Il nostro padrone/Parte seconda/I
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I.
Un anno dopo, una sera di agosto, egli stava seduto sullo stesso scalino e aspettava la suocera per darle una buona notizia.
Sebastiana la sapeva già, questa notizia, e doveva esserne molto contenta perchè canterellava, nell'interno della casetta, preparando la cena.
E la sua cantilena ricordava il mormorìo dei boschi sotto il cielo lunare, ma di tanto in tanto aveva come un fremito, uno strido, come il grido del falco in amore che cerca la sua compagna fra le roccie.
Il sogno di Predu Maria s'era in parte avverato. Mancava solo il bambino in cerca di grilli, ma non era tempo da disperarsi; Sebastiana era tanto giovane, e anche lui sembrava ringiovanito. Con la barba corta tagliata a punta sul viso pienotto e i capelli grigi divisi da un lato, egli aveva ripreso la sua aria di piccolo borghese.
La suocera non tardò ad apparire, lenta e solenne, col rosario in mano.
— Buone notizie, monna suocera! Mossiù Perrò ha accettato.
— Ne ero certa, — ella rispose senza scomporsi. — Tu volevi che ci andassi io. No, egli ha poca simpatia per me, e poteva credere che era un mio pasticcio. Come gli hai detto?
— Non ho fatto preamboli. Gli dissi: Lorenzo vuole andarsene. Se vossignoria credesse di accettarmi, prenderei io il suo posto. Mia suocera è disposta a farmi la cauzione ipotecando il suo orto. Egli rispose subito: va bene!
— E allora?
— Allora siamo rimasti intesi di far una scrittura privata, ma per mezzo di notaio. Domani mattina alle dieci bisogna esser là.
— Va bene, — disse la maestra. — Verrò anch’io.
La modesta cena era pronta. I due sposi e la suocera, che dopo il matrimonio di sua figlia aveva voluto prendere abitudini «distinte» come quella di apparecchiare ogni giorno la tavola, sebbene il più delle volte non si mangiasse che pane di orzo e formaggio, o pane e legumi e raramente carne, si riunirono nella cucina scarsamente illuminata da un lume ad olio, e per qualche momento stettero in silenzio, curvi sulle loro scodelle rosse.
Sebastiana non dimenticava i succulenti pranzi del signor Perrò, e quella sera aveva preparato una zuppa di sua speciale invenzione; ma nè Predu Maria, nè la suocera, assorti nei loro pensieri, parvero accorgersi della novità. La maestra si sforzava a parer calma mentre i suoi occhi splendevano di gioia. Finalmente dunque si potevano sperare giorni migliori: la buona notizia portata da Predu Maria rompeva la monotonia dei giorni di miseria e forse giungeva in tempo ad evitare giorni peggiori.
— Il notaio, chi lo paga? — ella chiese, deponendo la sua scodella. — Per decoro, bisognerà almeno pagarlo a metà.
— Potrà pagare tutto lui, il vecchio corvo, — disse Sebastiana, che ad ogni occasione ingiuriava il suo antico padrone. — Non si rovinerà per questo.
Ma Predu Maria non dava mai ascolto alle parole di sua moglie: essa parlava sempre alla leggera, da vera bambina, ed egli preferiva seguire i consigli della suocera, o almeno fingeva di seguirli.
— Non ci pensate, — disse dignitosamente. — Qualcuno pagherà. L’importante è che si concluda domani, se no ho paura che qualche amico ci metta i bastoni fra le ruote.
La maestra domandò pensierosa:
— Bruno, hai detto, doveva scender giù stasera?
— Sì, ma egli è stato il primo a consigliarmi, e appoggierà la mia domanda.
— Dopo quanto hai raccontato, io mi fido poco di lui.
— Oh, son cose passate! Del resto, nel mondo ne succedono tante!
Sebastiana continuava a mangiare, con gli occhi fissi entro la scodella, e senza sollevar la testa disse lentamente:
— Adesso Marielène schiatterà, la vipera velenosa! L’ho veduta, stamattina: sembra una capra gialla e consunta.
— Si vede che il matrimonio non le fa bene.... come fa bene a noi! — disse Predu Maria, gonfiando le guancie. — Noi, pace e amore, siamo grassi e rossi, come le cipolle che mangiamo: loro, coi loro quattrini, diventano gialli e magri.
— Però si voglion bene, — osservò la suocera con malizia, — può darsi che diventino magri appunto perchè si voglion troppo bene.
Egli rise ma non replicò; e Sebastiana finse di non capire, perchè sapeva che suo marito la credeva innocente come una bimba di sette anni, e voleva conservargli questa illusione.
— L’ho veduta, — riprese — e mi ha fermato domandandomi se era vero che ero incinta. Io le dissi: no, ma non sono ancora disperata. Ella capì che volevo dire per lei, e aggiunse: meglio rimaner libere, così si lavora di più, si hanno meno pensieri. Io replicai: a che serve la ricchezza quando non si hanno figliuoli?
— E lei poteva dirti: non c’è pericolo che le tue ricchezze, anche se non avrai figli, vadano disperse!
— Chi può sapere i segreti dell’avvenire? — sentenziò la maestra, sfregando un pomodoro su un pezzo di pane d’orzo. — Si son visti dei mendicanti diventare proprietari.
Ed entrambi, genero e suocera, cominciarono a far progetti per l’avvenire. Il posto di dispensiere fruttava dalle cento alle cento venti lire al mese, una vera ricchezza per gente parca come loro, che viveva con una lira al giorno.
— Lorenzo avrebbe potuto farsi ricco, — disse Predu Maria, — egli che era senza famiglia, ma ha tutti i vizi del mondo, e sogna sempre come una femminuccia. Ora pare che abbia ricevuto denari dai parenti e dice che andrà in Continente in cerca di fortuna. Gli altri vengono qui di là, come Bruno; e lui invece se ne va! E può darsi che trovi: è capace di tutto....
— Io l’ho veduto a confessarsi, — disse la maestra.
— Ce n’è della gente che prima va a confessarsi, poi va a rubare, — rimbeccò Sebastiana.
La maestra la guardò severa.
— Tu sta zitta, miscredente....
— La gente onesta non ha bisogno di confessarsi....
— Se non stai zitta ti dò uno schiaffo.
Ella tacque. Ella poteva dire qualsiasi insolenza a suo marito, ma davanti a sua madre doveva misurare le sue parole.
— Lasciatela dire, — osservò mollemente Predu Maria, — forse ha ragione.
E come un’ombra gli velò gli occhi. Egli ricordava la sua confessione prima delle nozze. Il confessore indulgente gli aveva domandato conto del compenso ricevuto per la sua iniquità; ed egli aveva risposto: l’ho già speso. Infatti aveva già comprato i doni per Sebastiana, il rosario di madreperla con la croce d’oro, i bottoni in filigrana, lo stuzzicadenti e anche il libro da messa. Considerato dunque che i quattrini erano spariti, il confessore domandò al penitente se almeno era pentito e deciso a non peccare più; e non insistè neanche troppo, forse ritenendo la domanda un po’ inutile dal momento che il penitente era lì inginocchiato e mortificato davanti a lui.
Appena ebbero finito di mangiare, Predu Maria andò in cerca del suo antico compagno, col quale era di nuovo in buone relazioni, e le due donne sedettero sulle pietre della scaletta, e ricominciarono a far progetti per l’avvenire. La maestra si guardava attorno, sollevava la testa imponente, e parlava più a sè stessa che a sua figlia.
— Fabbricheremo il muro dell’orto, rifaremo la scala e daremo la tinta alle finestre....
— E il cappotto di Predu? Voi dimenticate che è tutto bucato come il cappotto di un bandito.
— Piano, piano, figlia mia: prima le cose più importanti. Il muro è il più necessario. Chiuso che sia, l’orto acquista più valore.
— Ah, ah, le cose più importanti? E le mie scarpe allora? Esse par che ridano, tanto i loro buchi s’allargano!
— Tu sei egoista e civetta, figlia mia, tu hai un paio di scarpette nuovissime, signorili, e ne pretendi subito un altro paio. In casa puoi stare scalza, come ci sto io: non morrai per questo.
Ma Sebastiana era sarcastica quella sera, e sotto l’accento leggero e quasi infantile delle sue parole si celava una profonda amarezza.
— Io non voglio stare scalza. Peggio per voi che mi avete fatto sposare un borghese! Ora poi che diventerà un riccone....
— La lingua in bocca, figlia mia! Io ti ho fatto sposare un galantuomo. Ti sei pentita, forse? Ti è mancato nulla, dopo che ti sei sposata? Ti ha forse mai bastonato tuo marito?
Sebastiana si mise a ridere, tanto le sembrava comica l’idea che Predu Maria potesse bastonarla: ma la sua risata irritò la maestra.
— Perchè ridi? Non ti correggerai mai più, Sebastiana? Tu non dovresti riderti di me, che sono tua madre; onora il padre e la madre finchè vivono sopra la terra.... ma tu i comandamenti li hai buttati in fondo al pozzo.
— Non ridevo di voi....
— Di chi dunque? Di tuo marito? Tu devi adorarlo, tuo marito; senza di lui tu saresti finita male!
Ogni volta che sua madre toccava quel tasto Sebastiana diventava seria e pareva si vergognasse e si pentisse del suo passato; non replicò, dunque, ma corrugò le sottili sopracciglia nere e si offuscò in viso.
— Mettiti bene in mente che tu sei ancora giovane, e che il tuo cranio invece di cervello contiene acqua; ma ricordati pure che io son qui, per tua buona sorte, e che ti guiderò come il pastore guida la pecora, col bastone e col vincastro. Che sarebbe avvenuto di te, se non prendevi marito? È stata la mia energia, è stata la mia astuzia che ti hanno salvata. Sono io che ho mandato a vuoto le mire del vecchio astore; sono io che son riuscita ad assicurare la tua felicità. Del resto, una buona madre non deve avere altri intenti, e il mio scopo è solo quello di pensare a te e a tuo marito; ma tu, tu almeno dovresti tacere ed essermi riconoscente....
Sebastiana era abituata a queste prediche e qualche volta non le ascoltava neppure, ma non replicava mai per paura degli schiaffi materni.
Un po’ indolente ella si abbandonava al suo destino, dimenticandosi che aveva sognato di viver bene e di far la signora, e più per paura di sua madre che per paura di suo marito, rispondeva sempre no alle proposte prudenti e segrete che il suo ex padrone continuava a farle. Anche adesso non s’illudeva: lo speculatore favoriva Predu Maria perchè sperava d’intenerirla; ma non le veniva neppure in mente l’idea di dire alla maestra che anche lei, sua madre, con tutta la sua austera morale, non poteva non sospettare la causa delle benevolenze del Perrò. Perchè irritarla inutilmente? Perchè guastarsi il sangue, giusto in quella sera di gioia?
Mentre la maestra continuava la sua lezione, senza muoversi, dritta sul busto, con le mani composte sul grembo, imponente e nera alla luna come un idolo preistorico, Sebastiana s’abbandonava ai suoi sogni e alle sue fantasticherie, senza saper bene quello che voleva, quello che desiderava, pensando al suo fazzoletto nuovo o alle sue scarpe rotte con la stessa gioia e lo stesso dispetto con cui pensava ad un avvenire migliore o alla crescente fortuna di Marielène.
Soddisfatta della sua predica, la maestra finalmente tacque, e dopo qualche momento andò a coricarsi nella sua camera al pian terreno attigua alla cucina. Sebastiana rimase fuori, in attesa del marito. Non aveva sonno, e mille pensieri le passavano in mente, vaghi e cangianti come le nuvole che viaggiavano in cielo.
La notte era calda e velata, e la luna circondata da un’aureola verdastra appariva e spariva e talvolta pareva si affondasse fra le nuvole simili a grandi mucchi di veli biancastri; tutto era silenzio e chiaroscuro, e Sebastiana ripensava al suo ex padrone, alle saponette che egli le aveva regalate, ai viaggi che ella aveva sognato di fare con lui; e non si doleva che tutti i suoi sogni fossero spariti, e a forza di sentirselo dire da sua madre ammetteva anche di essere stata troppo leggera accettando l’omaggio di un uomo come lo speculatore; ma pensava a lui con dispetto, perchè egli non aveva saputo nè voluto proteggerla, e non perdonava a Predu Maria di esser stato la causa, sebbene involontaria, di tanti avvenimenti. Ma ella considerava suo marito come un uomo leggero e debole, e lo compativa perchè egli, pur non mostrandosi troppo appassionato, la amava profondamente e la credeva così pura e aveva tanta fiducia in lei che ella, senza il controllo della maestra, avrebbe potuto anche tradirlo impunemente. Ma ella non pensava a tradirlo, anche perchè talvolta aveva l’impressione che tutto ormai fosse finito per lei: lo speculatore poteva pur regalarle un milione, ella non l’avrebbe accettato perchè non sapeva che farsene.