Il mistero del poeta/XLI
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XLI.
I versi che seguono furono probabilmente scritti alcuni giorni dopo Heidelberg perchè so di averli pensati alla finestra dell’albergo, appena sorta la luna; e ricordo ch’era oltre la mezzanotte. La luna si alzava a sinistra, rossastra e falcata, di là dal Reno, sopra Ingelheim; un obliquo raggio dorato tagliava le tenebre del fiume.
— Sai — dissi a Violet l’indomani mattina in presenza degli Steele — stanotte si è trovato il tesoro dei Nibelunghi.
Lo dissi con un tale accento di sincerità che la signora Steele si lasciò sfuggire un oh!
— L’ho trovato io — soggiunsi — Ed è tutto per miss Yves.
E le diedi questi versi:
Sorge la luna e l’oro |
Dovevamo andare a Bingen, quella mattina, col vaporetto e quindi al Maüsethurm, e ci eravamo dato convegno allo sbarco. Violet vi era andata quasi un’ora prima per farvi uno studio di acqua e di cielo. Prese i versi e mi ringraziò con un lungo sguardo mentre gli Steele consideravano il suo lavoro.
— Violet lo ha già dipinto e Lei lo dipingerà, il nostro Reno — mi disse la signora Steele.
— Lo ha già dipinto anche lui — mormorò Violet.
— Io? — esclamai, sorpreso.
— Pare di sì — disse la signora Steele con un sorriso interrogativo.
— Ma è la prima volta — replicai — che vedo il Reno.
— Faccia così — disse il signor Steele — ce lo dipinga adesso, ci scriva cosa vede. Sentiamo come vede un poeta e sapremo se dipinge meglio Lei o miss Yves.
Gli Steele erano come ragazzi che quando passa loro per la testa un’idea assurda se ne ubriacano e nessuno è capace di levargliela. Non ci fu verso ch’io potessi sottrarmi a un tale capriccio quantunque mi sentissi ridicolo. Avrei creduto che Violet mi aiutasse; invece si unì agli altri due contro di me e volle darmi ella stessa la carta e la matita.
Là dov’eravamo il fiume ci discendeva da levante diritto incontro, chiaro come il cielo a perdita d’occhio, con la sua larga distesa d’acque egualmente veloci, che appena una sottile striscia di case e di alberi divideva, in faccia a noi, dall’orizzonte, fra il tozzo nero Adlerthurm di Rüdesheim a sinistra e verdi pioppi di isole, sfondi azzurri di colline a destra. Presso a noi, lungo la riva destra, una riga di barche nere si dondolava sull’acqua tutta bollimenti e luccicori intorno alle catene tese delle ancore. Il fumo di un vapore, la Criemhilt, alzandosi a globi s’inargentava nel sole. Credo avere indicato così, o presso a poco, ciò che vedevo; non ho più quel foglietto che gettai subito nel fiume.
— Ecco — disse Steele — io, che non sono poeta, vedo una grande quantità di acqua, molta più del necessario; non guardo i pioppi ma il mio vigneto del Rochusberg che ha un’aria assai malinconica; la mia vista prima di arrivare all’Adlerthurm, si ferma sulla gobba del suo cameriere dell’Hôtel Krass che sta pescando alla lenza qui vicino; la quale gobba non mi pare poi indegna di essere osservata da un poeta. Del resto mi permetta di dar la palma a miss Yves perchè Lei non ci ha nemmeno detto che colore abbia l’acqua del Reno.
Risposi che davanti a tedeschi avrei preferito definire il colore della metafisica di Hegel anzi che quello del Reno. Violet mi disse più tardi, sul vaporetto, che quanto avevo veduto io, l’aveva veduto anche lei come pittrice, ma che quella non era poesia, non era il Reno, era un fiume qualsiasi. Il Reno lo avevo veduto più da poeta, parevale, la prima volta, nel mio pensiero eccitato dal Rudesheimer, lo avevo meglio dipinto senza dipingerlo, in un verso solo:
Bevo e mi veggo sorgere dentro al pensier profondo |
— Questo è il Reno vero — diss’ella.