Il buon cuore - Anno XIV, n. 23 - 5 giugno 1915/Religione

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Educazione ed Istruzione Beneficenza

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Vangelo della domenica hia dopo Pentecoste

Testo del Vangelo.

Essendo Gesù a mensa nella casa di Levi, ecco che venutivi molti pubblicani e peccatori, si misero a tavola con Lui e coi suoi discepoli. E - i Farisei. vedendo ciò, dicevano ai discepoli di’ Lui: perchè mai il vostro Maestro mangia coi pubblicani e coi peccatori? Ma Gesù ciò udendo, disse loro: Non è ai sani.che il medico faccia di bisogno, ma agli ammalati! Ma andate e imparate ciò che vuol dire: Io amo meglio la misericordia che il sacrificio; imperocchè io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i pecca tori. Allora si accostarono a Lui i discepoli di Giovanni, dicendo: Per qual motivo noi e i FariSei digiuniamo frequentemente, e i tuoi discepoli non digiunano? E Gesù disse loro: Possono forse i compagni dello sposo essere in lutto, fintantochè lo sposo è con essi? Ma verranno i giorni che sarà loro tolto lo sposo, e allora digiuneranno. (S. GIOVANNI, Cap. q;

Pensieri.

Il Cristianesimo è amore, il Crsitianesimo è letizia appunto perchè è amore. Questa cara verità esce da tutte le pagine del Vangelo: il Vangelo è Cristo; Cristo storico, Cristo morale; Cristo nella sua persona, nelle sue idee, nelle sue parole, nei suoi atti... volendo pensare improvvisamente a Cristo, l’anima nostra se lo vede comparire innanzi, in una sintesi che è lui, veramente lui, solamente lui; noi vediamo una fronte serena, calma. cogli occhi maestosamente dolci, col sorriso sulle labbra... E se la nostra immaginazione vuol creargli intorno una cornice, un quadro, che ritragga le sue occupazioni preferite, rispondenti alle aspirazioni del suo cuore, a quelli che ora si direbbero, con frase tanto usata e abusata, i suoi ideali, che cosa a lui vediamo intorno? Bambini che accarezza, malati che risana, infelici che consola!... Tutto è pace, tutto è anfore, tutto ì- gioia intorno a lui. E se il dolore passa pur sulla sua fronte, se verrà giorno in cui anzi sarà chiamato l’uomo déi dolori, che strana, che prodigiosa trasformazione subisce il dolore presso di lui! Anche il dolore sarà pace, anche il dolore sarà gioia, perchè il dolore in lui sarà amore, amore per coloro [p. 180 modifica]stessi che lo fanno soffrire. La pagina più terribile del dolore nella storia evangelica è la Croce: ora, nessuna pagina parla più d’amore di quella l L’Eucaristia è amore, è sulla terra la più sublime parola dell’amore di Cristo: ebbene l’Eucaristia ricorda principalmente la•Croce; la Croce che nel suo sacrificio si ripete su tutta là faccia della terra, in tutti i secoli, in ciascuna anima cristiana, che con fede la crede, l’ama, la riceve! O Sacrunz recolitur memorianz passionis ejus.... Queste idee, questi sentimenti ci sorsero improvvisamente nell’anima, ci sgorgarono dalla penna, nel leggere l’odierno Vangelo. Cristo è in mezzo dei peccatori e dei pubblicani: perché? che cosa fa? che cosa dice?

In quel tempo essendo il Signore Gesù a tavola nella casa di Matteo... Questo Vangelo presuppone un esordio. In che modo Cristo si trova alla tavola di Matteo? chi è Matteo? Matteo è un pubblicano, un riscotitore delle gabelle. La sua professione, per sè, non è cattiva; è una professione necessaria nel retto funzionamento del vivere sociale. Quel la professione però presso gli Ebrei era doppiamente odiosa al popolo, perché ordinariamente veniva esercitata con soprusi, con ingiustizie, e perché le gabelle erano riscosse a nome e in vantaggio di un governo straniero, dei Romani. Pubblicano e strozzino era lo stesso. E siccome conformità di sentimenti induce comunità di vita, così i pubblicani erano avvicinati, confusi con tutti gli altri elementi più moralmente compromessi della società, con nome generico chiamati peccatori. Era la classe di persone dalla quale maggiormente rifuggivano i Farisei, considerando se stessi come i custodi fedeli delle tradizioni ebraiche, come i soli uomini giusti. Quale è la spiegazione di questo fatto? E’ una sola; ce la rivela Cristo in seguito: è ’la sua misericordia, è il suo amore! Il fatto è più significativo quando si pensi che non è il pubblicano che ha chiamato Cristo: è Cristo che ha chiamato il pubblicano. Cristo prima di assidersi alla mensa di Matteo, lo ha veduto nel suo telonio, cioè nel suo officio pubblico, inteso all’esercizio della sua professione, e sostando dinnanzi a lui, gli aveva detto: Matteo, smetti, e vieni con me. E Matteo lo aveva seguito. Cristo non era certo sconosciuto a Matteo; Matteo sapeva benissimo che egli era il Profeta di Nazareth; Matteo, secondo la comune opinione, era di Cafarnao,,località spesso visitata da Cristo; forse aveva udito da Cristo il magnifico discorso della.montagna. Tutto ciò poteva essere una predisposizione alla grazia. Ma l’atto della grazia della sua vocazione è interamente effetto della bontà di Cristo; ma l’efficacia della grazia è interamente effetto di quell’azione interna che la grazia opera nel cuore degli uomini, li seduce,’li avvince, li.trasporta; è l’effetto di quel fascino che la persona di Cristo esercitava sopra tutti quelli che lo avvicinavano; il fulgo re, come dice S. Gerolamo, p l’occulta maestà divina, che riluceva nella stessa umanità di Cristp, e produceva un’attrazione irresistibile in chi lo vedeva; come il ferro magnetizzato attrae i corpi che gli si mettono vicini.

L’amor di Cristo, già palese in questo atto di gratuita vocazione che fa di Matteo, si manifesta ancor più nel chiamarlo, non soltanto alla fede, ma nella società dei suoi amici, di coloro che avrebbe fatto compagni nel compimento della sua divina missione. L’amore cresce ancora nel permettere che Matteo, chiamato alla sua speciale sequela, riceva ancora in casa, conservi la sua amicizia e famigliarità, con quelli che amici di lui prima, erano tanto• meno indicati di continuare ad esserlo dopo che Matteo si era messo sovra così diverso cammino. Se non per lui, Matteo doveva allontanarli per riguardo alla pura, alla santa presenza di Cristo. E Matteo li accoglie!... Matteo li fa sedere ai fianchi di Cristo! Ah, Matteo, nella misericordia ricevuta presso di sè aveva imparato di quale grande misericordia dovesse rivestirsi a favore degli altri: ricevere i peccatori non era soltanto un ringraziamento; era già per lui un apostolato. Chi sa, egli disse forse fra s.è, che gli amici, avvicinandosi a Cristo, non avessero a provare un po’ di quella misteriosa, di quella salutare attrattiva che aveva provato lui? Questa superiore benefica intenzione, se non era era in Cristo; essa appachiarissima in Matteo, re evidentemente dalla risposta data da lui ai suoi discepoli, interrogati dai Farisei in questo modo: Perchè mai il vos#ro Maestro mangia coi pubblicani e coi peccatori? I Farisei avevano rivolta quella domanda ai discepoli, ma in modo che la udisse Cristo. F Cristo risponde in una volta sola agli uni e agli altri. Non hanno bisogno del medico i sani, ma gli ammalati. Ed elevandosi a un concetto, che, oltrepassando i limiti del caso attuale, stabilisce una massima universale di provvidenza nel governo di Dio nel mondo, Cristo continua: Andate ed imparate quello che sia: io amo meglio la misericordia che il sacrificio: imperocchè non sono 7-enuto a chiamare i giusti. ma i peccatori.

Ecco il grande carattere della missione di Cristo; esso vien apertamente dichiarato; è la misericordia. Questo carattere è palese, incondizionato, assoluto. La miseria morale degli uomini non sarà una ragione perchè noi abbiamo a respingere gli uomini; diventa anzi la ragione dell’avvicinarsi ad essi, di trattarli con compassione, con affabilità, più che nemici del presente, considerandoli come preziose conquiste del futuro. Che bellezza, che elevatezza, che eroismo risplende in questo sentimento! E’ questo il sentimento dal quale siamo animati noi verso i pubblicani, verso i peccatori, cioè [p. 181 modifica]verso gli increduli, i viziosi, i libertini, il sentimento dal quale sono animati quelli che si dicono buoni, quelli che nella Chiesa rappresentano la purezza della dottrina, la severità della condotta, come intende6no di rappresentarla i Farisei presso il popolo Ebreo? Leggendo specialmente certi giornali, dal modo col quale parlano dei nemici, veri o presunti della religione, della Chiesa, vedendo i fulmini che invocano dalle autorità superiori, da chi rappresenta Cristo, non si direbbe che si ripeta in mezzo di noi la scena ricordata nell’odierno Evangelo? Perchè, si grida da questi soverchiamente zelanti, perchè tanta indulgenza da.parte dei superiori, verso... verso... Ah, come giustamente Cristo dovrebbe’ ripetere a noi le parole rivolte un giorno agli apostoli, invocanti le fiamme sulle.città incredule: Nescitis cuius spiritus estis! Certo nei rapporti di Dio coi cattivi, e nei rap.porti che noi, ad imitazione di Dio, dobbiamo avere con essi, si devono fare due osservazioni. Dall’amore così vivo, così incondizionato di Cristo, verso i poveri peccatori, male si indurrebbe che Cristo ami meno i buoni. Cristo ama tanto i buoni, e è appunto per farli diventar simili ad essi che ama tanto i peccatori. Cristo ama la Maddalena: sarebbe conseguenza sbagliata il pensare che ami meno la sua santissima madre, Maria. Cristo ama Pietro’ che lo ha r;nnegato: si dirà che ami meno Giovanni, il casto, il fedelissimo? Cristo ama Agostino, Pelagia, Margherita di Cortona; si potrà temere che ami meno le anime innocenti e pure, Agnese, Caterina di Siena, Teresa, Luigi? Il vero è che Cristo ama tutti. Una seconda considerazione. Bisogna avvicinare i peccatori, mescolarci con essi per attrarli, per convertirli. Come si concilia questo invito coll’altra raccomandazione di Cristo, che bisogna star lontani dai cattivi, che non bisogna mettersi nelle occasioni del male? Il punto intermedio c’è per poter avvicinare come Cristo i peccatori, i cattivi; senza. pericolo che il loro contatto ci torni di pregiudizio. bisogna cercare di essere prima anche noi, ad esempio di Cristo, buoni e santi. Esisteva il pericolo che Cristo, avicinandosi ai peccatori divenisse peccatore? Nessuno può. pensarlo. Rendiamo la virtù in noi vera, profonda, disinteressata, serena, incrollabile, coll’aiuto della grazia che Dio mai non nega, e poi innanzi con fiducia, con coraggio: omnia munda mundis; omnia possuni in co qui me canfortat. C’è il fango, c’è il sole. Può,nascere il pericolo che il sole si imbratti posando il suo raggio purissimo sul fango? Nel contatto non è il sole che si infanga, è il fango che si asciuga. Nella virtù siate il sole: nel contatto col vizio, il vizio non potrà non risentire la benefica influenza del vostro raggio che illumina é purifica. Voi vincerete il vizio, non il vizio voi.

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Un’ultima soavissima pennellata a dar rilievo al quadro dell’amor di Cristo, alla sua abituale propensione a rendere soave e dolce il servizio di Dio, la pratica della virtù.

Si accostarono a lui i discepoli di Giovanni gli chiesero per qual motivo essi e i Farisei digiunassero frequentemente, mentre i suoi discepoli tion digiunassero. Gesù disse loro: Possono forse i compagni dello sposo essere in lutto fintanto che lo sposo è con essi? Ma verrà il tempo, che sarà loro tolto lo sposo, e allora digiuneranno.

La convivenza di Cristo cogli Apostoli era una convivenza di gioia, era una specie di sposalizio morale tra l’anima sua e la loro: la nota caratteristica di questa unione doveVa essere la pace, la gioia: servite Dominum iaa laetitia, avrebbe detto San Paolo, il più entusiasta continuatore dello spirito di Cristo. Era anche una specie di preparamento che Cristo voleva formare presso gli Apostoli: la frase no:: potestis portare modo, detta da Cristo agli Apostoli, promettendo loro lo Spirito Santo, come colui che li avrebbe istruiti in tutto, non si riferiva soltanto alle verità da credere, ma anche ai doveri da pratica re. La Croce, come fu l’ultimo punto della vita di Cristo, così doveva essere l’ultimo nel periodo della vita degli Apostoli. E il giorno della Croce venne, e quanto fu han go, quanto fu terribile! Il Calvario si è ripetuto nella vita dei discepoli, come si era compiuto nella v; ta del Maestro. Dopo l’Ascensione di Cristo, dopo la sua partenza della terra, incomincia l’epoca delle persecuzioni. lo sposo non c’era più; ecco il digiuno!

Sorge però qui spontanea una domanda: cenate può dirsi in modo esatto, assoluto, che dopo l’A • scensione di Cristo non ci sia più lo sposo nella Chiesa? Cristo non ha detto: io sarò sempre con oi fino alla consumazione dei secoli? Se non è più presente sulla terra, colla sua persona in figura umana, Cristo non è forse ancora presente colla sua persona divina sotto le specie sacramentali? Nella Eucaristia, all’infuori delle specie mutate, Cristo non è meni. Cristo di quello che fosse nella sua vita mortale nella terra di Palestina e collo stesso fine di con:’ortare, di aiutare. Lo sposo c’è ancora... e pure c’è il digiuno, eppure ci sono le persecuzioni! Malgra:lo il digiuno, malgrado le persecuzioni, si può sostenere che lo nozze continuano; non nell’esclusione delle prove di sacrificio, ma nello spirito di amore col quale, queste prove possono essere accompagnate, sopportate, rendendole in tal modo non solo tollerabili, ma dolcissime, soavissime. Agostino ha detto una grande parola, una parola formata di genio e di ’santità: Amor,non laborat, vel si laborat, labor amatur; l’amore,non sente pesi; e se vi è un peso, l’amot=e fa amare quel peso. Si lavora, si soffre, si lagrima, ancorchè ci sia lo sposo... ma se si ama.lo sposo, diventa gioia anche il dolore, anche la lagrima diven ta tripudio nuziale... Secondo una pia leggenda Cristo un giorno chiese a Caterina -di Siena se,prete • risse una corona di oro o una di spine; e gliele pre sentava, lasciandola libera nella scelta. L’amor dello [p. 182 modifica]sposo faceva l’offerta. Caterina, che voleva essere la sposa di Cristo, quale risposta, uscita dal cuore, gentl’fiorirsi sulle labbra? Ah, dammi la corona di spine! Anime cristiane, anime buone, ancorchè Cristo sia con noi nell’Eucaristia, vi pesano ’troppo le prove della vita, vi par troppo pesante la croce che portate?... Sarebbe troppo dura constatazione; è segno che soffrite senza amore, è segno ché non amate! L. V.

LA GUERRA

CANTO DEI BAMBINI.

Se il braccio nostro debole brandir non sa la spada dei nostri canti bellici echeggi ogni contrada;, ’d ai fratei che pugnano d’Italia a le frontiere, di forza e ardor foriere canto echeggerà.. Su su, compagni, uniamoci, e i nostri voti ardenti i combattenti seguano di guerra fra i cimenti: il Tricolore sventoli su l’irredenta terra, a sacrosanta guerra vittoria arriderà! Compagni su!... La fervida canzon del nostro cuore, canti d’Italia i palpiti, dei figli suoi l’ardore. Canti d’Italia l’epica tenzon dei forti suoi, canti dei mille eroi l’indomito valor. Noi pur vorremmo correre dietro i piumati elmetti, noi pur la morte intrepidi sfidar coi nostri petti, noi pur sapremmo vincere, noi pur per te morire, Italia nostra, offrire a te vogliamo il cor. V. GOBBI.

Accademia musicale all’Istituto dei Ciechi

L’Accademia musicale estiva all’Istituto dei Ciechi, che ebbe luogo nei giorni 29 e 30 maggio, assunse quest’anno, peI momento speciale che attraversiamo, uno spiccato carattere patriottico. Non che la parte musicale venisse trascurata: rade volte il programma musicale fu così ben nutrito per numero,

squisitezza e varietà di pezzi, e giusta misura nell’assieme. dando una meritata lode a tutti, maestri ed’esecutori, un ricordo speciale non può’ommettersi per due pezzi distinti uno vocale, l’altro istrumentale • il pezzo vocale è il coro a quattro voci, Pasqua di surrezione, del in. Dentella, presente, eseguito da circa ottanta voci, allievi e allieve, sotto la direzione del maestro: Gallotti, maestro impareggiabile, che ’neritamente il membro del Consiglio avv. Capri, trasse sul palco, a ricevere dal pubblico uri meritato interminabile applauso. Il pezzo istrumentale è il Poemetto Sinfonico l’Aurora, per" piccola orchestra, composto dall’allievo dell’ultimo anno Enrico Cis; una circostanza specialissima, relativa al giovine compositore, dava a questo pezzo il carattere (li una impressionante suggestività; il Cís è trentino, nativo di Bezzecca: il padre è da quindici giorni a Milano, profugo, sfuggito alle ricerche dagli austriaci, e la famiglia, composta dalla nonna settantenne, dalla moglie e da quattro figli, venne di nottetempo fatta bruscamente sloggiare, per essere avviata in un paese di concentrazione, oltre le Alpi. Queste circostanze, note pur in confuso al pubblico, si può bene immaginare quale.profondo senso producessero, e con quale irrompente applauso, mescolato di lagrime, venisse salutato il giovinetto cieco. Il saggio di ginnastica diretto dal maestro cav. uff. Alberti, eseguito da una ventina di allievi, con uno sviluppo progressivo di quadri, di carattere veramente ginnastico, piacque assai e fu vivamente applaudito. Terminato il coro, presente sul palco tutta la schiera degli allievi e delle allieve, il nuovo rettore don Pietro Stoppani, con viva attesa del pubblic, lesse con accento vibrato il seguente discorso.

«Siamo stati un po’ incerti se fare o no la nostra Accademia, data l’agitazione e la gravezza dell’ora presente. Poi il Consiglio ha deciso di non togliere ai nostri allievi questa soddisfazione: poichè è ad essi soddisfazione squisita i! presentarsi --- sul finir dell’anno scolastico — a voi, signore e signori, che siete i loro amici, che nel passato gettaste le basi di questo istituto, ne accompagnaste la storia via via che questo si sviluppava, ’vigilando con generosi sensi l’opera vostra sorta per l’educazione dei ciechi. Non quindi accademia di svago; ma una giusta esperienza &arte che i ciechi nbstri sentono di dovere ai loro benefattori. E’ questa la prima volta che mi presento a voi nell’intera funzione di rettore; anche il Consiglio che regge attualmente il governo dell’istituto è stato nominato da poco. Finora non si è potuto altro che prendere posizione nel nobile lavoro compiuto da quelli che ci hanno preceduti. MOlto si è fatto e si è fatto bene. Il nuovo Consiglio ha iniziato la sua gestione pubblicando una bella monografia ’che riassume ed illustra ii passato ed il presente di quest’opera benefica; veramente, [p. 183 modifica]c’era già la monografia degna, venerabile e vivente; mons. Vitali qui presente aduna e personifica, nella sua rosea vecchiezza giovanile, gran parte della storia dell’istituto. La sua presenza ha per tutti noi, per me specialmente, un alto senso augurale. Io saluto in Mons. Vitali, il genio benefico di questa grande famiglia dei nostri ciechi! La pubblicazione del nuovo consiglio è anzitutto il riconoscimento di, quanto fecero i consigli anteriori; anche riveste il carattere di una vera apologia. Era giusto prospettare quello che gli altri prima di noi hanno saputo fare, per attingere da essi norma ed impulso a continuare la bella tradizione. La monografia cosi ben riuscita segna un punto d’arrivo; -e nei propositi e nelle speranze che essa sia anche il punto di partenza per nuovo cammino. Milano benefica non si lascerà sfuggire il suo vanto migliore: il nostro istituto dei ciechi,- il più bello d’Italia, saprà tenere il primato che ebbe fin qui, auspice la generosità del cuore ambrosiano. Ma anche qua dentro è. scesa la gravezza dell’ora che attraversiamo. Il disagio economico che affatica un po’ tutti, si è fatta sentire anche ai poveri ciechi. Era inevitabile. Ed è tin vero peccato! Se l’istituto avesse conservata la piena efficienza dei mezzi, si poteva svolgere un’azione provvida a difesa ed a sollievo dei più colpiti. Perchè molte famiglie di questi allievi, delle allieve, dei bambini ciechi, hanno visto partire padri e fratelli verso la frontiera dove la Patria li ha chiamati al cimento. Fra essi l’allievo Cis, di Bezzecca, che si presenta con una sua composizione musicale, ha il padre profugo e la famiglia forse internata là dove sa di sale, oh quanto, il pane altrui. Invece tutto è rincarato anche per noi; tutto è difficile, si vorrebbe fare, e non si pitò. Anzi conviene procedere con cautela, per non subire più tardi i danni dell’imprevidenza. Eppure, se il nostro calcolo si fosse fermato ’qui, se cioè ci fossimo preoccupati soltanto di noi, voi, o buone signore, che date ai ciechi la vostra simpatia materna, non eravate contente. Nemmeno essi, i miei ciechi, ci avrebbero ringraziato. Non sono questi i, giorni in cui il calcolo individuale o quello della famiglia possa prevalere: c’è qualche cosa (li più alto e di più santo: questo sentono tutti ormai. Ebbene, anche la famiglia dei ciechi, pure nelle distrette economiche, vuole la sua.parte di sacrificio. Il Consiglio mette a disposizione della Croce Rossa Io() letti nell’Istituto per i soldati feriti. Faremo in modo che la comunità ne risenta il meno possibile; ci ingegneremo: ma ’anche i ciechi intendono dare con fierezza e con letizia il loro contributo nella gara di tutti per la campagna liberatrice.. Abbiamo in casa una bella infermeria, disposta secondo le regole moderne; mancava la suppellettile, chirurgica; una mano generosa solo ieri mi ha consegnato la somma necessaria, L. 1200, per arredare con tutte le esigenze mediche la nostra infermeria.

Qui venendo i militi della patria, offesi dal ferro nemico, troveranno la buona accoglienza ospitale; qui apprenderanno la fratellanza di un altro dolore. i.: mentre la cura dell’arte medica sanerà le nobili fenostro soldato impari quest’altra esperienza, rite, che voi signore e signori, già conoscete: che pure i ciechi sono fratelli d’Italia; che anch’essi intendono dare alla madre Italia quello che hanno di meglio, la forza gagliarda del sentimento, il puro fiore del sacrificio. E se la loro italianità non si espande per le vie della luce, si profonda però. nelle vie dell’anima; da questa profondità non più cieca ma piena di luce, manda ai vivi ed ai, morti il grido profetico della vittoria!»

Il discorso più volte interrotto da vivi sensi di approvazione, specialmente quando accennò all’opera del suo predecessore comm. Luigi Vitali, alla fine sollevò una vera acclamazione, quando il rettore invitò gli allievi e le allieve a intonare l’inno di Mameli. Tutto il pubblico si levò di un tratto in piedi battendo le mani. Fu momento di entusiasmo indescrivibile, entusiasmo che si ripetè quando, finito l’ultimo pezzo dell’accademia, la sinfonia dell’opera La Marta di Flotow, scoppiarono, a modo di chiusa, le note della Marcia Reale.

Innovazioni nel trattamento dei prigionieri di guerra.

Decisamente, i criteri di rigore anche verso i nemici della specie più grave, vanno assumendo, almeno fra, noi, una curiosa metamorfosi. Le nazioni belligeranti d’oggi, però finora non hanno ecceduto in tenerezze di certo verso i prigionieri da loro catturati sul campo. I posti di concentrazione debbono risuonare d’alti lai da spezzare un cuore appena sensibile, se dobbiamo giudicare dal pochissimo che a stento ne trapela. Non parliamo poi del passato: neppure di quel passato prossimo che è la guerra franco-prussiana del 1870. Basta leggere i ragguagli contemporanei venuti dalle migliaia di prigionieri di. Sedan e Mett per farsi un’idea del trattamento usato ai prigionieri di guerra del secolo scorso e da quello, per via di deduzione, o meglio, di elevazione ad una potenza infinitesimale, del trattamento déi prigionieri antichi. Ora, che cosa succede? che rompendo le,tradizioni del passato e staccandosi da quello che fanno.cggidì stesso potenze civilissime e gentili, l’Italia adotta un trattamento molto al rovescio. Cioè, mentre altrove, andando prigionieri del nemico, si pro_vano tutte le durezze comandate dalla triste situazione del momento, da noi, i prigionieri austriaci finora catturati, trovano nei nostri soldati ogni premura compatibile col dovere, e nei popolani, di tesori di pietà e di soccorso. [p. 184 modifica]Se ne verranno internati anche a Milano, io non dubito di vedervi identiche scene di compassione e di soccorso viste altrove, ed anche più. Col loro proverbiale coeurasciun i milanesi nonchè compatirli, sfamarli, sarebbero capaci di chiedere loro scusa del disturbo.... a dir poco. Dunque umanamente trattati, anzi ben trattati, con forme detta — il gentil sangue latino — che a noi scorre nelle vene; da nulla intorbidato, avvelenato da bassi rancori di un passato che ce ne poteva autorizzare. Da noi, questi poveretti vengono a placare gli.)trendi latrati di uno stomaco affamato da giorni e giorni, a mettere fine ad un atroce digiuno inflitto dai loro duri padroni di ieri. Tanto che i primi con& itti ad Alessandria e Brescia credevano sognate, e la nostra mano soccoritrice non, sarà avara nel dare. Ah! io trasalisco di gioia nel vedere i rhiei connazionali armonizzare ’ così col Vicario di Cristo nella pietà ai prigionieri, o fors’anche, ispirarsi a lui e continuarne l’iniziativa. Trasalisco di gioia vedendo, oltre l’opera di misericordia, diciamo cosi, di carattere generale, che è la nostra guerra all’Austria,

guerra di redenzione di tanti miseri al cui grido di dolore non restammo insensibili, vi si intreccia quest’altra opera di misericordia, di dar da mangiare ad affamati giunti finti allo sfinimento, ed alla disperazione. Quel Dio che assicurò,di tener conto di un bicchier d’acqua:offerto all’assetato, no, non dimenticherà questa nostra opera di misericordia da lui tanto raccomandata e la convertirà in benedizione alle nostre armi. L. Meregalli