Il podere (Tozzi)/XI
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XI.
Quando la mattina dopo si alzò ed aprì la finestra, il ciliegio non aveva più ciliege: «Perchè le hanno colte senza il mio ordine, e perchè non li ho sentiti? O le hanno rubate?» Non si mise nè meno la giubba, e scese giù. Tordo, che andava a cavar le patate, con la zappa in spalla, lo salutò proprio mentre era per attraversare l’aia.
— Chi ha colto le ciliege?
Tordo, com’era il suo modo, strinse le spalle; e gli rispose, ridendo:
— Io non lo so.
— Come non lo sai? E perchè ridi?
Tordo arrossò:
— Io non lo so, le ripeto. Ho visto anch’io, stamani, che non c’erano, e l’ho detto con la mia Gegia; ma, poi, non saprei di più.
Allora, Remigio chiamò Picciòlo, che escì dalla stalla, con le mani sporche di concio.
— Sai niente tu delle ciliege?
— Di quali?
— Come di quali? C’è un ciliegio solo!
— E che devo sapere?
— Non ci sono più.
— Non ci sono più? Dice per burla?
E andò a vedere da sè la pianta. Tornò, quasi di corsa, tirandosi i capelli:
— Brutti vigliacchi! Questa l’hanno fatta i ladri! E Dinda aspettava che fossero più mature, per portarle a vendere! Non siamo sicuri nè meno sotto le finestre? E nessuno di noi s’è svegliato? Vorrei sapere se l’hanno portate via nel primo sonno o stamani prima del sole!
Berto, che veniva dal campo e aveva fatto il colpo, finse di non aver sentito niente; e, con il capo basso, torvo, attraversò l’aia tra Remigio e i due assalariati. Remigio lo guardò e gli chiese:
— E tu hai visto che non ci sono più le ciliege?
— Io? Ci vorrà poco a vederlo! Perdindirindina, le rame ci vengono in casa!
E se n’andò; ma riescì subito dall’uscio, dicendo:
— Speriamo che non sospetti di me!
Remigio tacque. Allora, egli guardò in viso anche Moscino e Lorenzo, che erano sopraggiunti; e seguitò:
— Almeno io, non voglio nè meno che lei sospetti di me o della mia moglie; perchè, allora, le cose tra me e lei non andrebbero troppo bene.
— Io non posso sospettare di nessuno, perchè, se sospettassi d’uno di voi, lo manderei via.
Picciòlo, impaurito, chiese:
— Dunque, pensa di noi?
Ma Lorenzo gli disse:
— Voi state al vostro posto! Noi non siamo ladri, e non abbiamo bisogno di difenderci.
— Io, — disse Moscino, — ne mangiai una piccia domenica; perchè m’era volata la ciarpa sull’albero mentre mi vestivo con la finestra aperta, e tirava vento. E dovetti andare a riprenderla, per mettermela.
— Io ci rimango di stucco! — disse Tordo, stringendo un’altra volta le spalle; con quel collo che pareva d’un uccelletto spennato.
— Di questo passo, — riprese Berto, — verranno a portarci via anche il piumaccio delle coltri: già, alla Casuccia non è stato sicuro mai niente. Se ci fosse un cane da guardia... E, poi, lo devo dire? Mi pare impossibile che sia stato qualcuno a rubare le ciliege! Qui dev’essere stato inventato un tranello, per imbrogliare uno di noi! È proprio vero che lei se ne sia accorto soltanto stamani come noi?
— E che pensi? Che io le abbia fatte cogliere e vendere?
— Già... non dico proprio questo... ma qualcosa di simile!
— Se tu pensi così, sei un mascalzone e basta!
Questa parola Remigio non l’aveva mai detta a nessuno. Berto guardò gli altri, come per rendersi conto del loro animo; e rispose secco:
— Se non porta rispetto, lo faccio stare al posto io. I tribunali ci sono per tutti!
Remigio era così irato, che gli pareva di non poter più respirare; e, con la voce strozzata, gridò:
— Vattene! E voialtri dovreste dirmi chi è stato.
Ma Berto entrò in casa con un mezzo sorriso, e gli altri se ne andarono senza fiatare.
Remigio si sentiva la testa sconvolta, camminando in su e giù per l’aia. Gli pareva perfino impossibile che Berto avesse osato di pensare così. E perchè? Si fermò, dinanzi all’uscio dell’assalariato; e, allora, si accorse che Cecchina sogguardava da una fessura. Anche spiarlo a quel modo? Non poteva stare sull’aia quanto voleva? Ma arrossì; e, per non entrare in casa, andò nel campo dove erano state seminate le patate. Tordo ne aveva già messe insieme una balletta; e Remigio gli chiese:
— Le altre dove sono?
— Io è la prima mattina che ci vengo. E queste le prenderei per me, perchè con suo padre avevamo fatto i patti che ce ne toccasse una balletta per ognuno di noi.
— Ma per me non ci rimane niente?
— Io so che abbiamo fatto sempre così; certo, bisognava averne seminato di più.
— E perchè, invece, così poche?
— Io non lo so. Quando si zapparono le buche, suo padre era già malato; e la signora Luigia non seppe dirci niente.
Remigio domandò a Picciòlo e a Lorenzo se era vero, e si propose di cambiare i patti per l'annata dopo.
La mattina era serena e azzurra.
Su i prati, che cominciavano a fiorire, passavano gli uccelli quasi sempre lungo la Tressa; e una brancata, almeno di una quarantina, si posò sopra un salcio; empiendolo. Le anatre uscirono dall'acqua del fontone, dentro il quale s'erano capovolte e rovesciate le fronde più lunghe degli altri salici già con le foglie verdi.
Le diligenze di Murlo e di Buonconvento arrivavano cariche di gente e di fagotti; e quelli dentro guardavano tutti insieme nella strada. Nell'aria c'era la giovinezza; e Remigio sentiva attaccarsi ad essa. Dopo poco dimenticò del tutto ch'aveva questionato; ma, senza volere, dava occhiate di rammarico a quel ciliegio che il giorno avanti era tanto bello.
Le galline si rincorrevano tra l'aia e la capanna, entrando e riescendo di continuo; perchè qualcuna trovava sempre tra i mattoni un bacherozzolo. Le anatre, accovacciate, ora guardavano l'acqua.
Egli si dimenticò anche della matrigna e di Dinda: gli pareva d'essere solo e di amare. La Casuccia doventava così fertile che nell'aia non entravano più i prodotti del podere. Vendeva il fieno a carrate; faceva fare una mezza dozzina di pagliai, tutti in fila, in modo che dalla strada fossero visti; le viti doventavano grosse il doppio, con certi grappoli che gli ricordavano quanto da ragazzo gli eran piaciuti quelli della Terra Promessa e come aveva avuto voglia di piangere perchè Mosè era morto prima di arrivarvi; il grano faceva certe spighe che si sentivano pesare tenendone anche una sola in mano. Berto, Tordo e Picciòlo doventavano buoni e così alacri, che anche da vecchi li teneva sempre con sè.
Egli sposava una donna abbastanza ricca, piuttosto bella, senza tante ambizioni; ma avrebbero ricomprato un calesse e un cavallo, e la domenica sarebbero andati dentro Siena; a sentir suonare la musica.
Allora, cominciò a buttare dietro l'aia certi pezzacci di mattoni e di calcinacci vecchi, pensando di farla poi spazzare da Ilda. Pensò anche di comprare un ciòtolo di vernice, perchè gli usci ne avevano bisogno.
Quando smise, era sudato. Mentre stava per avvertire Ilda, un giovanotto, senza aprire il cancello, lo chiamò:
— Signor Selmi!
Egli si raddrizzò un poco, vergognoso di avere le mani sudicie; e andò verso la strada. Il giovanotto, che aveva l'aria di uno zerbino a passeggio, gli disse:
— Ho da consegnarle questa citazione.
— A me?
Quegli cavò il sigaro che teneva in bocca fino alla metà, prese un lapis copiativo dal taschino della giubba, bagnò con la saliva il foglio di carta bollata che teneva in mano; e disse:
— Allora, scrivo nella citazione: «è stata consegnata nelle mani del signor Remigio Selmi stesso.»
Appoggiò il foglio di carta bollata al muro della capanna, dove era più liscio; scrisse, si toccò il cappello; e tornò via. Remigio, lette le prime righe, vide che si trattava della causa di Giulia.
Qualche cosa, che assomigliava all'indignazione, gli faceva tremare le labbra; sentì impallidirsi, e salì in casa. Lo disse alla matrigna, che gli rispose rossa in viso:
— Ora lei si vuol vendicare, perchè tu la mandasti via a quel modo.
E, presa una lastra dal fornello, ricominciò a stirare le sue calze, che erano sparse di rammendi fatti con un filo grosso come lo spago.
— Non avevo ragione? Perchè doveva restare ancora in casa?
— Io non dico che tu non abbia ragione, ma...
S’accorse che era per dire troppo; e, notato il dispiacere del figliastro, si chetò e cominciò a piangere. Poi chiese:
— Quando viene il notaio a fare l'inventario?
— Io non lo so.
— Domandaglielo, se vai a Siena.
— Ma, stamani, volevo andare dal mio avvocato per questa cosa qui.
— O non puoi andare dall'uno e dall’altro? Io ho da mettere al posto anche la biancheria. C’è da stirarla tutta; eccola lì.
— Si faccia aiutare da Ilda.
— Ma che vuoi sia buona? Non lo vedi che a pena sa fare la calza?
— Le insegni.
— Ma tu pensa a quello che ti riguarda; a queste faccende di casa, so da me come fare.
Egli ripiegò la citazione e se la mise in tasca: si sentiva troppo stanco, per andare subito dall’avvocato. E tornò su l’aia; con la voglia di piangere.