Il mondo è rotondo/XVI
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Capitolo XVI.
Le prodezze di Biagino.
Al mattino la Elena entrò nella camera da letto di Beatus tutta festante:
— Guardate, signo’, che bella cosa sono riuscita a comperare per voi. Sentirete che brodo vi faccio. — E sollevò davanti a Beatus Renatus mezza testa di tacchino, alla quale era attaccato un metro di mezzo collo, tutto a verruche paonazze e rosse, a cui era attaccata un’ala. — Sette lire, signo’! ma sta ’na femmina che è meglio assai.
Beatus ringraziò la bimbetta, e computava a quale prezzo poteva arrivare tutta una tacchina femmina. Ma poco dopo la bimbetta entrò tutta sconsolata; e battè palma a palma.
— Ih, signo’, il gallinaccio non c’è più! Biagino se l’è mangiato.
Disse Beatus:
— Dovevi stare più attenta.
— Più attenta, signo’, che mettere la carne nella pentola? Biagino se l’è pescata dentro la pentola. Biagino è un ladro!
— Nel nostro linguaggio così infatti si dice — disse Beatus.
Beatus rivedeva Biagino quando era piccino, e gli era tanto amico: appariva fra le carte del suo scrittoio con improvvisi rumori, o posava su un volume della sapienza, o guardava come una damina sentimentale, col suo manicotto. Poi scendeva dal volume, saliva su la sua spalla, scendeva giù, e con la zampina pareva interessarsi del libro che Beatus leggeva.
«Tu molto amavi, o Biagino, i libri, il mio studio, la mia persona».
«Il tuo caldo», avrebbe risposto Biagino.
«Come è strano questo apparecchio del cervello che dà il colore sentimentale alle immagini!»
La bimbetta ritornò e disse:
— Biagino va a rubare anche fuori di casa. Il marchese che sta al primo piano, tutte le volte che lo incontra per le scale, gli tira un calcio. Ma Biagino è svelto, e quando vede il marchese, fugge come un lampo.
Questo particolare spiacque a Beatus: sì, Biagino è un ladro e un micidiale, ma il marchese sa che è sua proprietà; e il calcio tirato a Biagino, Beatus se lo sentì ripercuotere su la sua persona. Come è diffuso il sistema nervoso della proprietà! E poi un marchese che tira calci! Ma in origine anch’essi tiravano calci; poi presero il nome di marchesi, baroni, conti, quando non tirarono più morsi e calci.
Ma la bimbetta ritornò per la terza volta tutta festante. Scolastica era tornata. Confabulava giù a basso con la signora Alice.
Scolastica tornò in casa.
Beatus nulla disse; e Scolastica nemmeno.
Quando Beatus si sentì bene, promise alla bimbetta che la avrebbe condotta a pranzo nel ristorante, e poi al cinematografo. La donna del sud pregò di aspettare, finchè le avesse cucito un abitino e un cappellino degno per uscire col signor cavaliere. Beatus disse a Scolastica di comperare un paio di scarpette, gran dono a quei tempi.
Il primo giorno che Beatus uscì di casa, sentì giù per le scale un odore di acido fenico. Proveniva dalla porta stemmata del marchese al primo piano.
— Perchè questo fetore? — si domandò Beatus. Ma la risposta fu data dal marchese stesso che usciva in quel momento.
Il signor marchese, quello che tirava calci, si scontrò a naso a naso con Beatus, in quanto ambedue erano della stessa statura, e della stessa età; e non essendo deciso chi sia superiore, se un marchese o un cavaliere e uomo universitario, si salutarono contemporaneamente.
— Ma lei sta bene, — disse il marchese non senza stupore. — La portinaia....
— Precorre la storia — continuò Beatus; — e avrà annunciato la mia morte.
— Questo precisamente no, — rispose il marchese, — ma la marchesa mia moglie ne fu impressionatissima. Volevamo andare nel nostro feudo, ma anche laggiù la malattia fa stragge! Guarda, dicevamo, questa casa è la sola che sia rimasta immune....
— E mi sono ammalato io. Creda che ne sono mortificato.
— Già! E allora la mia signora sparge per le scale l’acido fenico.
Il signor marchese parlava con dignità, in modo da far cadere e far sentire tutte le sue parole.
Beatus, dunque, non era agli occhi della signora marchesa che un agente di infezione: un uomo porta—bacilli, che spaventava una dama. Che cosa sarebbe stato se la avesse spaventata con la sua bara giù per le scale?
— Io la prego, — disse Beatus, — di presentare le mie scuse alla signora marchesa.
In quel punto, nel vano del cancello, apparve Biagino; ma appena visto il marchese, saettò come fulmine.
— Ah, signor cavaliere! — esclamò il marchese, — quel gatto è un masnadiero!
E lo disse in certo modo che parve masnadiero fosse un po’ anche lui, il proprietario di Biagino.
— Io le racconterò un fatto che vale per tutti, — continuò il marchese. — La marchesa, mia signora, aveva comperato un chilo di triglie, splendide! Quelle di scoglio. E lei sa che cosa vuol dire oggi un chilo di triglie di scoglio! Noi eravamo andati a spasso con un nostro ospite: il deputato del nostro collegio. La domestica godeva del riposo domenicale. Noi avevamo lasciato le triglie belle e pronte su di un piatto. Torniamo a casa; e le triglie non c’erano più!
Qui si fermò il marchese tanto che Beatus assaporasse tutta la mortificazione di essere non soltanto l’agente dell’epidemia spagnola, ma il proprietario di Biagino.
— E veramente, — proseguì il marchese, — il nostro ospite, che è anche un avvocato principe, ci faceva osservare che il codice contempla il caso all’articolo 429: va esente da pena, e perciò è lecito uccidere o altrimenti rendere inservibili, questi animali appartenenti ad altri, ma sorpresi nel momento in cui recano danno. Soltanto non abbiamo sorpreso; e poi per deferenza verso di lei....
Beatus ascoltò il codice come distratto da quella consacrazione che è nel codice: è lecito uccidere. Ringraziò della deferenza, e rispose riconoscendo di aver male posto i suoi affetti sopra Biagino.
— Questa cosa mi fa molto piacere, — rispose il marchese; e dovea essere questo il principale argomento del suo colloquio, perchè prese tosto commiato, dicendo, con un sorriso che gli fece girare tutte le rughe del volto: — Perdoni se in momenti come questi non le stringo la mano.
E Beatus andò a destra e il marchese a sinistra; con quel suo passo riservato che parea camminar sopra le uova.
Beatus lo seguitò con lo sguardo, e fu molto sorpreso da questo suo pensiero: «Bravo Biagino, masnadiero forte. Portagli via anche il feudo».