Il nostro padrone/Parte seconda/VI

VI

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VI.

Durante il pomeriggio egli s’aggirò nella foresta cercando di dominare i suoi pensieri, ma la figura di Sebastiana lo seguiva, lo precedeva, gli girava attorno, gli appariva di qua e di là, come un folletto dei boschi. Invano egli la scacciava; ella gli tornava davanti, col suo viso colorito e gli occhi luminosi, col suo vestito rosso e [p. 235 modifica]nero, col suo fazzoletto orlato di rose. Era impossibile non fissare l’attenzione su lei; ella aveva qualcosa di fiammeggiante nella persona, e pareva che esalasse un profumo acuto, e che i suoi occhi attirassero come un riflesso lontano o come un lume nella notte.

Egli si sentiva assalito da un malessere quasi fisico; ma continuava i suoi calcoli, pensava alle solite cose, ai lavoranti, alla scorza, ai sacchi, ai carbonai che dovevano arrivare, a sua moglie, poveretta, che lavorava, che era buona, fredda e casta, ma che lo avrebbe ucciso se egli la tradiva con Sebastiana; e pensava a Predu Maria che lo avrebbe ammazzato per la stessa ragione, e ripensava alla casa di Zoseppedda, alla pensione, ai quattrini, facendo mentalmente cifre su cifre, come uno che agitato dall’insonnia conta fino a cento e fino a mille per addormentarsi.

Predu Maria dovette andarlo a cercare per domandargli se scendeva o no in paese.

— È tardi. Sebastiana vuole andarsene.

Bruno guardò l’orologio, così a lungo che Predu Maria gli domandò:

— È fermo?

L’orologio camminava: erano le sei. Bruno lo rimise in tasca e disse laconicamente: [p. 236 modifica]

— Andiamo.

Si avviò, perchè non lo vedessero a partire con Sebastiana, e fu grato a Predu Maria che andò ad avvertire sua moglie e la accompagnò per un tratto di sentiero.

Sebastiana scherzava, ma era molto ironica, quasi acre.

— Perchè ti sei nascosto, Bruno? Hai paura che tua moglie diventi gelosa? No, sai, lo disse a me: non è gelosa.

— Ma finiscila! — disse Predu Maria, che non parlava mai di Marielène con Bruno sembrandogli che questi potesse offendersene.

Bruno camminava davanti a loro, col suo passo fermo un po’ lento ma sicuro; non rispose neppure agli scherzi di Sebastiana, e quando Predu Maria tornò indietro gli fece un cenno come per significargli che poteva stare tranquillo; egli avrebbe fatto buona compagnia alla giovine donna.

Appena rimasero soli ella tacque, seria e sdegnosa, come offesa per il contegno glaciale del suo compagno: e camminarono a lungo in silenzio, sempre l’una dietro l’altro, in faccia al sole che cadeva sull’orizzonte rosso.

A un tratto Bruno vide un paesano con una corda attorno al braccio salire [p. 237 modifica]di corsa una china, e anche lui saltò con agilità sul muro che chiudeva il sentiero, e di là su un cumulo di roccie. Voleva spiare l’uomo, che gli sembrava una figura sospetta: e per alcuni momenti rimase appiattato fra i macigni, con gli occhi socchiusi, intenti come quelli di un cane da preda. Pareva si fosse completamente dimenticato di Sebastiana, ed ella ne profittò per riposarsi. Sedette su una pietra, e guardò in su, finchè non lo vide scendere, con la stessa agilità con cui era salito. Egli camminava e saltava sulle pietre come su una scala sicura: vedendo Sebastiana le sorrise per rassicurarla, e i suoi denti scintillarono, le labbra apparvero fresche e rosse fra i baffi dorati. Egli era bello in quel momento, col viso illuminato dal sole, così alto, così agile e pieghevole; ed ella ricordò i giganti che un tempo abitavano la montagna e dovevano essere belli ed agili così, e come spinta da un istinto di emulazione si alzò e lo aspettò dritta sulla roccia, alta anche lei e provocante.

Ripresero a scendere, l’uno a fianco dell’altra, illuminati entrambi dall’ultima fiamma del sole: e un desiderio intenso li avvolgeva entrambi, come quella luce; ma la volontà di Bruno era più forte della [p. 238 modifica]sua passione. Egli cominciò a chiacchierare insolitamente animato, parlando dell’uomo con la corda, che gli era parso un individuo sospetto, un ladro di scorza che riusciva a rubare senza esser mai raggiunto; e delle raschiatrici, che se potevano rubavano anche loro, e di tanti altri piccoli incidenti della vita della foresta. Ella non lo aveva mai sentito chiacchierare tanto, e ne profittò per domandargli notizie della casa di Zoseppedda e dei suoi progetti per l’avvenire.

— Così diventeremo vicini di casa, — disse con voce lievemente commossa: ma subito riprese a scherzare: — dovrete parlar piano però, perchè dal nostro orto si sente tutto ciò che si dice nel vostro cortiletto....

Il sole tramontò e anche sul viso di Bruno parve spandersi un’ombra.

— Staremo vicini.... la vedrò spesso.... — egli pensava con desiderio e con tristezza.

Arrivarono in paese al cader della sera; il viso marmoreo della luna già alta sul cielo chiaro si dorava lentamente, come assorbendo gli ultimi splendori del crepuscolo, e nella valle e negli orti brillava qualche fiammata di ramaglie secche: una dolcezza grave era nell’aria e il suono [p. 239 modifica] lontano d’una fisarmonica pareva l’invito di una voce appassionata che indicasse agli amanti l’ora dei loro convegni.

Sebastiana e Bruno non avevano mai conosciuto quest’ora, e adesso sentivano l’invito, instintivamente, come sentivano il desiderio di bere e di riposarsi; e se egli si fosse fermato, nel viottolo rischiarato dalla luna, ella gli sarebbe caduta fra le braccia; ma egli camminava rapido come per sfuggire ad un pericolo, ed essa lo seguiva silenziosa e stanca.