Il buon cuore - Anno XIV, n. 08 - 20 febbraio 1915/Religione

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Il buon cuore - Anno XIV, n. 08 - 20 febbraio 1915 Beneficenza

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Vangelo della prima Domenica di Quaresima

Testo del Vangelo.

Il Signore Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal Diavolo. E avendo digiunato per quaranto giorni e quaranta notti, finalmente gli venne fame. E accostatosegli il tentatore, disse: Se tu sei. Figliuolo di Dio, di’ che queste pietre diventino pani. Ma egli, rispondendo, disse: Sta scritto: non di solo pane vive Pim1110, ma di qualunque parola che esca dalla bocca di Dio. Allora il Diavolo lo menò nella città santa, e poselo sulla sommità del tempio, e gli disse: Se tu sei figliuolo di Dio, gettati giù; imperocchè sta scritto: Che ha commesso ai suoi angeli la cura di te, ed essi ti porteranno. sulle mani, affinchè non inciampi talvolta col tuo piede nella pietra. Gesù gli disse: Sta anche scritto: Non tenterai il Signore tuo Dio. Di nuovo il Diavolo lo menò sopra un monte molto elevato; e fecegli vedere tutti i regni del mondo, e la loro magnificenza, e gli disse: Tutto questo io ti darò, se prostrato mi adorerai. Allora Gesù gli disse: Vattene, Satana, imperocchè sta scritto: Adora il Signore Dio tuo, e servi Lui solo. Allora il Diavolo lo lasciò ed ecco che gli si accostarono gli angeli e lo servirono. • (S. MATTEO, Cap. Pensieri. Il Vangelo odierno ci presenta una delle pagine, a primo aspetto, più incomprensibili e strane

della vita di Cristo: le sue tentazioni nel deserto, dopo il digiuno continuato di quaranta giorni e quaranta notti. L’incomprensibilità è’però solo apparente: in questa pagina quali gravi lezioni ci vengono fornite! Al momento di dar principio alla sua predicazione pubblica, di attuare la sua missione divina, Cristo vuol dare un’idea, col suo esempio, di quello che sia, di quello che debba essere la vita per tutti noi: noi siamo chiamati alla virtù ed al cielo; ma è’ per mezzo della lotta che dobbiamo pervenirvi; è lottando assiduamente, pertinacemente contro i nemici spirituali delle anime nostre, contro il demonio e contro i suoi seguaci, che noi conseguiremo la vittoria, raggiungeremo il nostro fine. Militia est vita hominis: la vita dell’uomo deve esere una continua battaglia. Le principali tentazioni alle quali è in preda l’uomo sono tre: la sensualità, l’orgoglio, l’avarizia; lottare, per affermare il pregio maggiore dell’anima sul corpo; lottare, per conservare alla retta ragione, il governo della vita; lottare, perchè sull’amor dei beni della terra, primeggi l’amor supremo di Dio; ecco la nostra missione, ecco la nostra vita. E un programma degno di Dio e di noi di Dio che ce lo presenta, di noi che dobbiamo eseguirlo.

Gesù Cristo, giunto a trent’anni, si apparecchia a dar principio alla vita pubblica. Egli vi si è lungamente preparato nel raccoglimento della vita privata, nella preghiera, nell’obbedienza, nel lavoro. L’inverno, che fecondò nel segreto i germi della vita, è passato; spunti oramai, colla sua splendida fioritura, la primavera. Cristo ha ricevuto il battesimo da Giovanni; Giovanni lo ha presentato alle turbe come l’Agnello di Dio, che toglie i peccati del mondo.. E’ un momento solenne nella vita di Cristo; è come la sua consacrazione ufficiale al servizio di Dio. Nell’importanza di questo momento, alcuno dei più audaci critici moderni è arrivato persino a dire che Cristo, solo dopo avere ricevuto il battesimo di Giovanni ebbe la coscienza della sua messianità. Lo scrittore confuse la proclamazione pubblica della missione colla realtà, colla coscienza della missione. La coscienza della sua missione divina Cristo manifestò luminosamente di sentirla, quando, a dodici anni, smarrito dai parenti a Gerusalemme, rispose alla madre che dolcemente lo rimproverava: non sapevate che io devo occuparmi di ciò che appartiene al Padre mio? Ora la missione incomincia. Come incomincia? Colla lotta contro le tentazioni. Si osservi bene: Non è Cristo che va a cercar la tentazione; è lo Spirito di Dio che lo spinge, che lo guida nel deserto, dove sarà tentato dal demonio. Non è un’occasione che si presenta fortuitamente; è un’occasione preparata; è un piano prestabilito. E’ quello che avviene pure a noi. La nostra vocazione alla fede, la nostra missione divina incomincia col battesimo. Ma per una serie di anni questa vita spirituale rimane come latente; è solo col giun [p. 60 modifica]gere all’uso della ragiofie che si spiega, che si attua. E’ allora che vien dato il sacramento che porta in sè appunto il carattere di lotta, è allora che nel sacra’ mento della Confermazione diventiamo soldati di Gesù Cristo. Con questo titolo noi ci affacciamo alla responsabilità della vita; è questa la missione alla quale ci chiama Iddio.

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Dopo quaranta giorni di digiuno, Gesù Cristo ebbe fame. Noi non siamo angeli. Siamo chiamati a divenirlo, ma ora non lo siamo; ora siamo anime unite ad un corpo: noi non possiamo prescindere dai bisogni del corpo: l’avvertimento deve essere nel non permettere che nel nostro giudizio e nella nostra vita pratica le esigenze del corpo debbano essere soddisfatte prima, e considerate di maggior importanza che non siano quelle dell’anima. Cristo sentì gli stimoli della fame, ma prima digiunò; prima si raccolse nella solitudine e nella preghiera; pensò prima ad alimentare la vita dell’anima;’ alla vita del corpo pensò poi. Sta qui la grande differenza della concezione della vita tra la religione ed il mondo. Il mondo, sentendosi sotto l’impero d’elle esigenze della vita del corpo, dinnanzi allo spettacolo dei beni materiali che lo circondano, e che rappresentano a un tempo uno stimolo ed una soddisfazione, arriva a persuadersi che tutta la vita sia lì, e alla vita materiale subordina fogni altro triteresse. Quando il corpo si accorge di rappresentare la medesima preoccupazione dell’uomo, si forma allora quella schiera infinita degli adoratori della carne, che San Paolo definì con una frase energica e quasi brutale, quorum Deus venter est, raccogliendo sotto questa frase tutta la serie delle crapule e delle dissolutezze volgari o rafr finate, che costituiscono la vita del mondo. La tentazione è grave, perchè ha principio in una giusta esigenza, ed è provocata dall’esempio si può dire universale: è giusta l’esigenza della conservazione della vita col cibo, è giusta l’esigenza della riproduzione della vita colla famiglia: ma bisogna vegliare perchè queste due esigenze non oltrepassino il limite del bisogno e del dovere. Al di qua c’è la sobrietà e l’amore vero e santo; al di là c’è la crapula e la dissolutezza. E’ nella soddisfazione di un giusto bisogno che il demonio si insinua per la prima tentàzione. Se tu sei figlio di Dio, dice il demonio a Cristo, di’ a queste pietre che diventino pane. Non si può negare che questa proposta sia cortese, ispirata dall’amore verso Cristo, dalla stima nella virtù e nel potere di Cristo. Quante tentazioni sono incominciate in questo modo! Sono anzi queste le più seducenti, le più fatali! La proposta diretta di • un atto, che apparisse, evidentemente, una colpa, farebbe arretrare; bisogna incominciare con proposte che rivestano un carattere di interessamento e di stima: il demonio sa quanto efficacemente riesca a suoi scopi questo sistema: lo ha provato, e quanto bene gli è riuscito, coi nostri

infelici ptogenitori, là, nel paradiso terrestre: mangiate; diverrete simili a Dio! Il secondo Adamo ripara colla sua franca re’ sistema la debolezza del primo. Cristo non nega la necessità di alimentare convenientemente il corpo: panem nostrum quotidianum da nobis hodie; ma afferma altamente che oltre il pane materiale del, corpo, più importante di esso, è il pane spirituale dell’anima, rappresentato spiritualmente dalla parola di Dio, luce, guida, vita dell’anima. E’ l’affermazione solenne dell’ordine spirituale di fronte all’ordine materiale: al mondo, che non pensa che al secondo, al mondo che pone le sue compiacenze e le sue speranze nelle cose materiali, al materialismo invadente, imperante, Cristo oppone l’autorevole afferma’ zione della esistenza, della spiritualità, della eccellenza dell’anima. E’ la prima tentazione che ci vien fatta; è la prima lotta che dobbiamo sostenere: non sgomentiamoci: chi cí precede ha detto: ego vici nzundum: la sua vittoria sarà pur la nostra.

Allora il demonio portò Cristo nella città santa di Gerusalemme, e lo posò sul pinnacolo del Tempio. E’ la tentazione dell’orgoglio, l’andare in alto, credere di essere in alto, non soltanto nelle cognizioni che riguardano la natura, ma in quelle pure che riguardano ’la religione; è il razionalismo, che giudica superbamente tutto, non escluse le verità e i fatti della rivelazione divina, è un pretendere che Dio faccia, e insegni, non quello che vuol lui, ma quello che piace a noi. Se tu sei figlio di Dio, dice il demonio a Cristo, gettati giù dal Tempio, ed egli, come sta scritto, manderà i suoi Angeli e ti sosterranno, e tu non inciamperai. Pare un’affermazione di fede in Dio, quasi un’ostentazione di fiducia nella sua potenza e nel suo amore. Dove è l’orgoglio? E’ nel non seguire l’ordine di ragione, è nella pretesa di fare più di quello che l’uomo possa fare, o di imporre a Dio che operi lui in vece di noi. Pare umiltà, ed ’è orgoglio del la specie più raffinata, orgoglio che si riscontra non soltanto nelle persone che dicono di seguire solo la ragione, ma anche in quelle che dicono e credono di seguire la fede. Cristo risponde, e ci dà la formula giusta per confutare questo doppio orgoglio: sta anche scritto: non tenterai il Signore Lddio tuo. All’orgoglio dell’uomo razionalista, Cristo dice: non tenterai il Signore Iddio tuo, col voler restringere nell’ambito del-. le tue cognizioni le sue dottrine e i suoi misteri, col voler piegare a seconda de’ tuoi voleri le norme della sua Provvidenza. E’ Dio -che è sopra di te, non sei tu che sia. sopra di lui. -- E all’orgoglio dell’uomo di fede, che dice di volersi inspirare solo alle disposizioni di Dio, Cristo risponde: non tentare il• Signore Iddio tuo, nel pretendere ch’egli corregga le fatali conseguenze dei tuoi errori e delle tue imprudenze; non pretendere che egli agisca dove tu dovresti e potresti agire, non pretendere che egli faccia dei [p. 61 modifica]miracoli, per supplire alle tue colpevoli deficienze, ch’egli faccia dei miracoli per assecondare i tuoi capricci, le tue pretese, i tuoi interessi, le tue ambizioni, talvolta le tue vendette ed i tuoi odii. La retta ragione per tutti deve andare innanzi a tutto, la ragione che non fissa a Dio i limiti della sua rivelazione e della stia azione, la ragione che sotto il pretestb del trionfo della causa di Dio, non dispensa dalle leggi della prudenza e della carità. Tanto per gli uomini che vogliono seguire la sola ragione che per gli uomini di fede, le virtù cardinali sono il fondamento di una seria condotta, umile e coraggiosa a un tempo: giustizia, prudenza, temperanza, fortezza. Dio non si tenta; a Dio non si comanda; nè per respingere, nè per pretendere; per respingere ciò che piace a lui, per pretendere ciò che piace a noi: rationabile sit obsequium vestrum. E’ la seconda tentazione che dobbiamo vincere, è la seconda lotta che dobbiamo sostenere; lotta difficilissima, perchè è la doppia lotta della ragione contro il razionalismo e contro la superstizione; il razionalismo che si presenta difensore della ragione, la superstizione che si nasconde sotto il manto della fede.

E’ la terza tentazione; vinciamola: la innumerevole ecatombe dei vinti, fa più bello e meritorio il trionfo dei vincitori.

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Vinto in tutti i suoi ripetuti assalti, il demonio confuso si ritirò. Siate franchi; chi ha il coraggio delle proprie convinzioni incute rispetto anche ai nemici. Si fecero allora innanzi gli Angeli buoni, e si posero a servire Cristo. E’ un idillio dopo una tragedia. E’ il frutto confortante che aspetta ogni anima buona che combatte intrepida le battaglie della vita per la conservazione della fede, per la fuga del vizio e la pratica della virtù. La lotta può essere lunga, pertinace, dolorosa: che importa! Sul vessillo che dispiega sono scritti tre nomi, i nomi che attestano, col loro acquisto, la sua vittoria: li guardo, esulto, li bacio: anima.... retta ragione.... Dio!... L. V. •

Perché? Perchè?

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La brama dei beni terreni, delle ricchezze, l’avarizia, è l’ultima delle tentazioni colla quale il demonio assale Cristo. Egli lo porta sovra un alto monte, gli fa vedere tutti i regni del mondo e la loro magnificenza, e gli grida: tutto questo io ti darò, se prostrato mi ’adorerai. Il quadro è grandioso, la tentazione è seducente; quale potente attrattiva per l’uomo il veder dinnanzi a sè tutti i beni della terra, colle loro soddisfazioni, coi loro comodi, colla loro bellezza, e dire: possono essere miei! Quale fascino fatale questi beni esercitano nell’attirar a sè il cuor dell’uomo, lo si vede apertamente nella brama smoderata colla quale la grande maggioranza del genere umano si affanna per acquistare, per possedere, per accrescere sempre più presso di sè questi beni. La caccia ai beni della terra si può dire la professione universale degli uomini: a questa ricerca si sacrifica tempo, salute; per questo acquisto non si rispettano le leggi della fede e della onestà; si calpestano talvolta i più sacri vincoli della parentela e dell’amicizia! A questa corsa sfrenata nella ricerca dei beni della terra, per arrestarla, una parola solenne contrappone Cristo: Va indietro, satana; sta scritto: adora il Signore Iddio tuo, e servi lui solo. Iddio, per l’uomo, è ben qualche cosa di più di tutti i beni del mondo. I beni del mondo quanto sono -«minori di lui, e Dio di lui quanto è immensamente più grande! Dio si è degnato di offrirsi all’uomo come oggetto del suo amore, come suo possesso inainissibile ed eterno. Sarebbe fare suprema’offesa alla sua ragione, al suo retto apprezzamento, se postq fra la scelta di questi due oggetti, il mondo e Dio, l’uomo dicesse: scelgo il mondo, respingo Iddio!

Riposate! riposate voi derelitti, che vedeste il macello umano, che forse languiste, dolorando dell’estrema ferita, lungo un fossato, fra il mucchio di compagni, che imploravano come voi e come voi ritorivali(’ con fiamme sinistre negli occhi. Riposate! la immane strage di cui la storia non registra l’uguale, vi straziò gli occhi e l’anima e la pace dei giusti scenda ora su di voi. Dei giusti che se colpe umane vi / macchiarono, il sacrificio vi redense. Vi redense l’ultima dipartita dalla casa paterna, l’addio ai vecchi genitori la cui veneranda canizie profanò forse una parola d’imprecazione ai coronati, che volevano sangue e morte; vi redense lo strazio delle spose, dei figli, delle sorelle, delle fidanzate; vi redensero i giorni triplicati dalle ansie dell’attesa, dal terrore della strage, dallo spettacolo di una immensa rovina. E siate benedetti ora che la pace è scesa con voi nell’avello dimenticato; siate benedetti per quell’ultimo rantolo ch’era preghiera, per quell’ultima visione degli assenti, che vi raggiò nelle pupille semispente; per quell’ultimo, supremo strazio che la parola immiserisce. Ah, se le cure d’ogni giorno, se la vita colle sue necessità non ci distogliesse dall’atroce carneficina d’oltr’alpe! Forse la Provvidenza stessa fa sì che la lontananza ci salvi dall’incubo, il quale ci prostrarebbe forse fino all’abbattimento dell’inazione. Sono pur essi nostri fratelli! Fratelli non perchè destinatici da un angolo di terra comune; ma perchè posseggono, come noi, un corpo ed un’anima; un pensiero ed una volontà. Fratelli benchè sconosciuti, meglio ignorati; fratelli per quel grido ribelle che da noi s’alza e protesta contro le loro sofferenze: fratelli per quella voce benevola e pietosa la quale, dai penetrali segreti del nostro io, piange di pietà e di -dea [p. 62 modifica]siderio di portare sollievo. Fratelli! Le grida vostre hanno una ripercussione universale e la preghiera è rintuzzata e la comunione di anime, sulle macerie di tanto disastro, è impedita; un punto nero, macchia politica forse, s’è interposto, ha voluto troncare le parole che doinandavano «Pace! Pace!». Perchè, perchè arrestare la spontaneità degli animi? S’inchinavano pure gli eroi della Grecia e di Troia ai loro Dei protettori ed i Romani, nel tempio di Giano, chiedevano tregua alle armi, gli imperatori stessi, nel triste periodo di raffinata corruzione, serbavano, debole luce rompente le tenebre fitte, un resto di culto a un Dio immaginario. I barbari, scesi a contendersi questa povera Italia straziata dagli ultimi rantoli dell’impero, non tentarono la repressione del sentimento religioso; ma ad esso si associaro... 414 414

Alt. 414 414 414

Att. 1

Oir0Viità

SCHIAVITÙNella solita signorile veste tipografica che usa per le proprie edizioni la casa Cogliati, ci appare dinanzi questo bel libro, che raccomandiamo vivamente a tutti i nostri lettori giovani e vecchi. E’ un romanzo? un racconto? Propriamente parlando nè l’uno nè l’altro. Si deve dirlo un racconto storico, per la fedeltà delle fonti da cui l’Autore ha attinto non solo la trama, ma anche i singoli episodi; e nello stesso tempo presenta tutte le vivacità delle tinte, l’emozionante e tragica potenzialità delle scene che si svolgono nei romanzi. L’occasione prossima a scrivere questo libro, l’Autore l’ebbe dalle parole, che sul finire della sua vita ripeteva il cardinale Lavigerie, l’apostolo infaticabile, il padre intelligente ed amoroso dei poveri negri, di questi infelici che gemono schiavi di meticci mussulmani. e Voi tutti, uomini e donne di lettere, poeti e romanzieri, storici e giornalisti, aiutatemi a far conoscere all’universo intero, la sorte miserabile dei miei povrei figli negri, ridotti alla più dura schiavitù.» L’Autore ha raccolto il grido angosciato di quel cuore paterno, e con abile penna ha tracciato queste pagine, in cui, pur conservando la massima sobrietà, sfuggendo anzi gli effetti melodrammatici, evitando le inutili descrizioni, ci ha dato un quadro di una realtà così emozionante, da eccitare, non solo un tenero sentimento di pietà, ma molto più un desiderio potente di venire in aiuto, secondo la propria possibilità, ai missionari, che con ogni genere di sacrifici, di patimenti, tentano di salvare quelle povere vittime della barbarie mussulmana. I caratteri dei tre protagonisti, Milo, Ghella ed 11 padre Reardaniel, sono modellati con cura intelligente, con una naturalezza ammirabile, e conservano sempre, ad ogni pagina la propria impronta caratteristica ed originale. Vi sono scene di un tragico impressionante, altre soffuse di una dolcezza indefinita; sempre però corrette, e fra loro collegate intimamente così da costituire un’unità armonica, e tutte raride e convergenti alla meta. Ottima la traduzione, fino a dare l’illusione che l’originale sia stato dettato nella nostra dolce favella. Auguri di ampia diffusione.

no. Carlo.Magno pregò nel tempio, mentre_la corona gli veniva posta sulla fronte in nome del Signore ed i cavalieri portarono, primo nome del motto protettore, quello di Dio. Nelle lotte fra la Chiesa e lo stato il popolo non dimenticò la preghiera ed i comuni ebbero il carroccio con un simbolo di fede, nè le signorie mancarono di templi e di culto. La preghiera fiorì sulle labbra del popolo allorchè una ascesa del pensiero e della parola iniziò la riforma dei costumi. Le repubbliche ebbero il loro santo protettore e nello svolgersi delle guerre di successione, pontefici di virtù e di dottrina, predicarono efficacemente la parola di Dio. La rivoluzione stessa, nella distruzione assoluta, serbò certe reliquie ed i nostri martiri dell’indipendenza caddero guardando il cielo e cercando l’ideale lassù. Mazzini, dall’esiglio, nelle ore grigie della sua vita, scrisse all’amico: «Ieri avevi una madre in terra, oggi hai un angelo in Cielo». Garibaldi, nell’ora suprema, vide, nelle due colombe posate sul davanzale, l’anima delle sue figliuole che lo chiamavano. E noi, nel pieno sviluppo di ogni progresso intellettuale e morale, noi avremo ancora uomini che domandano il pelichè della preghiera invocante la pace? Ma vi sono azioni nella vita che non hanno motivo; azioni compiute nell’ora d’ella necessità spontaneamente, con sacrificio se occorre a scopo di bene, il bene universale. L’Uomo dalla bianca stola, non si deve essere domandato chi era l’oppressore e chi l’oppresso; in uno slancio di sentimento paterno egli ha dettato le frasi che chiedono la fine dello sterminio, il ritorno dei padri ai figli, degli sposi alle spose; egli ha chiesto la pace degli spiriti, la vaticinata fratellanza universale del Divino Poeta. Perchè, perchè sofisticare sulle parole ’che forse per un attimo, dall’una all’altra Chiesa d’Europa, riunendo tutti gli animi nel medesimo pensiero, sedavano il triste rumore delle armi fratricide? Perchè? Mary Tavola Carnovali.