Il nostro padrone/Parte seconda/IV
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IV.
E Bruno pensava a lei, tornandosene a passi lenti verso la casa di zia Chillina. Egli e sua moglie abitavano ancora presso la vecchietta, la quale non solo aveva loro permesso di cucinare nel suo focolare, ma suggestionata da Marielène aveva accolto in casa altri inquilini, e cioè due studenti e un vice-cancelliere del Tribunale; e Bruno aveva molta stima di sua moglie perchè essa lavorava giorno e notte ed era riuscita non solo a placare la vecchia padrona di casa, ma a farsene un’alleata contro le vicine invidiose e maldicenti.
Una di queste però aveva scritto una lettera anonima al figlio della vecchietta, dicendogli che era una vergogna che zia Chillina facesse la locandiera. Allora l’impiegato annunziò a sua madre una visita sua e di sua moglie, e Bruno e Marielène e gli altri inquilini dovettero rassegnarsi a sloggiare, d’intesa fra loro di andar ad abitare tutti assieme nella stessa casa.
Bruno attraversava il Corso illuminato dalla luna, pensando alla casa di Zoseppedda, calcolando quante stanze potevano esserci, e quanto poteva costare: ma i suoi calcoli e i suoi pensieri, di solito così netti e precisi, erano quella sera alquanto confusi. L’immagine di Sebastiana, ora nitida e dolce, ora velata e insidiosa, li attraversava come la luna attraversava le nuvole. Egli la rivedeva seduta sulla scaletta, coi bei capelli neri raccolti sulla nuca bianca, e gli occhi nuotanti come in un vapore lunare. Ella gli piaceva, come gli era sempre piaciuta, e mentre s’era curvato a prendere il cappello gli era parso che ella lo attirasse a sè, col fluido della sua giovinezza, della sua bellezza, del suo ardore nascosto. Ma egli non era uno sciocco; e non voleva per un momentaneo capriccio compromettere il suo avvenire e la sua fortuna.
Rientrando a casa trovò Marielène ancora alzata, intenta a rimettere in ordine la cucina, e pensò ancora a Sebastiana che non lavorava neppure di giorno mentre Marielène non riposava neppure la notte. Ella andava e veniva, nella penombra della cucina, agile e nervosa, vestita nuovamente col suo costume scuro; era magra e pallida, ma il suo piccolo viso aveva preso una espressione di bontà e quasi di tenerezza.
— C’è già il lumino acceso in camera, Bruno mio, va! Adesso verrò anch’io.
Egli attaccò il cappello ad un chiodo e disse esitando:
— Elena, senti, ho veduto la casa di Zoseppedda Congiu.
— A quest’ora?
— Di fuori! Ho contato le finestre.... ho calcolato.... Saranno in tutto sei camere, la cucina, la cantina, le soffitte.... La vogliono vendere, e se la danno a rate ci conviene....
— Chi t’ha detto che la vendono?
— Sebastiana. Sono stato là per cercare il Dejana.... ed anche per domandare per la casa.... — abbassò la testa, pensieroso, ma la rialzò subito. — Sì, ci conviene; è veramente una casa adatta per pensione.
— Non basta vederla al di fuori! — ella disse vivacemente. — Eppoi prima bisogna informarsi bene, perchè Sebastiana può averti detto una bugia: in vita sua non ha fatto altro che dir bugie!
— Ebbene, informati. Io ritornerò domenica; e nel frattempo tu potrai sapere se la cosa è vera o no.
— Va bene, — disse Marielène; ed egli salì nella loro camera, e cominciò a spogliarsi con lentezza, scuotendo di tanto in tanto la testa. Ogni suo movimento accompagnava un suo calcolo. Attaccando la giacca al pomo del letto egli pensava che la casa di Zoseppedda non valeva meno di sette od otto mila lire; levandosi le bretelle fece per la millesima volta il calcolo di quanto poteva rendere la pensione ideata da lui e da Marielène: certo non meno di tre mila lire nette all’anno. E questo senza che egli abbandonasse il suo mestiere. Marielène, oramai egli la conosceva, era capace di far tutto da sè, col solo aiuto di una buona serva.
Egli si levò le scarpe e per un momento ne tenne una in mano, preoccupato dal pensiero di questa serva, che bisognava scegliere non solo abile e fidata, ma anche di aspetto grazioso. Egli ricordava che in continente, nei grandi alberghi, si richiedono persone di servizio di bella presenza. A un tratto, dopo aver deposto sotto la sedia le sue scarpe, una accanto all’altra, con le calze dentro, sollevò gli occhi ed ebbe una specie di allucinazione; gli parve di veder Sebastiana in fondo alla camera appena rischiarata dal lumino da notte. La visione fu rapida, ma talmente viva e precisa che egli per un attimo credette che Sebastiana l’avesse davvero seguito e fosse penetrata nella camera. Gli parve che la sorpresa gli causasse una fitta profonda al cuore; un dolore acuto come la trafittura di una spilla; si tastò il petto, ma non sentì che la pelle liscia ed umida di sudore, e quasi istantaneamente il dolore cessò. Allora egli credette di essersi ingannato, tanto per l’apparizione di Sebastiana come per il dolore: piegò un ginocchio, guardando il Crocefisso che pendeva in capo al letto, si fece il segno della croce e si coricò; ma un turbamento profondo lo tenne per qualche momento agitato. Cercò di riprendere il filo dei suoi pensieri e dei suoi calcoli, ma per quanti sforzi facesse non vi riuscì: il filo si era rotto e la sua estremità non era più a portata di mano....