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ALL’ILLUSTRISSIMO

SIGNOR ABATE


È

sì chiara e sì conosciuta, ornatissimo Signor Abate, la sincerità del vostro carattere, che dubitare non posso discorde dal Vostro cuore il labbro vostro e la vostra penna. Con questi due testimoni infallibili mi avete assicurato della vostra amicizia, e quantunque io sappia di non meritarla, deggio però lusingarmi che voi me l’abbiate liberalmente donata. Con questa per me onorevole sicuranza, posso animarmi a credere che usando meco la buona legge dell’amicizia, non siate per isdegnare che io renda pubblico il prezioso acquisto dell’amor vostro, e che contentarvi vogliate della miserabile testimonianza ch’io posso darvi del mio sensibile compiacimento. Vi dedico una mia Commedia, che vale a dire vi offro una ricompensa cattiva, quasi in mercede di quel bene che coll’affezione vostra Voi mi recate. Ma pure son certo che Voi l’aggradirete comunque sia, pensando che questo miserabile dono spiega soltanto l’intenzione dell’animo mio rispettoso, obbligato, ne può in verun modo la viltà dell’offerta adombrare il chiarissimo nome vostro. Il mondo vi conosce bastantemente; siete per le opere vostre dalla Repubblica Litteraria in alto seggio locato, e vi è debitore l’Italia nostra del maggior lustro che Voi recate alla soavissima Poesia. Lo stile ammirabile de’ vostri carmi, siccome non ha servilmente affettata l’imitazion degli antichi, formato ha in Voi un originale modello, difficile a seguitarsi. La natura e lo studio vi hanno egualmente contribuito, e Voi mercè di questi indispensabili ajuti avete eretto in Parnaso un sistema novello, e direi quasi avete aggiunto una nuova Musa al poetico Coro. Mio non è tal pensiere (che a tanto il mio discernimento non giugne), ma lo asseriscono tutti quelli che conoscitori si chiamano, e che delle opere altrui possono con precision giudicare.