Il buon cuore - Anno XIV, n. 41 - 9 ottobre 1915/Religione

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Vangelo della domenica prima d’ottobre

Testo del Vangelo.

Il Signore Gesù disse questa parabola: Un uomo aveva un albero di fico piantato nella sua vigna, e andò per cercare dei frutti di questo fico e non ne trovò. Allora disse al vignaiuolo: Ecco che son tre anni che vengo a cercar frutto da questo fico e non ne trovo; troncalo adunque; perchè occupa egli ancora-il terreno? Ma quegli rispose e dissegli: Signore, lascialo stare ancora per qualche anno, fintanto ch’io abbia scalzato intorno ad esso la terra, e vi abbia messo del letame; e se darà frutto, bene, se no allora lo 4aglierai. E Gesù stava insegnando nella loro Sinagoga in giorno di sabato. Quand’ecco una donna, la quale da diciotto anni aveva uno spirito che la teneva ammalata, ed era curva e non poteva per niun conto guardar all’insù. E Gesù vedutala, la chiamò a sè e le disse: Donna, tu sei sciolta dalla tua infermità. E le impose le mani, e immediatamente fu raddrizzata e glorificava Iddio. Ma il capo della Sinagoga, sdegnato che Gesù l’avesse curata in giorno di sabato, prese a dire al popolo: Vi sono sei giorni nei quali si convien lavorare: in quelli adunque venete per essere curati, e non nel giorno di sabato. Ma il Signore prese la parola e disse: Ipocriti, chicche-sia di voi non iscioglie egli in giorno di sabato il suo bue, o il suo asino dalla mangiatoia, e lo conduce a bere? E questa figlia di Abramo, tenuta già legata da Satana per diciott’anni, mon doveva essere sciolta. da questo laccio in giorno di sabato? E mentre diceva tali cose, arrossivano tutti i suoi avversari; e tutto il popolo si godeva di tutte le gloriose opere che da lui si facevano. (S. LUCA, Cap. 31)

Pensieri.

Il trattato di Vangelo proposto dalla Chesa alla nostra meditazione consta di due brani indipendenti l’uno da l’altro. Con la prima parabola il Maestro divino ribadisce un precetto già enunciato altre volte — che la nostra vita non deve essere oziosa, inoperosa. Chi

ha le ore contate e deve nonostante compiere il suo lavoro, non s’indugia, anzi acuisce l’intelligenza e chiama a raccolta tutta l’energia. per compiere l’opera sua prima che la notte lo sorprenda. «E’ una lezione data a noi, scrive S. Paolino; il Maestro vuole che la nostra pietà abbia in ogni tempo da -offrirgli frutti degni di lui.), Le nostre opere buone sono adunque i frutti che Egli esige da noi; le nostre opere sono la sua gloria. Quali opere poi Egli preferisca lo possiamo dedurre dal fatto della guarigione della donna che dia diciotto anni era inferma. Egli non ripone la sua gloria unicamente negli atti che hanno Lui per oggetto diretto: l’osservanza del sabato, ad esempio. Ma nella creatura sua Dio vede qualche -cosa di se stesso, il suo capolavoro, l’erede del suo regno e quindi ritiene fatto a sè ciò che l’uomo fa per il suo fratello. Nella mutua corrispondenza di amorosi sensi tra creatura e creatura: nella cura affettuosa di risparmiare pene e di lenire dolori ai propri fratelli, Dio riconosce il più geniale lavorio della sua Grazia, e di tali atti di virtù ispirati all’uomo, così egoista per tendenza, se ne trova meglio onorato che non dai cantici e dai nugoli d’incenso che s’innalzano fra la pompa idei riti. 11 Vangelo lo ha proclamato chiaro e netto: chi vuol seguire Cristo e vivere la sua vita, deve avere a cuore la prosperità, la felicità degli altri, come tiene a cuore ’a prosperità ed il benessere proprio. Perchè sotto il profilo dell’uomo, anche il più meschino, noi non possiamo a meno di intravedere la figura, la persona stessa di Dio.

Il popolo al sentire così nettamente affermata la dignità della personalità umana contro le grette interpretazioni della casistica farisaica, il popolo sussulta di gioia e acclama al banditore di dottrine tanto consolanti. E il plauso era giusto, perchè non è solamente una teoria che Cristo annuncia, ma anche nella pratica Egli mostra con quanto rispetto, con quan-, ta, delicatezza Dio tratti cotesta creatura, l’uomo, che pure cosi mutevole e vario d’umore. Rileggiamo la parabola: dopo tre anni di attesa il Padrone evangelico aveva ben diritto che la pianta, ingombro inutile, fosse sradicata e utilizzata in quolche modo almeno come legna •da ardere. Ma pure si arrende alle preghiere dell’agricoltore, e aspetta ancora; ancora un altr’anno di prova. L’uomo, che s’ispira al momento e ha un campo d’azione- limitato, si affanna se dalla sua opera non si ottiene effetti immediati e subitanei; affanna, s’infuria e o lancia anatemi o si scoraggia. Dio invece è eterno, ed aspetta: quando nella coscienza vi è ancora una fibra non guasta: quando lc cancrena del male non ha ancora soffocato nell’animo ogni più Minimo germe di vita, Egli paziente aspetta, non distrugge. Lo ha detto: non son venuto a strappa - via la canna già spezzata: ma son venuto a spenere la lucerna, se il lucignolo fumiga ancora. L’anima che a noi sembra irremissibilmente perduta può ancora risorgere, può riacquistare l’appetito del be, [p. 277 modifica]ne: circondata di più affettuose cure può gettare ancora qualche germoglio e fiorire. Dio quindi si piega alla voce della sua misericordia che gli ripete: Lascialo anche quest’anno, fin ch’io lo zappi e lo concimi intorno, se mai facesse frutti; e se no, allora lo taglierai.

  • * *

Il nostro mal volere, che deforma tante cose ottime, spesso!piglia pretesto di scapestrare e tenta soffocare punto i gridi della coscienza ’angustiata, appellandosi a questa misericordia che è istancabile nell’attendere e nel pazientare. Così operando ci abbassiamo alla più indegna delle ingratitudini: ripaghiamo con oltraggi Colui che, noi lo sappiamo, è tutto intento a colmarci di benefici. Ma insieme la nostra perversa condotta si basa sopra un cattivo ragionamento. Senza manco dirlo a noi stessi, noi riteniamo che in Dio la misericordia sia quasi un sintomo di debolezza, un accomodamento, una transazione tra la giustizia e la bontà: mettiamo la misericordia a tutto scapito della giustizia. Noi dimentichiamo che in Dio tutto è perfetto, e che l’uno attributo non meno. ma, non offusca, ma corona e completa l’altro. Ora è certo che Dio è misericordioso perchè è del pari giusto. Per stabilire rettamente fino a qual grado sale la responsabilità, il Giudice divino non valuta solamente l’atto isolato nei suoi caratteri esterni, come lo farebbe un magistrato civile. Dio pesa tanti altri elementi che concorrono a dare figura specifica all’atto, e su questi basa il suo giudizio. Dio vede quanto nell’anima vi è di buono; vede per quali tortose vie, e seducenti, il male è riuscito ad inquinarla, ad ossessionarla. Dio non dimentica quali ripugnanze l’anima ha sentito dapprima: come poi une fitta rete di suggestioni, di tentazioni, di seduzioni sono riuscite a scalzare la sua resistenza, a carpirle l’assenso. A Dio son note le angoscie di quella povera anima che sente nausea di sè stessa, che sospira con gemiti la libertà, la vita para, la vita di grazia. Dio raccoglie le lagrime, le amare lagrime, di quella sciagurata che non trova pace sotto la bugiarda apparenza di felicità: che morde, piangendo, la pesante catena della schiavitù e ciò malgrado non hs l’energia, la volontà risoluta di scuotere l’infame giogo. Dio pesa tutto e su questo esame esauriente fonda il. suo giudizio, che, informato alla più alta giustizia, a noi sembra ispirato a una tal forma di epicheia, dettato da bonaria indulgenza. Ma se invece l’anima si è talmente pervertita che beve l’iniquità come l’acqua: se l’anima non sente più, neanco nell’ora del dolore e nel segreto della coscienza, il rossore della colpa, e con un freddo scetticismo calcolatore conta sulla misericordia • divina come il ladro conta sulla dabbenaggine della sua vittima, allora Dio che è giusto non trova alcun addentellat.() per la sua misericordia: non p’tò quindi mentire a sè stesso e l’anima è perduta L’anno di prova è terminato, la longanimità è esaurita e la pianta s’aspetti da un istante all’altro la

tastrofe: la scure è ormai alla radice. Sarà unizione immediata o invece sarà l’abbandono. Que sto è segreto di Dio; ma di certo la giustizia r.on Lrderà a pigliare il sopravvento.

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In una pagina attribuita a S. Agostino, pagina ’iboccante di santa mestizia, così parla l’anima che ha compreso il mistero della misericordia divina di frort•te alla umana miseria: «O Signore, ecco io porto al tuo cospetto il fardello delle mie colpe ed insieme ti scopro le piaghe che ne ho riportato. Certo che se ripenso a quello che ho fatto, mi pare un nulla Tomío ho patito: sì, un castigo ben più severo mi sarei meritato! E così grave il male che ho commesso ed è tanto leggero quello che ho sofferto. Ma tu lo vedi, o mio Dio; io che sono tanto nauseato della mia triste vita non so poi evitare le continue ricadute nel peccato. Sotto l’impressione dei tuoi castighi la natura debole si spaventa, ma la cattiva volontà non si smuove: la mente convulsa si agita, ma la cervice non si piega. Nell’ora del dolore io sospiro la •tua grazia, ma al momeno d’agire, non riesco ad emendarmi. Se tu differisci il castigo, io ne prendo ansa a malfare; se metti mano al flagello, io non resisto all’ira tua. Durante la riprensione riconosco le mie deficenze non appena trascorsa la tua visita dimentico quello che prima ho amaramente pianto. Se tu stendi la mano mi affretto a promettere; se trattieni la spada, non mantengo le promesse. Se mi percuoti, subito grido: Perdonami! e se mi perdoni, di nuovo ti provoco a castigarmi. O Signore. ecco che il reo ti confessa la sua colpa; lo riconosco bene che, se tu non osi misericordia, a diritto io andrò eternamente perduto. O Dio, Padre Onnipotente, accordami, per i meriti di Gesù, quanto ti chieggo, sebbene io non abbia merito alcuno; Deh! ascoltami, Tu che dal nulla hai tratti tutti gli uomini perhè ognora fidenti ti invocasG. G. sero nei lora bisogni».

Vangelo della Domenica seconda d’ottobre

Testo del Vangelo.

Il Signore Gesù se n’andò al Monte Oliveto; e di gran mattino tornò nuovamente al tempio, e tutto il popolo andò da Lui, ed Egli stando a sedere insegnava. E gli Scribi e i Farisei condussero a Lui una donna colta in peccato; e postala in mezzo, gli dissero: «Maestro, questa donna or ora è stata colta che commetteva peccato. Or Mosè nella legge ha comandato a noi che queste tali siano lapidate. Tu però che dici?» E ciò essi dicevano per tentarlo, e per avere onde accusarlo. Ma Gesù, abbassato in giù il volto, scriveva col dito sulla terra. Continuando quelli però’ ad interrogarlo’ si alzò e diíse loro: «Quegli che è tra voi senza peccato, scagli il primo la pietra contro di lei.» E di nuovo chinatosi scriveva sopra la terra. Ma coloro, udito che ebbero questo, uno dopo l’altro se ne andarono, principiando dai più vecchi: e rima [p. 278 modifica]se solo Gesù e la donna che si stava nel mezzo. E Gesù alzatosi le disse: «Donna, dove sono coloro che ti accusavano? nessuno ti ha condannata?» Ed ella: «Nessun ), o Signore., ) E Gesù le disse: «Nemmen io ti condannerò; vattene e non peccar più.» • (S GIOVANNI ap. RI

Pensieri.

L’evangelista abbozza nel sao racconto un quadro tanto originale, eppur assai comune nel suo genere. Gesù, l’Innocenza, la Santità si trova di fronte e a contatto con la colpa e la miseria morale; ha dinnanzi a sè la depravazione dell’anima nelle due faccie caratteristiche; 13 corruzione del cuore e la perversione dell’intelletto; la donna guasta nei costumi ed i suoi accusatori perversi di volontà. E’ importante per la nostra condotta esaminare il quadro in qualcuno dei suoi particolari.

Gl Scribi e i Farisei gli conducono una donna colta in adulterio. L’arte nostra, la pittura, ha tolto spesso a soggetto questo episodio del Vangelo. Attorno a Gesù si accalcano e fanno cerchio, vecchi e giovani, i Farisei dal sogghigno beffardo e s’affissano sul Maestro pregustando la gioia maligna di metterlo in imbarazzo con un quesito che alla loro limitata intelligenza pareva impossibile a sciogliersi. E nel mezzo di essi la donna, colle vesti discinte, i capelli scarmigliati, il volto inondato di lagrime e arso dal rossore, il petto anelo e la persona che tutta si contorce e vorrebbe annichilirsi sotto il doloroso incubo del rimorso, della vergogna. Nell’ora della tentazione, quando già la sua virtù vacillava, avrà anch’eSsa ripetuto a se stessa, suggestionata dallo spirito malo, che infine tutte fanno così — che non si può resistere alla corrente! Ora l’ossessione è sfatata, la ragione ha ripreso il suo imperio sulla passione: il con tatare che le corruzione (noi lo sappiamo dagli storici) aveva purtroppo allagato anche la terra di Giuda e che l’onestà è diventata rara, quasi un’eccezione; la vista di questo fiume di fango che sale e che straripa, solo contribuisce a renderle più penosa, più umiliante la sua condizione, giacche il male più diffuso non fa che allargare la sua parte di responsabilità. E piange amaramente la sua colpa, e sente, di fronte a Gesù, agnello senza macchia, tutto il vuoto, l’abiezione del suo cuore contaminato dalla colpa. Alle lagrime della pentita fanno riscontro i sorrisi maligni, gli sguardi beffardi degli accusatori. La scostumatezza ganerale aveva reso lettera morta la legge rosaica che condannava alla lapidazione la donna colta in flagrante infrazione della fedeltà coniugale. Ma essi, gli implacabili nemici di Gesù, hanno un pretesto magnifico per metterlo colle spalle al muro. Finma non sono agono adunque zelo per la nimati, sospinti che dall’aitio, dalla sete di vendetta. Si drappeggiano pomposamente sotto’ il manto della morale e della pietà: spudoratamente la pretendono a maestri di buon costume esci, i sepolcri imbiancati, che nel segreto dellà loro vita nascondono Dio sa quali sozzure e vergogne. Basterà che Gesù parli, perchè

cada dal loro volto la iraschera e si rivelino nel loro profilo di scettici e libertini.

Qual’è il contegno che Gesù tiene di fronte alla malvagità umana che lo avvolge, presentandosi sotto le due forme caratteristiche: sensualità e ipocrisia? Gesù, chinatosi, col dito scriveva per terra. Legge nel cuore della donna, soffre della sua umiliazione, ne conta le lagrim e, e mentre da una parte sente orrore della colpa che essa ha commesso, non vuole per altro sottoporre a maggior strazio quella sgraziata: se l’avesse fissata negii occhi, in quello sguardo del San-. to la peccatrice avr bbe sentito troppo la sua deformità. Gesù quindi d’stoglie da lei lo sguardo, finge un’occupazione qualsiasi; fa dei segai sulla sabbia. Ma in pari tem:o, con quest’atto indifferente in apparenza, risparmia o differisce almeno, una severa lezione agli accusatori. Costretto a parlare, non poteva a meno di smascherare il loro trucco. La parola di Gesù, che non poteva di certo risparmiare o blandire il vizio, avrebbe messo a nudo la malignità da cui erano suggestionati nel denunziare l’adultera; non zelo di bene, ma unicamente libidine di avvolgere in sottili difficoltà il Maestro di Nazareth. Gesù non può assecondarli nel loro falso zelo; ama, se fosse possibile risparmiare a• quei tristi un rimbrotto e quindi tace, segue a scrivere per terra. La passione per altro acceca: gli Scribi e i Farisei dovevano saper interpretare il silenzio di Gesù. Ma qui sta appunto lo scoglio per chi si lascia dominare dalla passione: essa ci toglie la visione chiara della realtà: trionfanti, i Farisei interpretano il silenzio di Gesù come sintomo di imbarazzo, e ripetono cocciuti la loro ob)Leaione: Mosè nella Legge ci ha comandato che queste tali siano lapidate. Tu che dici? E allora la risposta di Gesù venne: Dio sa pazieritare, ma l’uomo è libero dePe sue azioni, e quando da stolto reclama un giudizio, Dio non lo può rifiutare: chi tra voi è senza peccato, scagli la prima pietra contro di lei. La parola che Gesù ha risposto alla stolta insistenza degli Scribi e Farisei risuona ancora viva, dopo venti secoli..rnplide come la verità, con un taglio netto distri - a quello che agli ipocriti semb- ava nodo insolubile: chi è tra voi senza peccato, lanci la prima pietra. Non è asserito che nella-società non ci debba essere il potere giudiziale; non è daaao che chi ha ufficio di sentenziare debba dalla sua coadotta privata desumere la norma della applicazione della legge. Ma Gesù anzitutto vuole che siamo puri noi, se vogliamo altri innamorare delle virtù; vuole il Maestro che non ci arroghiamo alla leggera il compito, non avendone mandato, di censurare il fratello. E assolutamente ci vieta di’ giudicare con spietata severità chi sventuratamente ha traviato: con quella misura con cui misurate gli altri, sarete misurati voi- stessi. • Però, mentre la parola del Maestro sentenzia senza pietà per gli ipocriti, per i facili ostentato -i di virtù, è invece voce dolce di perdono e di rede.nzi ne per i tribolati, per i pentiti: Va, e non peccar più! [p. 279 modifica]Le rampogne severe, le parole che come spada feriscono, Gesù le adopera per ispirare odio, errore contro il peccato; ma per la nostra povera ragilità Gesù tiene in serbo compassione e misericordia: non voglio la morte del peccatore, ma che si converta e viva. Egli è il Pastore che non si dà posa finchè non ha ricondotto all’ovile la pecorella smarrita. Abborre la colpa, ma ama e vuol salvo il peccatore. Nei nostri usi sociali questo insegnamento di Gesù fu inteso un momentino... a rovescio. Mentre si palliano e si scusano coll’etichetta di «debolezze inseparabili dalla natura umana» molte delle nostre colpe, si arrota il sarcasmo e si lancia lo sprezzo contro gli sciagurati, che per vie a noi sconosciute, sono sgraziatamente scesi nel bassa fondo della colpa. Savratutto se chi offende la legga morale è persona a noi invisa, allora sappiamo declamare, Grisostomi da occasione, le più eloquenti tirate contro lo scandalo, la corruzione dei tempi e là nequizia degli uomini; e dei fratelli delinquenti domandiamo, se non la morte, la degradazione, la squalificazione almeno. Se invece la colpa la rintracciamo in noi o in persone che ci sono care, allora, con un lavorio che dovrebbe servirci di norma costante nella vita, sappiamo scovare e ’natiare in luce le scuse, le attenuanti che provano legittima, o almeno scusabile, la condotta del nostro fratal’o. E’ uno strano pervertimento, un tranello che tendiamo noi a coi stessi. Se la colpa desta tanto disgusto nell’animo di Gesù da strappargli sudore e sangue nell’orto, sino a farlo agonizzare: se tanta ripugnanza ispira alle anime.buona, non è per una qualsiasi concezione astratta; si è paarchè, la colpa se;upa la dignità della p -;rsona umana e deforma l’opera di Dio nella sua creatura. La colpa priva l’uomo della grazia di Dio, quindi della: pace, o della rassegnaziane almeno sulla terra, lo priva della felicità nell’altra vita. Il peccato adunque è tanto odioso perchè nuoce alla felicità della creatura. Per questo Dio che ama le sue creature se ne risente, e con Lui piangono e pregano e protestano le anime buone che sulla terra vorrebbero instaurato il regno di Dio.’ Protestano contro il male, ma piangono sulla sventura delle povere arime aggirate dalla bufera delle passioni. Odio alla colpa, ma compassione per il peccatore: così la madre, malgrado abbia un orrore invincibile contro la tisi, non fugge, non mendica pretesti, ma, ince il disgusto, moltiplica le cure, si sagrifica se fatalmente una sua creatura resta vittima del terribile morbo che non-perdona.

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Nella pratica della vita, ecco l’insegnamento del Vangelo: un grande orrore per la colpa, adoperandoci per immunizzarci noi e per rendere meno difficile agli altri la via del bene; ’non giudicare gli altri, a meno che a ciò non ci costringa un preciso dovere; e nel giudicare, quando ciò sia richiesto, usare seme una grande misericordia. Evitare in ultimo, con una condotta irreprensibile, che il giudizio che noi facciamo sulla moralità altrui, non costituisca — ciò che sarebbe grottesco per lo meno — la più aperta condanna alla moralità nostra. G. G.

I bomb, coli’ aciò prussich!

L’ha tiraa in pee on’altra balossada Quell moster d’on Feppin imperator; Al so confront on assassin de strada, L’è on fior d’on gaiantomm, on omm d’onor. I bomb con l’acicl prussich!! Sta trovada, Che cert g’han suggerii i so professor, L’è degna del so coeur che l’ha applicada Del so beli coeur de sass, de impiccador! Ma vegnarà el moment o car Peppin Che l’acid prussich t’el faremm mangia E dopo su ona brusca, col tostin. Te faremm i quattr’oss ben ben tosta, E poeu ridott in pinnol velenos Ghi claremrn ai to amis de mastegà. gErmu<rco Bussr.

Il 20 Settembre a Parigi

MEDAGLIA D’ORO dedicala ed offerta a S. M. IL RE D’ITALIA dalla LEGA FRANCO-ITALIANA. Onde commemorare la partecipazione dell’Italia alla guerra che le.nazioni civilizzata e umane aostengcno contro i barbari ed in oacasic,na•del:a nostra festa nazionale del 20 sattambre, la lega Franco-Italiana. ha, durante- la-festa di gaia dei 19 settembre, dedicato ed offerto a S. M. il Re Vittorio Emanuele III una bellissima medaglia d’oro che è stata rimessa a S. E. l’ambasciatore Tittoni che assisteva a detta festa. — Dei - distintivi riproducenti la setta medaglia, ornai dai colori francesi ed italiani, sono stati distribuiti agli invitati. Un lato della medaglia rappresenta Vittorio Emanuele II, il grande artefice del Risorgimento, col suo énergico nipote Vittorio Emanuele III, la’ Stella d’Italia e lo scudo della Casa Savoia, con la dicitura «Noi vogliamo la più grande Italia» e. le date memorande del 1859 e 1915, in cui, Italiani e Francesi furono sono uniti per combattere lo stesso nemico. L’altro lato della medaglia contiene; assieme alla dedica, le parole seguenti:.«Noi _vinceremo per compiere l’opera di Vittorio Emanuele III.»

L’Enciclopedia dei Ragazzi è il libro più completo, più divertente, più utile, che si possa regalare. [p. 280 modifica]L'ITALICA GENS

PER GLI SCAMBI COMMERCIALI nelle Colonie Italiane del Brasile Meridionale (Continuaz, vedi num precedente).

Il commercio italiano negli Stati del Brasile Meridionale. Un indice delle possibilità di sviluppo delle relazioni commerciali con questi Stati è dato dai seguenti valori totali della esportazione e della importazione, riferentisi all’anno 1911: Importazione milreis

Esportazione milreis

Stato di Rio Grande do Sul 65.709.498 21.630.333 3.276.159 6.563.131 Santa Catharina o )) 12.691.229 26.116.658 Paranà 5.017.395 15.115.312 Espirito Santo 53.952.804 19.445.822 Pernambuco )) 40.785.090 62.781 883 Bahia Come si vede, il movimento commerciale non è di grande entità; ma deve tenersi conto che questo va aumentando considerevolmente di anno in anno, col progredire dello sviluppo del paese. L’esportazione da questi Stati si dirige prevalentemente all’Argentina, all’Uruguay ed agli altri Stati del Brasile; consiste specialmente in carne secca, granturco, farina di mandioca, erba mate, strutto di maiale, banane, ed anche in vino dello Stato di Rio Grande do Sul. L’esportazione per l’Europa è di valore assai minore; consiste prevalentemente in pelli, corna, crine di animale, caffè, zucchero di canna, tabacco; è diretta

per la maggior parte in Germania, quindi in Inghilterra ed in Francia, e solo in quantità minima in Italia. L’importazione abbraccia ogni genere di prodotti manufatti ed industriali, dai tessuti alle macchine, ai prodotti chimici, ad alcuni generi alimentari, come vini, olii, ecc. Quali siano i singoli prodotti italiani che entrano in questi Stati del Brasile, in quale quantità, quali ne siano le condizioni pratiche di smercio, i commercianti interessati possono desumerlo dalle relazioni commerciali periodiche inviate dai Regi Consolati e pubblicate dal R. Ministero degli affari Esteri (Direzione generale degli affari commerciali); basta a noi qui accennare che i principali prodotti importati dall’Italia sono i tessuti di cotone, i vini di vari tipi da pasto e di lusso, gli olii, i cappelli, i formaggi, le paste alimentari, le conserve alimentari, le macchine. E’ importante notare come quasi tutti questi prodotti, dal vino ai tessuti ecc. si producono in quegli Stati medesimi e particolarmente nel Rio Grande do Sul, il più florido: ma sebbene indubitatamente il sorgere sul luogo di stabilimenti industriali che fabbricano tali prodotti renda più difficile l’introduzione dei similari italiani, e sebbene vi siano fortissimi, incredibili’ dazi doganali di introduzione, pure è sempre possibile una importazione in condizioni rimunerative, dati i prezzi di vendita locali (es. un cappello di feltro marca Borsalino si verde al dettaglio in Porto Alegre, capitale dello Stato di Rio Grande, dai 20 ai 25 milreis (da 40 à 42 lire) e un cappello di paglia di marca italiana, per uomo, si vende circa 12 milreis (lire 20). (Continua)