Il cavalier Giocondo/Lettera di dedica
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Carlo Goldoni - Il cavalier Giocondo (1755)
Lettera di dedica
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ALL’ILLUSTRISSIMO
SIGNOR ABATE
È
sì chiara e sì conosciuta, ornatissimo Signor Abate, la sincerità del vostro carattere, che dubitare non posso discorde dal Vostro cuore il labbro vostro e la vostra penna. Con questi due testimoni infallibili mi avete assicurato della vostra amicizia, e quantunque io sappia di non meritarla, deggio però lusingarmi che voi me l’abbiate liberalmente donata. Con questa per me onorevole sicuranza, posso animarmi a credere che usando meco la buona legge dell’amicizia, non siate per isdegnare che io renda pubblico il prezioso acquisto dell’amor vostro, e che contentarvi vogliate della miserabile testimonianza ch’io posso darvi del mio sensibile compiacimento. Vi dedico una mia Commedia, che vale a dire vi offro una ricompensa cattiva, quasi in mercede di quel bene che coll’affezione vostra Voi mi recate. Ma pure son certo che Voi l’aggradirete comunque sia, pensando che questo miserabile dono spiega soltanto l’intenzione dell’animo mio rispettoso, obbligato, ne può in verun modo la viltà dell’offerta adombrare il chiarissimo nome vostro. Il mondo vi conosce bastantemente; siete per le opere vostre dalla Repubblica Litteraria in alto seggio locato, e vi è debitore l’Italia nostra del maggior lustro che Voi recate alla soavissima Poesia. Lo stile ammirabile de’ vostri carmi, siccome non ha servilmente affettata l’imitazion degli antichi, formato ha in Voi un originale modello, difficile a seguitarsi. La natura e lo studio vi hanno egualmente contribuito, e Voi mercè di questi indispensabili ajuti avete eretto in Parnaso un sistema novello, e direi quasi avete aggiunto una nuova Musa al poetico Coro. Mio non è tal pensiere (che a tanto il mio discernimento non giugne), ma lo asseriscono tutti quelli che conoscitori si chiamano, e che delle opere altrui possono con precision giudicare. Scorgesi in Voi facilità nei versi, robustezza nei termini e chiarezza nei sentimenti, ma ciò che rende vieppiù maravigliose le opere vostre, si è la felicità delle immagini e la novità dei pensieri, varj sempre e sempre adattati alle categorie diverse degli argomenti. Pindaro, Omero, Giovenale, Petrarca si riconoscono qualche volta nei vostri Carmi, ma un non so che vi distingue da ogniuno di essi, perchè lo stile è vostro, e s’eglino furo eccellenti in quel tal genere di poesia. Voi lo sapete essere in tutti. Se famoso vi rende l’eroico stile, minor gloria non recavi lo stil vezzoso, brillante, e Voi forse sarete il primo che abbia nei due distanti metri toccata la perfezione. Varie opere vostre sparse da varj torchi s’ammirano, e con avidità le manoscritte si cercano, ed io ho potuto farmi onore in Venezia con alcuno de’ bellissimi parti Vostri raccolti in Parma. La nostra gentilissima Aurisbe1, quell’Aurisbe che voi giustamente apprezzate, e che ha il potere di muovere al canto, quand’ella voglia, la vostra Musa, mi ha posto sovente a parte dei dolcissimi Carmi vostri, e tanti ne avete al piacer suo consacrati, che può per essi andar gloriosa ne’ Secoli venturi, quanto il suo spirito e la sua bellezza la resero ai nostri tempi preziosa. Tutti aspettano con impazienza una raccolta delle Opere vostre compiuta, e si sa con giubilo universale che ora vi adoperate per farla. Fatela dunque con tutta quella sollecitudine che potete, non solo per la pubblica compiacenza, ma per l’onore delle opere stesse, vendicandole da quegli errori ai quali alcune di esse furono fino ad ora in più edizioni soggette, e riparate le inedite da una simile disavventura. Oltre le vostre Rime, desidera il mondo veder stampate ancora le vostre Prose, e so di certo esservi chi se le procaccia per pubblicarle. Ora sarete maggiormente in grado di arricchire la sospirata raccolta con nuovi pezzi scientifici ed eruditi, fatto Segretario perpetuo della Accademia di Pittura, Scultura ed Architettura, novellamente eretta in Parma da S. A. R. il Serenissimo Don Filippo Infante di Spagna, nostro clementissimo Padrone2. L’animo grande di cotesto Sovrano, che tende alla felicità dei Popoli, ed all’avanzamento delle lettere e delle belle arti, v’ha giustamente onorato di questo carico, sicuro che dal vostro sapere e dalla eloquenza vostra sarà al grand’uopo mirabilmente supplito. Agli eccellenti artefici, che in cotesta Regia Corte stipendiati risplendono, ben si conviene un egregio Poeta, un elegante Oratore quale Voi siete, potendo Voi immortalare coi scritti vostri gl’illustri nomi dei Professori, ed esaltare le glorie del Serenissimo Mecenate. Io, che ho la fortuna di vivere sotto i Reali auspici di un sì gran Principe, nulla posso contribuire colla vulgar Musa in sì felice occasione. M’ingegno anch’io di dipingere e di scolpire le immagini caricate del nostro Secolo, e di architettare colla fantasia inventrice sui modelli delle umane avventure, ma la Comica Scuola non ha che fare colle arti pratiche di cui parliamo. Una volta sola finora ebbi l’onore di adoperarmi in servigio del clementissimo nostro Padrone, e da esso beneficato con generosa annuale pensione, soffro con pena il rossore di vedermi inutile al suo Reale compiacimento. Voi, chiarissimo Signor Abate, godete la bella fortuna di essergli da vicino, Voi avete il piacere di figurare in una Corte brillante, in un Paese felice, e col vostro talento e colla vostra ammirabile vivacità sapete rendervi caro ai Sovrani, ben veduto ai Ministri, e delizioso agli amici. Poichè le vicende della vostra Fortuna (rese da Voi medesimo al Mondo note) lungi vi trassero dalla Patria vostra, in cui assai comodo e decoroso stato potevate per ragion di sangue godere, ha voluto il destino ricompensarvi, collocandovi in Parma, ove fra gli altri beni avete quello di essere fra una serie di letterati, che sanno coi felicissimi talenti loro mantenere ed accrescere l’antica fama di un sì rinomato Paese. Io ho avuto sempre una somma venerazione al nome illustre di cotesta Città erudita, ed una giustissima soggezione de’ suoi giudizi intorno alle opere mie. Volle il destino che per obbedire a chi potea comandarmi, venissi io stesso a produr su codeste Scene dei Drammi Buffi, opere per lor natura imperfette, le quali in veruna parte del mondo possono procacciarmi un favorevol concetto; ed ecco non pertanto un novello motivo che in braccio a Voi mi conduce, raccomandandovi l’onor mio. Fate, valorosissimo Signor Abate, presso gli amici vostri, presso gli estimatori del vostro merito, fate valere l’autorità e l’amicizia per risarcir la mia fama, per meritarmi un amorevole compatimento. Non so se la Commedia, che or vi presento, possa essere da Voi usata per mio vantaggio. Voi sapete benissimo che noi, padri amorosi de’ parti nostri, li amiamo tutti egualmente, e poche volte possiamo essere giudici dei loro pregi e dei loro difetti. Io forse meno degli altri ho il necessario discernimento per ravvisarli, ma giudicando coi suffragi del pubblico, posso lusingarmi non sia guest’opera delle più sfortunate. Ma se non basta da per se sola a giustificarmi nell’animo degli amici vostri, scorrete tutte le sessantasei che ho stampate, scegliete quella che più vi piace, ed offeritela altrui col massimo onore della vostra validissima protezione. Questa è la gloria a cui ardentemente aspiro, questa è la grazia che umilmente vi chiedo, unita all’altra di potermi vantare in faccia del Mondo
Vostro Umiliss. Servidore ed Obblig. Amico |
- ↑ Aurisbe (o anche Eurisbe) Tarsense, nome arcade della poetessa veneziana N. D. Cornelia Barbaro Gritti, alla quale dedicò il Goldoni nel 1757 la commedia intitolata la Pupilla (t. X dell’ed. Paperini di Firenze).
- ↑ La presente lettera di dedica uscì in testa alla commedia nel giugno del 1758, nel t. IV del Nuovo Teatro Comico dell’Avv. C. G. ecc., Venezia, Pitteri. Fin dall’anno precedente (v. lettera al conte Arconati-Visconti 9 ott. 1757) il Goldoni era stato nominato Poeta di S. A. il Duca di Parma, e riceveva una pensione e di tremila lire di Parma annuali».