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V VII
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VI.

Ad Ilda non manca più nulla. Ha il giardino, il lago e la sua amica. Che le importa se gli uomini gravi, i personaggi illustri si riuniscono nel salotto o sulla terrazza assieme alla zia? Il regno delle due fanciulle è il giardino; lo scorazzano per dritto e per traverso, s’arrampicano sui rialzi di terreno, colgono i fiori a piene mani e si siedono a chiacchierare all’ombra del platano, che se potesse parlare racconterebbe i loro discorsi ingenui, le loro simpatie, le loro aspirazioni; ma sono cose che non interessano ed è meglio non le possa ridire. [p. 59 modifica]

I discorsi interessanti si fanno invece nel salotto e non può essere diversamente colla varietà e qualità di persone che lo frequentano. Spesso avviene qualche cambiamento; parte un deputato e arriva un professore, oppure un senatore dà il cambio ad un ministro; sono tutti personaggi che contano nel mondo, ma che devono contare anche un bel numero d’anni; sono quasi tutti calvi e bianchi, alcuni divertenti, ma altri, anche un pochino noiosi.

La zia è felice in mezzo a loro che le fanno una corte rispettosa, tanto che si crede anche lei un personaggio importante e va dicendo che non potrebbe più trovarsi bene in un’altra società dacche s’è abituata ad avere intorno a sè delle persone intelligenti e parla con disprezzo delle conversazioni scipite dei giovanotti alla moda.

Noi ragazze ci troviamo con quei [p. 60 modifica] personaggi, che a dir vero ci danno un po’ di soggezione, soltanto all’ora della colazione o del pranzo, essi sono graziosi con noi, scherzano, ma ci trattano troppo da bimbe. C’è fra gli altri un commendatore che ci vuol far sempre dei complimenti; un giorno mentre si entrava ci disse:

— Ecco la primavera....

La zia si ribellò:

— Che? Intende forse che gli altri siano l’autunno o l’inverno?

— No, — rispose galantemente il commendatore, — noi siamo l’autunno e lei una splendida estate.

La zia sorrise, ma non fu malcontenta.

Qualche volta però quei signori si lasciavano trascinare a certi discorsi che non erano convenienti per noi ragazze, noi si fingeva di non capire, ma c’imbarazzavano. La zia faceva dei cenni e mostrava che c’eravamo [p. 61 modifica] noi e spesso riusciva ad interrompere qualche discorso che non si sa dove sarebbe andato a finire.

Noi, terminato il pranzo o la colazione, si correva subito in giardino come uccelli usciti di gabbia, e si capiva benissimo dalle risate che echeggiavano in casa, che in sala continuavano i discorsi interrotti per noi e che la zia ci trovava gusto.

— Come sono indecenti quegli uomini maturi! — osservava Margherita. — Anche gli amici che vengono dal babbo dicono certe cose e credono che io non capisca... però mi pare che anche tua zia ci si diverta.

— È naturale, è anche lei matura.

— Zitto, che non ti senta!

— È impossibile.

— Ma in campagna parlano anche gli alberi.

Infatti qualche volta pareva proprio che [p. 62 modifica] parlassero e attraverso i loro rami udii certi discorsi che mi fecero molto soffrire. Quante volte udii la voce della zia ripetere:

— Come sono imbarazzanti queste ragazze! ed io che non ne avevo sono andata a prendermi un simile impiccio. Sono stata troppo buona.

Pensavo che se la passione degli uomini politici le fosse venuta un anno prima io sarei stata destinata a rimaner chiusa in un collegio per tutta la vita; a qual filo è attaccato qualche volta il destino delle ragazze!

Però intanto capivo chiaramente d’essere d’imbarazzo alla zia e ciò offuscava la mia felicità.

Un giorno lavoravo con Margherita sotto al platano quando la zia mi chiamò.

Dovea certo dirmi qualche cosa di molto grave, mentre da quando s’era data alla [p. 63 modifica] politica e alle scienze, non si occupava più di quella sciocchina di sua nipote e non avrebbe trovato nessun gusto a parlare con lei.

Corsi ubbidiente alla sua chiamata ed essa prendendomi a braccetto mi fece passeggiare su e giù per il giardino dicendomi con dolcezza:

— Sai, Ilda, ho pensato che presto la villeggiatura è terminata e bisogna pensar seriamente al tuo avvenire.

— Quanto sei buona, zia mia! — diss’io dandole un bacio.

— Lasciamo stare le chiacchiere inutili, quello che ho fatto lo feci volentieri e sono contenta, però mi sento invecchiata....

Rimasi sorpresa di udir una cosa simile dalla sua bocca, e stavo per oppormi a questa sua affermazione, ma essa non me ne lasciò il tempo, e soggiunse:

— Capisco, non sono proprio vecchia, [p. 64 modifica] ma non mi sento più la forza di passare le notti intere nelle sale da ballo, ho bisogno d’una vita tranquilla; qualche pranzetto con degli amici seri e intelligenti (i suoi uomini politici), qualche trottata all’aria aperta; un clima temperato nella stagione fredda; insomma capisco che non potrò più dedicarmi a te per molto tempo, perciò ti condurrò ancora nel prossimo inverno in società e ti consiglio di andarvi col fermo proposito di trovarti marito.

Io feci una faccia sorpresa, come cadessi dalle nuvole.

— Via! non ti sarà poi tanto difficile con quel visino, un’altra al mio posto l’avrebbe pensato senza dirtelo, io sono più franca; infine, se vi si conduce in società, è con questo scopo e devi pensarci anche tu invece di star sempre fra le nuvole con Margherita. [p. 65 modifica]

Dunque le sale da ballo non erano che un’esposizione di ragazze, e le signore maritate che cosa ci andavano a fare? Questo era un problema al quale avrei forse trovato la soluzione quando fossi stata maritata. Perchè ormai ero certa che questo giorno sarebbe venuto anche per me.

Corsi da Margherita e mi confidai a lei.

— Hai mai pensato, — dissi, — a prender marito?

Rispose colla sua calma:

— Finora no, ma ci penserò una volta o l’altra, non è bello restar zitelle per tutta la vita, pare che nessuno abbia pensato a noi; poi deve esser piacevole avere una casa proprio sua.

— E magari un marito che fa il tiranno! — diss’io.

— Speriamo di no; infine se troviamo un buon marito tanto meglio, altrimenti [p. 66 modifica] staremo assieme noi due e saremo felici lo stesso, — disse dandomi un bacio.

— E se una di noi trovasse marito e l’altra rimanesse zitella?

— Questo non può essere, — disse Margherita, — facciamo un patto: o tutte e due o nessuna.

— Bene, patto fatto.

E in memoria del nostro patto ci scambiammo uno dei cinque cerchietti d’argento che ciascuna di noi aveva intorno al braccio, tanto che in mezzo al mio braccialetto d’argento opaco vedevo risplendere il cerchietto sfaccettato di Margherita a rammentare la nostra promessa.