LVIII. Dello iddio de' tarteri

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LVIII. Dello iddio de' tarteri
LVII LIX
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LVIII (LXX)

Dello iddio de’ tarteri.

Sappiate che la loro legge è cotale, ch’egli hanno un loro iddio e’ ha nome Natigai, e dicono che quello èe iddio terreno, che guarda i loro figliuoli e loro bestiame e loro biade. E fannogli grande onore e grande riverenza, che ciascuno lo tiene in sua casa; e fannogli di feltro e di panno, e tengongli in loro casse. E ancora fanno la moglie di questo loro iddio, e fannogli figliuoli ancora di panno: la moglie pongono dal lato manco, e’ figliuoli dinanzi. Molto gli fanno onore, quando vengono a mangiare: egli tolgono della carne grassa e ungongli la bocca a quello iddio e alla moglie e a quegli figliuoli,nota poi pigliano del brodo e gittanlo giuso dall’usciuolo ove istá quello iddio. Quando hanno fatto cosí, dicono che il loro iddio e la sua famiglia hae la sua parte. Appresso questo, mangiano e beono: e sappiate ch’egliono beono latte di giumente, e concianlo in tale modo che pare vino bianco, e buono a bere, e chiamanlo «chemisi» (ckemisc). E loro vestimenta sono cotali: li ricchi uomeni vestono di drappi d’oro e di seta e di ricche pelli cebeline e ermine e di vai e di volpe, molto riccamente, e li loro arnesi sono molto di gran valuta: loro armi sono archi e spade e mazze; ma d’archi si aiutano piú che d’altro, imperocchè egli sono troppo buoni arcieri. In loro dosso portano armadura di cuoio di bufolo e d’altre cuoia forti. Egli sono uomeni in battaglia valentri duramente; e dirovvi com’egliono si possono travagliare piú che gli altri uomeni: che, quando bisognerá, egli andrá e stará un mese sanza niuna vivanda, [p. 69 modifica] salvo che vivere di latte di giumente e di carne di loro cacciagioni che prendono; e il suo cavallo viverá d’erba che pascerá, e non gli bisognerá portare nè orzo nè paglia. Egli sono molto ubidienti al loro signore; e sappiate che, quando e’ bisogna, egli andrá e stará tutta notte a cavallo, e il cavallo sempre andrá pascendo; e sono quella gente che piú sostengono travaglio e meno vogliono di spesa, e che piú vivono, e sono per conquistare terre e reami. Egli sono cosí ordinati che,1 quando un signore mena in oste centomila cavalieri, ad ogni mille fae un capo e a ogni diecimila un altro capo, sí che non ha a parlare se non che a dieci uomeni lo signore delli diecimila, e quegli di centomila non ha a parlare se non con dieci; e così ogni uomo risponde al suo capo2. Quando l’oste va per monti e per valle, sempre vanno innanzi dugento uomini a sguardare e altrettanti di dietro e dal lato, perchè l’oste non possa essere assalito che nol sentissoro. E quando egli vanno in oste dalla lunga, portano bottacci di cuoio3 ov’egliono portano loro latte, e una pentola ov’egliono cuocono loro carne, e portano una piccola tenda4 ov’egli fuggono dall’acqua. E sì vi dico che, quando d’elli è bisogno, egliono cavalcano bene dieci giornate senza vivanda che tocchi fuoco, ma vivono del sangue delli loro cavagli, che ciascuno pone la bocca alla vena del suo cavallo e bee. Egli hanno ancora loro latte secco come pasta, e mettono di quel latte nell’acqua e disfannolovi dentro, e poscia il beono.5 E vincono le battaglie altresí fuggendo come cacciando, che, fuggendo, saettano tuttavia, e gli loro cavagli si volgono come cani; e quando gli loro nemici gli credono avere isconfitti cacciandogli, e egliono sono isconfitti egliono: imperciocchè tutti gli loro cavagli sono morti per le loro saette. E quando gli tarteri veggono6 che gli cavagli di coloro che gli cacciavano, morti, egliono si rivolgono a loro [p. 70 modifica] e sconfiggongli per la loro prodezza. E in questo modo hanno giá vinte molte battaglie. Tutto questo che io v’ho contato, e gli costumi, è vero degli diritti tarteri; e ora vi dico che7 sono molti i bastardi, che quegli che usano a Ucaresse (al Catai) mantengono gli costumi degl’idoli e hanno lasciata loro legge, e quegli che usano il Levante tengono la maniera de’ saracini. La giustizia vi si fa come vi dirò. Egli è vero che, se alcuno hae imbolato una piccola cosa ch’egli non ne debba8 perdere persona, egli gli è dato sette bastonate9 o dodici o ventiquattro, e vanno infino alle centosette, secondo che hae fatta l’offesa; e tuttavia ingrossano, giugnendone dieci. E se alcuno hae tolto tanto che debbia perdere la persona, o cavallo o altra gran cosa, si è tagliato per mezzo con una ispada; e se vuole pagare nove cotanti che non vale la cosa ch’egli ha tolta, campa la persona.10 Lo bestiame grosso non si guarda, ma è tutto segnato, sí che colui che ’l trovasse conosce la ’nsegna del signore e rimandalo; pecore e bestiame minuto ben si guardano. Loro bestiame è molto bello e grosso. Ancora vi dico un’altra loro usanza, cioè che fanno matrimoni tra loro di fanciulli morti, cioè a dire: uno uomo hae uno suo fanciullo morto; quando viene nel tempo che gli darebbe moglie se fosse vivo, allotta fa trovare un ch’abbia una fanciulla morta che si faccia a lui, e fanno parentado insieme, e danno la femmina morta all’uomo morto, E di questo fanno fare carte, poscia l’ardono; e quando veggono lo fummo in aria, allotta dicono che la carta ne va nell’altro mondo ove sono li loro figliuoli, e ch’egli si tengono per moglie e per marito nell’altro mondo: egli ne fanno grande nozze,11 e si ne versano assai, e dicono che ne vae a’ figliuoli nell’altro mondo. Ancora fanno dipignere in carte uccelli, cavagli, arnesi e bisanti e altre cose assai; e poi le fanno ardere, e dicono [p. 71 modifica] che questo sará loro presentato da dovero nell’altro mondo, cioè a’ loro figliuoli. E quando questo è fatto, egliono si tengono per parenti e per amici, come se i loro figliuoli fossero vivi. Ora v’abbiamo contate l’usanze e gli costumi de’tarteri: ma io non v’ho contati12 degli gran fatti degli Gran Cani e di sua corte; ma io ve ne conterò in questo libro, ove si converrá. Or torneremo al gran piano che noi lasciammo quando cominciammo a ragionare de’ tartari.

  1. Berl. Pad. quando... va in oste, mena con si zento milia omeni da cavalo, e ordena in questo modo la so zente. Ell’aleze uno capetanio a ogni diexe e a ogni zento e a ogni mille e a ogni diexemillia; e non à el signor a far se non con diexe, e cusì fa quello ch’è signor de diexe millia e de mille o de zento. E zascun responde ali so cavi. E quando el signor de zento milia omeni voi mandar mille omeni in alguna parte, elo comanda a uno di capetanii de diexe millia che i dia mille omeni.., e quel capitanio de diexe millia comanda a zascadun capetanio de mille che i dia zento omeni..., e zascadun capetanio de zento comanda a zascun capetanio de diexe che i dia uno omo, sí che in questo modo a mille omeni. E... zascuno sa quando i vien la volta, e zascuno obedisse al suo signor piú che zente del mondo. E quando el signor vano per alcuna (cossa) el manda avanti ben do zornade per reguardo (Bern. aguaito; Fr. pour excaregaites).
  2. Fr.* Et sachiès que les cent mille est apellè un «tut» (tuc), et les dix mille un «toman», — E lo Yule aggiunge, dal cosidetto testo Pauthier: e i cento un «guz».
  3. Pad. dove meteno la late che i beveno.
  4. Pad. dove egli stano soto quando el piove.
  5. Pad. egli non ano vergogna nisuna a fuzir... saitando verso i nimixi.
  6. Bern. che li cavali deli suo nemixi sono morti (e ancora deli omeni)
  7. Pad. che i sono molto abastardadi, che queli che abitano in lo Catai ano la maniera d’idolatri.
  8. Pad. perder la persona.
  9. Pad. over dixesete, over vintisele over 37, over 47; per (questa maniera) vano per infina Fr. trois cent sept.
  10. Pad. Ricc. Zascaduno che á bestie grosse como è cavali e zumente e boi, egli i bolla de so segno, e lásale andar a pasier senza guarda d’omo;... s’el signor trova dentro le suo’ bestie alcuna che non abia el so segno, el la rende incontenente a colui de chi la è. Li berbixi e li montoni e gli bechi fano egli ben guardar agli pastori.
  11. Pad. Ricc. e sparzeno quelle noze za e lá (Fr. et ne spandent cha et lá), e dixeno quel vano a suo’ figlioli... Ancora fano depenzer in carte uno mamolo e una mamola in semplianza de quelli do morti, e... cavali, drapi...; e dixeno che quelli do ano quelle cose veramente...
  12. Berl. del Gran Can signor de tuti i tartari.