Il nostro padrone/Parte prima/X
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X.
Ma l’indomani mattina egli s’era appena rimesso al lavoro quando vide passare Antoni Maria a cavallo; e il suo primo movimento fu di abbassare la scure e di cercare di nasconderla quasi avesse vergogna di esser visto a lavorare; ma poi gridò:
— Oh, Antoni Maria, e che non mi vedi? — e siccome l’altro fingeva di non sentirlo gli corse appresso e battè le mani per invitarlo a fermarsi.
Antonio Maria fermò il cavallo e si curvò alquanto sulla sella.
— Ebbene, Gerusalè, ti giova quest’aria fresca?
— Molto. Ho dormito tutta la notte.
— Si vede che il tuo destino era quello di raschiare scorza!
Predu Maria sospirò e imitò il tono sarcastico del suo amico:
— Pazienza! Non tutti possiamo vivere di rendita, come te.
— Immondezza! Sta zitto almeno, se non hai moneta da pagarmi. Lasciami passare!
— Ma dove vai, a quest’ora?
— Sono stato nella mia tanca, e adesso vado dove mi pare e piace.
Predu Maria sorrise perchè sapeva che la tanca Moro non sarebbe mai appartenuta al suo ex compagno di pena; tuttavia seguì con uno sguardo quasi d’invidia quella figura un po’ cascante, abbandonata con indolenza sulla sella del cavallino energico e risoluto che pareva s’incaricasse di portare il suo cavaliere ove questi voleva arrivare.
— Egli no, non s’abbasserebbe mai a questo! Prima s’impiccherebbe! — pensò tornando al suo lavoro; e gli parve che la scure gli pesasse in mano, e il suo viso riprese la solita maschera di tristezza e di scontento.
Poco dopo passarono di là lo speculatore e il capo‐macchia, e il primo domandò a Predu Maria notizie sul suo paese, sui boschi di alcuni proprietari suoi compaesani, e se conosceva la nonna di Antonio Maria Moro.
— Conosco il nipote, che poco fa è passato di qui, dopo essere stato nella sua tanca.
— Come, la tanca è sua?
— Egli così dice!
— Non credo, — disse il Perrò. — Egli non la lascerebbe nello stato in cui adesso si trova. Non è un giovane ignorante.
— Sì, — confermò Bruno. — Quel bosco è in mani di gente stupida; le piante sono troppo fitte e non producono e si guastano inutilmente.
Allora Predu Maria disse con malizia:
— Bisognerebbe diboscare.
— Bravo! Ma la vecchia non permette che si tocchi neppure la ramaglia secca. Un giorno o l’altro scoppierà qualche incendio, — riprese Bruno.
— Il pericolo è più nostro che loro! — gridò lo speculatore allarmandosi.
Ma Predu Maria ebbe l’impressione che quei due recitassero una scena combinata. D’altronde il capo‐macchia non tardò a spiegargli francamente che il Perrò gli sarebbe stato grato se lui, Predu Maria, riusciva a convincere i Moro a vendergli il bosco.
— Ma se io non conosco la vecchia! Antonio Maria non mi può vedere, adesso....
Bruno insisteva.
— Noi abbiamo assoluto bisogno della tanca, non tanto per le piante come per il passaggio. Il Perrò s’allarma all’idea di un possibile e probabile incendio; ma secondo me un incendio sarebbe utile per noi; la vecchia si deciderebbe a vendere il terreno....
Una sera Lorenzo, mentre gli altri due discutevano sulla possibilità di questo desiderato incendio, disse tranquillamente:
— Se il Perrò sborsa trecento scudi io trovo l’uomo disposto a dar fuoco alla tanca. Perchè mi guardi così, figlio caro? — domandò a Bruno. — Tu fingi di stupirti, ma sai meglio di me che esistono uomini i quali, non per trecento, ma per trenta scudi, sarebbero disposti a incendiare il mondo. Che ne dici, Predu Maria Dejana?
— Trenta scudi son pochi per un crimine tale.
— Mettiamo cinquanta. Mettiamo cento. Eppoi non si tratterebbe di crimine, perchè il Perrò è disposto a pagare egualmente il valore della tanca. La vecchia Moro non perderebbe un centesimo. Coraggio, Predu Maria Dejà, guadagnati questi cento scudi.
— Puoi guadagnarteli tu, — egli disse con rabbia.
— Io sarei subito sospettato.
— Bruno, allora.
— Egli ha paura!
Bruno non protestò. E pensieri foschi attraversarono la mente di Predu Maria; gli sembrò che quei due fossero d’intesa per indurlo all’atto doloso, perchè egli aveva commesso ben altro crimine, ed a loro doveva sembrare naturale che egli potesse diventare anche incendiario. Perchè allora lo volevano in loro compagnia? Ah, per questo appunto! Egli adesso riusciva a spiegarsi il perchè della loro benevolenza, delle gentilezze che gli usavano. E la sua diffidenza e i suoi sospetti aumentarono, perchè nelle sere seguenti Lorenzo insistè tanto nel suo progetto che persino Bruno lo invitò a finirla.
— Il Perrò è un uomo onesto e tu non devi permetterti di scherzare così.
— E allora digli così: Lorenzo s’impegna di fargli vendere la tanca, ma vuole trecento scudi per la senseria. Non un centesimo di più.
Il Dejana pensava talvolta di avvertire Antonio Maria del fosco progetto del dispensiere; ma un senso di orgoglio e di rancore glielo impediva.
Il suo ex compagno pareva lo avesse davvero rinnegato, e se qualche volta passava di là volgeva la testa dall’altra parte e neppure lo salutava. Egli dunque si sentiva solo, più che non lo fosse stato in «quel luogo». Scambiava qualche parola con gli altri lavoranti; ma essi erano così miserabili, affamati e pieni di guaj, che la loro amicizia riusciva fastidiosa.
Una notte — le sere si facevano tiepide e i crepuscoli lunghi — egli sentì la sua storia raccontata da un «lavorante» a un gruppo di compagni sdrajati per terra.
— Egli era il più ricco del suo paese.... aveva uno zio prete che calzava sempre calze di seta e scarpe con fibbie d’oro.... Egli era un discolo.... Quando uccise suo padre aveva sedici anni.... E un servo, suo complice, fu condannato all’ergastolo....
La voce pareva uscir di sotterra, quasi flebile, ma lenta e dolce: l’uomo raccontava evidentemente con piacere la fosca storia, travisandola, e Predu Maria si morsicò i pugni, e fu per slanciarsi in mezzo a quegli uomini che dopo la giornata faticosa si assopivano pensando male di lui con voluttà crudele, come i bimbi quando ascoltano una fiaba paurosa; ma poi si ritrasse, quasi spinto dall’onda delle sue solite considerazioni: castigo, penitenza, volontà di Dio e simili cose.
Nelle sere seguenti egli non andò più da Lorenzo.
A quell’ora i lavoranti, buttati qua e là per terra, dormivano e sembravano morti. Anche lui si sdrajava fuor della capanna e ricordava il passato e provava un senso di tristezza come se si trovasse ancora in «quel luogo»: la prigione era grande, per dire il vero, ma era egualmente coperta da una volta grigiastra, circondata da visioni incerte e da muraglie cupe, e popolata di uomini condannati ai lavori forzati a vita.
Egli si addormentava pregando, ma anche in sogno aveva un bel ripetere le solite cose: castigo, penitenza, volontà di Dio.... si sentiva già stanco di quella vita miserabile e pensava che le sue vesti cadevano a brandelli, che la sua biancheria puzzava, e che quasi tutto il suo lavoro veniva scontato dalle note del dispensiere.
Una sera confessò a sè stesso il suo desiderio d’andarsene. Ma dove andare? Gli pareva che il suo destino fosse come la sua camicia: più egli s’ingegnava a rattopparla più quella si strappava. Così, giorno per giorno, finì col convincersi che forse la sua ultima risorsa era il matrimonio con Marielène.
Una domenica ai primi di giugno scese dunque a Nuoro e andò alla messa cantata: nell’uscire di chiesa vide Sebastiana che se ne tornava lentamente a casa, e notò che tutti, uomini e donne, si voltavano a guardarla. Ella aveva qualche cosa che la distingueva dalle altre paesane; camminava dondolandosi, a testa alta, e guardava innanzi a sè con aria sprezzante; e il suo fazzoletto messo con arte civettuola lasciava scorgere alquanto i bei capelli lucenti, e le sue scarpe scricchiolavano. Gli uomini, pure ammirandola, mormoravano al suo passaggio.
Predu Maria fu colpito da quella bellezza un po’ insolente, da quella eleganza alquanto affettata, e ricordò i discorsi di Lorenzo e di Bruno; sì, era una bellezza pericolosa, quella di Sebastiana; ma più che dalla bellezza di lei, egli in quel momento fu turbato da un altro pensiero.
— Se io fossi andato da Marielène l’avrei trovata sola!
Affrettò il passo, raggiunse la ragazza davanti al cortiletto di Antonio Maria; e senza sapere precisamente che cosa volesse da lei la chiamò per nome, e quando ella si fermò le strinse la mano, tenendogliela con ostinazione fra le sue.
— Bruno ti saluta, — le disse con malizia, — e tu, non hai nulla da dirmi per lui?
Ella lo guardava con curiosità, e pareva alquanto offesa per la libertà che egli si prendeva: ma quando sentì il nome di Bruno sorrise e con la mano libera afferrò le dita di lui, torcendogliele alquanto per liberarsi dalla sua stretta.
Una donna che passava in fondo alla strada si volse a guardarli.
— Gli dirai, al tuo amico Bruno, che se ha caldo si prenda un bagno d’acqua gelata.
— Vieni qua dentro, chiacchieriamo un po’. Dicono che sei la più bella del mondo, — egli disse, attirandola dentro il cortiletto deserto, — e so che un giovinotto ha il tuo ritratto e che lo tiene sul cuore.
Ella si dibatteva, ma lo seguì fin dietro il portone, domandando a voce alta:
— Chi? Chi?
— Te lo dico se anche tu mi dici una cosa.
— Sì, ma lasciami!
— È vero che Marielène si sposa? Cioè, che il padrone la sposa?
— Questo poi no! — gridò Sebastiana, battendo le mani. Subito però si pentì e aggiunse: — io non so nulla dei fatti loro. Dimmi piuttosto chi è che si vanta d’avere il mio ritratto.
— L’ho detto per scherzo!
— E allora va e corri!
Ella si volse indispettita, ed egli non la trattenne oltre. Senza guardare se Antonio Maria era in casa anche lui uscì e ritornò sul Monte.