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A Giovanni Camerana Scritto sull'ultima pagina del Libro dei versi
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I.


Poichè ho l’anima cupa e sbigottita,
Poichè l’incubo lento della vita
Oggi è più tetro e più franta la fè;
Poichè ritorna a sommo del pensiero,
Come sull’acque un annegato nero.
Quel tedio eterno che gràvita in me;

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Poichè sul muro della stanza cheta
Irride alle bufere del poeta
          Un bel raggio di sol,
Sguardo di luce che viene a beffarmi
E par che dica: «Poeta i tuoi carmi
          Hanno tarpato il vol,»





Canterò, canterò le primavere,
Le convalli, le selve, le riviere.
L’allegria delle rondini e dei fior,
Canterò lo splendor degli orizzonti.
Tavolozze d’aurore e di tramonti
Dove Dio stempra e sfuma il rosa e l’or.





Canterò le giornate erranti e pazze,
I teatri, i vïottoli, le piazze,
          I giocondi compar;
Canterò le farfalle e il firmamento,
La nube orïental che fila il vento,
          Le risate del mar.

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Canterò la più vaga creätura,
L’occhio più blando, la fronte più pura,
          Il più pomposo crin,
La più compiuta imagine d’amore
Che mai rispose all’ideal del core
          E al concetto divin.


II.



O quante volte nelle lunghe sere,
Quando s’empion di musiche severe
I teatri del grigio carnoval,
Sognai nel cor d’esser caleide o giglio
Per respirare il languido sbadiglio
Che vaporava il suo volto fatal.





Essa pareva una madonna mesta
E più volte guatai se la sua testa
          Cingèa l’aureola d’or,
E nel vederla di quel nimbo mozza
Pensai che forse nella sua carrozza
          L’avea deposto allor.

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Sì! nella bianca immensità lontana,
Al di là della vitrëa campana
          Che noi chiamiamo ciel,
V’è un Poeta divin che prevedeva
Nell’ile informe la bellezza d’Eva
          E il fiore nello stel.





Credo! e dal raggio di quei casti sguardi
Viene vêr me l’antica fé de’ bardi,
L’antico amore e l’antica pietà,
Un’aura di pensier soavi e cheti.
Un disio di baciar degli amuleti,
Di dire un ave e di far carità.





Sì, nel giorno del lieto funerale,
Quando sarò una linea orizzontale
          Sei piedi sotto il suol,
E più non si vedrà la mia figura,
Curva siccome una spiga matura,
Dei vivi in fra lo stuol,

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Esalerò dalle pupille spente
L’anima sciolta e di letizia ardente
E volitando o donna andrò vêr te.
Là, nelle fredde notti, al fosco tetto,
Sarò la fiamma del tuo caminetto
E al mio tepor ti farai rosa i piè.




 
Ti splenderò fatate visïoni.
Poemi di scintille e di carboni
          Dall’ermo focolar.
E quando sparirò sul far dell’alba,
Nella tua cella taciturna e scialba
          Più non potrai sognar.


1863