Il mistero del poeta/XLII
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XLII.
Fu appunto a bordo della bianca e verde Criemhilt, tornando da una gita a St. Goar che Violet mi disse:
— Cosa ti scrivono i tuoi amici? Lo sanno che fai questa follia?
Eravamo in mezzo a una folla di signore e signori e Violet si divertiva a dirmi ogni sorta di cose da farsi baciare o mordere, sapendo che non potevo fare nè l’una nè l’altra cosa.
— Tu taci — soggiunse con gli occhi maliziosi di quella Violet che avevo veduta un istante nei boschi di Heidelberg. — Si vede che non l’hai osato. Ti vergogni di me. Tu vorresti abbracciarmi adesso tanto per non avere a rispondere, ma non hai neppure il coraggio di far questo. E io sarei tanto felice se tu sapessi disprezzare per amor mio questi rispetti umani; io sarei capace di disprezzare tutta la gente intorno a noi. — No, pietà, no, ti scongiuro — diss’ella sottovoce, atterrita dall’atto ch’io feci di pigliar sul serio le sue provocazioni. Mi rifece più tardi la stessa domanda di prima, sul serio. Dovetti allora confessarle che in Italia nessuno sapeva niente dei miei amori tranne mio fratello.
Violet tacque un poco.
— Ecco — disse poi — se ora cadessi nel Reno in Italia non si saprebbe neppure che ci siamo conosciuti. Perchè tu non diresti mai niente, non è vero?
Tardavo a rispondere.
— Oh sì — diss’ella — promettimi che non diresti niente! Mi basta di vivere in te, non mi piace di pensare che il nostro amore vada, senza necessità, per le bocche di tanta gente. Parleresti solo se in Italia si venisse a sapere qualche cosa e si dicesse ch’ero un’amante non una fidanzata.
— Violet — risposi — non rattristiamoci inutilmente così! Pensiamo invece a preparare la lista di tutti i nostri parenti e conoscenti d’Italia, di Germania e d’Inghilterra a cui si dovrà mandare la partecipazione.
— Sì — diss’ella — questo è necessario; lo faremo. Però mi pesa, molto più ora, sapendo che nè tu nè io abbiamo amici nè parenti che possano esser felici di vedere felici noi. Ma lo faremo, lo faremo.
Ella tornò quindi a domandarmi se, avendo a perderla, parlerei mai più di lei con alcuno e non mi diede tregua fino a che non ebbi risposto che avrei sofferto moltissimo di non poter parlare di lei a cuore aperto, con qualcuno che fosse contento di ascoltarmi. Feci allora una vaga allusione a Lei, amica mia.
— Hai Emma Steele — diss’ella.
— A proposito, quei poveri Steele! — esclamai per cambiar discorso. — Li lasciamo un po’ troppo soli, mi pare.
Ci alzammo dal nostro posto di prora e li raggiungemmo alla poppa. Violet si mise a discorrere colla signora Emma e l’amico Paolo mi fece una dissertazione sui vigneti che, scarsi di vegetazione e mondi affatto d’erba, avevano un aspetto fra giallognolo e grigio, quasi triste, sotto i boschi vigorosi delle cime. A Oberwesel mi parve veder salire sul vapore, con ombrello e bastone, certo piccolo personaggio da me conosciuto; mi spiccai dalla compagnia e andai a stringer la mano al mio caro amico Topler seniore dopo essermi bene assicurato che Topler juniore non era con lui.
Egli fece, ravvisandomi, un gran chiasso da quel buon Schwabe ch’era, e durai fatica a fargli intendere di star cheto, perchè miss Yves era sul battello e non avevo piacere, desiderando evitarle ogni emozione, ch’ella si avvedesse di lui.
— Geloso, geloso, geloso! — diss’egli. — Avete ragione; era innamorata di me.
Mi raccontò che era andato a Oberwesel a trovare un amico pittore, che aveva visitato non solamente die Katze, ma anche die Maus (due rovine di castelli) e che adesso andava a trovare una signora a Kreuznach, per cui sarebbe disceso a Bingen. Conosceva molto imperfettamente gli avvenimenti di Norimberga e mi domandò come ci trovassimo lì. Io non gli avrei chiesto del professore; fu lui che mi disse d’essere abbastanza contento, senza spiegarsi di più.
Intanto il cielo s’era venuto oscurando e un improvviso rovescio di pioggia mise lo scompiglio sul battello. Corsi da Violet, ma ella era già discesa sotto coperta, e trovai una tal ressa di gente sulla scala che dovetti rinunciare a scendere io pure e mi rifugiai sotto l’immenso ombrello verde di Topler. Egli sapeva il Reno a memoria, ma n’era entusiasta come un giovane che lo vede per la prima volta, si affacciava ai parapetti del vapore col lungo naso al vento, tutto ridente di ammirazione, noncurante della pioggia; mi domandava se fossi stato qua, se fossi stato là, mi suggeriva gite opportune anche per Violet, mi fece promettere di visitar con lei il Drachenfels nel Siebengebirg. Gli dissi che avevo il progetto di andare a Wetzlar per le memorie di Goethe e lo vidi rannuvolarsi tutto.
— No, no — diss’egli bruscamente — non andate a Wetzlar.
— Perchè? — esclamai sorpreso — Che male ci sarebbe?
— Non ne vale la pena — rispose Topler, e si mise a parlarmi di Rheinstein, la cui bandiera e i baluardi merlati, ritti sopra uno scoglio a picco, apparivano allora dietro ondate di pioggia tra le boscaglie della riva sinistra, in faccia ad Assmannshausen. Questo contegno del mio vecchio amico mi pareva misterioso e non me lo sapevo spiegare se non supponendo che Topler juniore fosse a Wetzlar. Non avevo ancora parlato con Violet di questa gita e risolsi subito in cuor mio di non parlargliene più.
Topler discese a Bingen. Prima ancora che si ripartisse smise di piovere e si fece la traversata da Bingen a Rüdesheim con un riso splendido di cielo e di Reno. Violet era felice, scherzava, rideva; quanto a me non mi sentivo allegro, mi pareva aver qualcosa sul cuore, e non sapevo che.