò dell’amator sul tergo,
E poi felice si condusse in Creta;
Ivi de’ danni suoi la prese obblio,
E non a torto, che di prole eccelsa
Sovra ciascuna madre ella fu lieta,
250Or pet te così fia dell’amor mio,
Tu Reina sovrana; a te lo scettro
Porrassi in man di un infinita gente,
E di te fornirassi ogni desio;
Dell’universo sulla terza parte
255Senza contrasto tu sarai possente:
Asciuga il pianto, rasserena il volto;
Ah che son troppo le querele sparte.
Per sì fatta maniera ei la consola,
E dolce la vezzergia, e de’ begli occhi
260Ei terge le rugiade. E dalle rose
Di quella bocca alcuni baci invola.
Per così fatte vie tutte amorose
Ei la conduce ne i profondi campi,
E coronolla di real ghirlanda,
265Ed in seggio onorato ei la ripose.
Ciò rimirando Amor, lieto la fronte,
Lieto i begli occhi, e le fattezze lieto;
Ratto si mise a volo, e si condusse
Sopra le piagge dell’etereo Polo;
270Colà bravando alzò la voce, e disse:
Dove è l’ardir dello sfacciato Momo?
Momo dov’è? dove è? questa faretra
Pur dianzi il petto al gran Pluton trafisse;
Tacciasi Momo, ed ogni lingua taccia:
275Al valor di quest’arco alcuna meta
Nè si prescriverà, nè si prescrisse,
Tanto vantossi, e per quell’alta Corte
Bocca non fu, che favellare ardisse.
Sì fatta impresa mi dettava Euterpe
280Lungo l’altiero Tebro, e sì pensoso
Io sospirava la riviera d’Arno,
Saggia Isabella; or fanne il cor glorioso
O Donna in ascoltar ciò, che ridico;
Ridi in leggendo; è se non d’altro, ridi
285Delle sciocchezze del Parnaso antico.