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VII.


Remigio, il più delle volte, si sentiva sperso; e gli faceva caso di poter scendere nell’aia e andare dove volesse. Il cancello della strada era tutto fuor di posto, con i gangheri strappati e arrugginiti; schiantato, con la vernice che veniva via a pezzi. Il settembre dell’anno avanti ci avevano legacciato i pruni e le marruche, perchè non passassero a rubare l’uva; e le siepi, ora avevano i getti nuovi.

Da una parte dell’aia c’era la capanna: un fabbricato piuttosto basso, tarchiato, con il tetto spiovente da due parti, fin quasi a terra; con l’uscio sciupato da lunghe spaccature: con un trogolo di legno appoggiato al muro; con due finestre che invece degli sportelli eran tappate da mannelle di paglia.

La parata era dall’altra parte dell’aia; piuttosto grande, fatta di mattoni doventati d’un rosso quasi nero; e, tra i mattoni, ciuffi di capperi. Attaccate alla parata, dinanzi alla capanna, la casa degli assalariati [p. 53 modifica]e quella padronale, con tre porte: alcuni correggiati, tra porta e porta, messi ad uncini di ferro; e, sotto le finestre, cinque scale di legno, da piante, infilate a due pioli. Di fianco alla casa, s’andava nel campo e nelle stalle; più basse e dietro.

Vicino alle stalle, un fontone; dove lavavano i panni, abbeveravano i bovi e mandavano il branco delle anatre: intorno al fontone, cinque salci e un orto rinchiuso con stocchi secchi di granturco. Da lì, una fila di cipressi a doppio; che salivano su un poggetto; dal quale si poteva vedere tutto il podere fino al confine della Tressa. In antico, la Casuccia era stata un piccolo ospedale per i pellegrini: e una mezza Madonna di terracotta era rimasta in una parete della stalla.

Quand’era piovuto molto, dall’aia si sentiva scrosciare la Tressa; e i piani si allagavano; i pioppi umidi e la creta lavorata luccicavano. Di Siena, dietro quattro o cinque poggi sempre più alti, quasi a chiocciola, si vedevano soltanto le mura; tra la Porta Romana e la Porta Tufi. Dalle mura in giù, i prati e i grani scendevano tagliati da poche strade; riunendosi a spicchi, verso qualche podere; con le case su i cocuzzoli dei poggetti, accerchiate dai cipressi. Si sentiva il treno della Val d’Arbia; quando, secondo i contadini, era segno di piovere.

[p. 54 modifica]I primi giorni, Remigio evitava d’incontrarsi con i sottoposti; non sapeva nè meno riconoscerli l’uno dall’altro e, per timidezza, voleva sorvegliarli quasi di nascosto. Una mattina, fece il giro di tutto il podere, solo; camminando sempre sul margine dei confini. Vide i prati, ma non sapeva di che seme fossero; vide la biada e il grano, i filari delle viti e gli olivi: per non piangere, tornò subito a dietro; commovendosi quando Gegia, che era a cogliersi l’insalata, lo salutò.

Non sapeva che fare; si sentiva solo troppo e senza denari; e Luigia aveva cominciato a dire che non mandava più Ilda nelle botteghe senza pagare.

Per non vederla in quel momento, entrò nella stalla; rificcando, con un pezzo di pietra, i chiodi della serratura; usciti fuori.

Nella stalla, c’era soltanto un paio di vacche; che, allora, non potevano costare più di novecento lire; magre e vecchie: una anche zoppa, perchè il sensale incaricato da Giacomo di comprarle lo aveva messo in mezzo.

La stalla era piuttosto grande e lunga, ma buia e piena di ragnatele, quasi senza punta paglia; e le due bestie ruminavano in un cantuccio della mangiatoia mezzo franata. Mentre egli le guardava. Picciòlo, il marito di Dinda, entrato senza che egli [p. 55 modifica]l'avesse sentito, gli mise una mano sulla spalla e gli disse:

— Padroncino, se vuol guadagnare, bisogna mettere qui altre bestie; e giovani ci vogliono. Due o tre vitelli! E, se vuol dare retta a me, tenga anche una mucca.

— Quanto costano i vitelli?

— Se si prendono a pena divezzati, dugento lire l'uno: per meno, è impossibile.

Remigio abbassò la spalla, perchè l'assalariato togliesse la mano; pensando: «A mio padre, non avrebbe fatto così.» Poi, non sapendo nè meno quel che rispondere, si mosse per escire. Ma Picciòlo, toltosi il cappello sfondato e battutoselo su le ginocchia, gli disse:

— Mi permetta che io le faccia contezza di una cosa.

Il vecchio rideva, ma si capiva che parlava sul serio e dopo averci pensato a lungo: la punta del naso gli andava quasi a toccare quella del mento; con una testa rasa e sparsa di crosticine.

— Dite.

— Suo padre. Dio lo riposi in pace, erano due mesate che non ci pagava: non dico per me e per la mia famiglia, perchè, grazie a Dio, posso aspettare ancora; se lei non è in comodo; ma io credo che Berto e Tordo abbiano da riscuotere qualche mesata.

— Io non lo sapevo!

[p. 56 modifica]— Faccia come crede il meglio. Io e la mia famiglia siamo stati fissati per settanta lire al mese.

E Picciòlo, capito che Remigio si turbava, tacque; togliendogli da dosso alcune pagliuzze che gli ci si erano attaccate rasentando il muro della stalla.

Remigio andò subito a trovare la matrigna; che ricuciva una sua sottana dopo averla rovesciata:

— Perchè non m'ha detto lei che gli uomini devono riscuotere parecchi mesi arretrati?

— Chi ne sapeva niente? E, poi, sta a te ad occupartene. Se tu me l'avessi domandato prima, t'avrei detto subito che io non lo so; e, allora, avresti già provveduto.

— Ma i denari dove sono? Lei sa bene che io non ho un soldo.

— Se li avessi, te li darei io.

— Lo so che lei non ce li ha. Bisognerà, dunque, che li prenda a una banca.

Soltanto allora la matrigna smise di cucire, guardandolo a bocca aperta; e, poi, gli gridò:

— Chi te l'ha messa cotesta idea nel capo?

— Mi dica, altrimenti, come posso fare? O vendere ogni cosa...

— Vendere no, a costo di qualunque sacrificio. La Casuccia è nostra. E chi vende non è più suo.

[p. 57 modifica]— E allora bisogna che io faccia una cambiale.

Ella riabbassò la testa e disse sottovoce:

— Fai come vuoi: io non ti ci dico niente. Ti dico, però, che te ne pentirai.

Egli si mise a battere con le dita su i vetri, così forte che avrebbe voluto romperli: stringeva i denti e si sentiva come irrigidire.

Luigia non riusciva più a cucire, le tremavano le mani e le lagrime le venivano alle ciglia.

Remigio, voltatosi a lei, le disse:

— E forse, non sa che dovrò dare a Giulia ottomila lire?

La matrigna, per non essere costretta a rispondergli che lo sapeva, lo incoraggiò:

— Vedrai che non le avrà! Almeno, io non so perchè dovrebbe averle.

— Ma lei ci ha più parlato con quella ragazza? Se avesse un poco d'orgoglio, mi pare, non ci dovrebbe parlare.

— Mi salutò l'altro giorno, e vidi che aveva intenzione di fermarmi; ma io finsi d'aver fretta e tirai di lungo.

— Se è vero, fece bene!

Luigia era alta e magra, con un musettino a topo e le palpebre che sembravano appassite e vizze; il labbro di sotto sporgeva da quello di sopra come quando si vuol fare un vezzo: il mento era piccolo; ma, [p. 58 modifica]quand'ella sorrideva, ci appariva una tacchettina, come una rottura, nel mezzo. I capelli già brizzolati, le pendevano con due ciocche fin quasi alle gote. Quando aveva pianto, le restava per un pezzo il naso rosso; e pareva che il labbro di sotto ammoscisse; e il mento tremolava. Ella, sentendosi dire così, lo guardò con il desiderio di volergli bene; ma non si sentì sicura di essere corrisposta; e ambedue, senza più parlarsi, tornarono dai loro avvocati.