Pagina:Deledda - Il nostro padrone, Milano, Treves, 1920.djvu/95


— 89 —


sua degradazione. Per un momento parve che l’albero e l’uomo, discendente di una razza che forse un giorno aveva considerato la pianta quasi come un essere amico e protettore, stessero l’uno di fronte all’altro come due amici diventati nemici.

Ma dopo un attimo di esitazione l’uomo sollevò la scure e pensò:

— Forse anche questo è un castigo.

La pianta fremette e le sue foglie caddero come lagrime. E il picchio dell’accetta di Predu Maria si fuse col rumore delle altre scuri, e a poco a poco egli si abituò, non al suo lavoro, ma alla sua umiliazione.

Cadde la sera; egli sedette davanti a una delle capanne e svolse il fazzoletto ove teneva le sue scarse provviste; ma non aveva fame e sentiva una grande stanchezza, un amaro senso di abbandono: e nessuno degli altri poveri «lavoranti» le cui figure si movevano nel crepuscolo come ombre melanconiche, gli sembrava più misero e più solo di lui. Ma a un tratto una voce lo chiamò: egli balzò in piedi e vide Bruno che passava dietro la capanna e lo invitava a seguirlo. Andarono sotto la tettoia e sedettero intorno al rozzo tavolo su cui Lorenzo aveva già preparato le carte e una bottiglia di vino.