lippo Infante di Spagna, nostro clementissimo Padrone1. L’animo grande di cotesto Sovrano, che tende alla felicità dei Popoli, ed all’avanzamento delle lettere e delle belle arti, v’ha giustamente onorato di questo carico, sicuro che dal vostro sapere e dalla eloquenza vostra sarà al grand’uopo mirabilmente supplito. Agli eccellenti artefici, che in cotesta Regia Corte stipendiati risplendono, ben si conviene un egregio Poeta, un elegante Oratore quale Voi siete, potendo Voi immortalare coi scritti vostri gl’illustri nomi dei Professori, ed esaltare le glorie del Serenissimo Mecenate. Io, che ho la fortuna di vivere sotto i Reali auspici di un sì gran Principe, nulla posso contribuire colla vulgar Musa in sì felice occasione. M’ingegno anch’io di dipingere e di scolpire le immagini caricate del nostro Secolo, e di architettare colla fantasia inventrice sui modelli delle umane avventure, ma la Comica Scuola non ha che fare colle arti pratiche di cui parliamo. Una volta sola finora ebbi l’onore di adoperarmi in servigio del clementissimo nostro Padrone, e da esso beneficato con generosa annuale pensione, soffro con pena il rossore di vedermi inutile al suo Reale compiacimento. Voi, chiarissimo Signor Abate, godete la bella fortuna di essergli da vicino, Voi avete il piacere di figurare in una Corte brillante, in un Paese felice, e col vostro talento e colla vostra ammirabile vivacità sapete rendervi caro ai Sovrani, ben veduto ai Ministri, e delizioso agli amici. Poichè le vicende della vostra Fortuna (rese da Voi medesimo al Mondo note) lungi vi trassero dalla Patria vostra, in cui assai comodo e decoroso stato potevate per ragion di sangue godere, ha voluto il destino ricompensarvi, collocandovi in Parma, ove fra gli altri beni avete quello di essere fra una serie di letterati, che sanno coi felicissimi talenti loro mantenere ed accrescere l’antica fama di un sì rinomato Paese. Io ho avuto sempre una somma venerazione al nome illustre di cotesta Città erudita, ed una giustissima sog-
- ↑ La presente lettera di dedica uscì in testa alla commedia nel giugno del 1758, nel t. IV del Nuovo Teatro Comico dell’Avv. C. G. ecc., Venezia, Pitteri. Fin dall’anno precedente (v. lettera al conte Arconati-Visconti 9 ott. 1757) il Goldoni era stato nominato Poeta di S. A. il Duca di Parma, e riceveva una pensione e di tremila lire di Parma annuali».