Il buon cuore - Anno XIII, n. 35 - 31 ottobre 1914/Religione

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[p. 275 modifica]Religione


Domenica prima dopo la dedicazione

Testo del Vangelo.

Disse il Signore Gesù a’ suoi discepoli: «Il regno de’ cieli assomiglia ad un re, il quale volle fare i conti co’ suoi servi; e avendo principiato a rivedere le partite, gli fu presentato uno che gli anda-; va debitore di diecimla talenti. E non avendo costui il modo di pagare, comandò il padrone che fosse venduto lui e sua moglie e i suoi figlioli, e quanto aveva, e si saldasse il debito. Ma il servo, prostrandosegli ai piedi, lo supplicava dicendo: Abbi meco pazienza, e ti soddisfèrò interamente. Mosso il padrone a pietà di quel servo, lo lasciò in libertà, e gli conddnò il debito. Ma, partito di lì, il servo trovò uno dei suoi conservi, che gli doveva cento denari; e presolo per la gola, lo strozzava dicendo:‘ Pagami quello che devi. E il conservo, Prostrato ai suoi piedi, lo supplicava dicendo: Abbi meco pazienza, ed io ti soddisferò interamente. Ma quegli non volle, e andò a farlo mettere in prigione, fino a tanto che l’avesse soddisfatto. Ma avendo gli altri conservi veduto tal fatto, grandemente se ne rattristarono; e andarono e riferirono al padrone tutto quello che era avvenuto. Allora il padrone lo chiamò a sè, e gli disse: Servo iniquo, io ti ho condonato tutto quel debito, perchè ti sei a me raccomandato. Non dovevi adunque anche tu aver pietà di un tuo conservo, come io ho avuto pietà di te? E sdegnato, il padrone, lo diede in mano ai carnefici, fino a tanto che avesse pagato tutto il suo debito. Nella stessa guisa farà con voi il mio Padre celeste, se ciascheduno di von non perdonerà di cuore al proprio fratello». (S. GIOVANNI Cap. io).

Pensieri. La bellezza del perdono appare evidente e inoffese ricevute, ella grande lezione che Gesù Cristo a noi porge nell’odierno Vangelo. I terribili, gli inevitabili castighi che attendono chi non perdona, sono il complemento solenne, efficace di questa lezione. Felice chi l’ascolta; sventurato chi non la segue.

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La bellezzo del perdono appare evidente e innanzi tutto nell’esempio di Dio. Si dice: Dio è ca 275

rità; si potrebbe convertire la frase, e dire: Dio è perdono. Il perdono è una delle manifestazioni più frequenti, più generose della sua carità. La carità è il primo atto di Dio, il perdono il secondo. L’opera di Dio, riguardo all’uomo, si riassume nei due grandi atti: Creazione, redenzione. La creazione è amore, la redenzione è perdono; due momenti di un atto solo: carità! Chi obbligava Dio a crearci? Niente, nessuno. Noi non potevamo obbligarlo a crearci, noi ancor non nati. Ci creò per amore. Ci creò per partecipare un po’ a noi della sua grandezza, della sua felicità; della sua grandezza, nell’immagine sua stampata in noi, coll’intelligenza, colla volontà, coll’immortalità; della sua felicità, colla gioia. di questi beni posseduti, colla speranza del premio, per questi beni bene usati. L’uomo è un raggio dell’amor di Dio, che splendido scende da Dio, e splendido egualmente doveva a lui ritornare. L’uomo è una scintilla di Dió. E l’uomo ha il coraggio di non apprezzar l’esistenza, di maledirla!

La carità di Dio appare ancor più manifesta nel sua secondo atto, la redenzione. La redenzione è la: carità di Do che perdona. E’ un atto di carità più grande del primo. Niente sforzava Dio a crearci; quante ragioni potevano spingere Dio a non redimerci, a perdonarci r E ci perdona; ci perdona subito, nell’atto i’stesso in cui Adamo, con una deplorevole debolezza, si era reso indegno della sua grazia; ci perdona, mentre non aveva perdonato agli angeli ribelli; ci perdona mentre prevedeva che il suo perdono sarebbe stato più e più volte abusato, profanato; ci perdona, non solo non consi-, derando in noi i molti motivi che dovevano indurlo a non perdonarci, ma assogettando sè stesso a una!vera,umiliazione, a un vero sacrificio. Humiliavit semetipsuin, formam servi accipiens, factus obediens usque ad mortem, mortem autem crucis. Per redimere l’uomo si fece uomo, non solo;• ma accettò tutte le miserie dell’umanità, sino al punto di divenire l’uomo dei dolori; dei dolori nell’animo, dei dolori del corpo. Il Getsemani, il Calvario, riassumono come i due punti estremi dei suoi dolori; ma Vi è qualche cosa che è più grande dei suoi dolori, la generosità con cui li accetta, sapendo che erano il prezzo del perdono degli uomini; la generosità con cui perdona a coloro stessi che lo perseguitano, adoperando i dolori stessi della passione che gli uomini gli infliggono per redimere gli uomini. Padre, passi da me questo calice; ma sia fatta la tua volontà, non la mia. La prima parte della frase fa conoscere che i dolori in Cristo non sono un’apparenza, ma una realtà; la seconda parte manifesta la spontaneità, lo slancio del suo sacrificio. Padre, perdona ad essi, perchè non sanno quel che si fanno. Qui non c’è solo l’atto del perdono, c’è anche la parola: Padre, perdona, per farci palese che l’eroismo specifico della redenzione sta nel perdono. [p. 276 modifica]Io sono semp;e colpito di ammirazione, di stupore, nel vedere come Manzoni, parlando dei misteri cristiani, abbia sempre veduto in essi il punto più intimo, e usato la frase che ne rivela in mode evidente e preciso la ragione e lo spirito. La redenzione è perdono; perdono non solo nella realtà, ma anche nella frase. Udite come Manzoni si faccia l’eco del Vangelo: Manzoni non ha soltanto conosciuto ed accettato il cristianesimo l’ha sentito, l’ha vissuto. Se in suo consiglio ascoso Vince il perdon, pietoso Immensamente egli è. Qui Manzoni ricorda il Natale, il principio della redenzione. E quando in man recandosi Il prezzo del perdono Da questa polve al trono Del genitor salì.... Qui Manzoni ricorda il compimento della redenzione, l’ascensione di Cristo. Principio e fine della redenzione: una parola sola segna i due punti: perdono!

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L’odierno Vangelo richiama sotto la forma di parabola il gran fatto del perdono di Dio verso la umanità peccatrice. Il Re che chiama i servi a dar conto della loro gestione, è Dio che chiama gli uomini a dar ragione della loro vita. Uno dei servi chiamati, si trovò debitore di dieci mila talenti, Era un debito enorme; sia per la gravità del debito, e più ancora, forse, per le cause che avevano originato il debito, perchè la sua enorme quantità induce a credere o grande spensieratezza o grande perversità, il Re giustamente si sentì spinto a chiederne a tutto rigore l’intero pagamento, e, in mancanza della somma, chiedeva il compenso della pena della persona: sia venduto lui, sua moglie, i suoi figliuoli, e quanto aveva.... Il servo debitore si getta ai piedi del Re, supplica, prega, che abbia pazienza, che gli dia tempo a pagare; che pagherà tutto... Il Re, a quell’aspetto, a quelle parole, a quelle lagrime, si intenerisce; non solo concede la dilazione per dar tempo al pagamento, ma condona tutto il debito, e lascia che il servo sia in libertà, e con lui la moglie e i figli. Che scena commovente, che bella scena! E’ scena non umana, ma divina. Quel Re indulgente, pietoso, è la vera immagine di Dio, pietoso verso i poveri peccatori, verso di noi. Quante volte noi lo abbiamo offeso, non con uno, ma con più peccati, e peccati- talvolta anche gravi, da costituire un vero debito enorme dinnanzi a lui. Ma quel giorno nel quale noi ci siamo fatto coscienza del nostro stato, quel giorno in cui Dio ci ha chiarhati a dar conto della nostra vita, e risultati debitori, ci síame pentiti, abbiamo confessato il nostro peccato, abbiamo pianto, Dio ci ha perdonato. Perchè noi fossimo più sicuri del suo perdono, egli ha affidato l’uf ficio di constatarlo, di proclamarlo, al suo ministro. A noi, chinati in umile atto di penitente nel Confessionale, il Sacerdote ha detto, rappresentante in quel momento non di sè, ma di Dio: Io ti assolvo, va in pace e non voler più peccare!

Quanto è grande, quanto è buono Iddio nel suo perdono! Che dovrebbe sentire, che dovrebbe fare l’uomo dinnanzi al perdono di Dio? Aprire il cuore prima di tutto, ad un senso di viva gioia, di riconoscenza. Dio mi poteva, mi doveva punire e mi ha perdonato: mi ha perdonato tutto, e forse era ben lunga, era ben grave la serie dei miei peccati. Come è bello, come è grande l’atto di Dio! Che farò io? Se mai, in un rapporto ben inferiore, io avessi qualcuno che tenesse qualche debito con me, che, nel senso morale, mi avesse offeso, che farò io? Ah, è troppo grande il beneficio che Dio ha fatto a me nel perdonarmi il mio debito, perchè io non abbia a far lo stesso col mio prossimo; sarò ben lieto di ringraziare Dio del beneficio che mi ha fatto coll’imitarlo; col fare agli altri quello che egli ha fatto a me; tanto più che il debito che mi fu perdonato è ben più grande del debito che gli altri possono avere con me; • tanto più che io perdono ad uno che è simile a me, mentre Dio ha perdonato a me, Dio infinitamente più grande e più perfetto di me! Son questi i sentimenti dei quali dovrebbe esser compreso il servo perdonato dinnanzi ad un conservo che si trovasse avere qualche debito verso di lui. Il conservo c’era; gli doveva un debito, ma un debito minimo in confronto del debito che era stato perdonato a lui; lo incontra precisamente appena uscito dal cospetto del padrone; il senso della riconoscenza del beneficio ricevuto lo doveva gettare spontaneamente nelle braccia dell’amico, e fargli dire: — Amico, ti perdono il tuo debito: fu perdonato a me dal padrone uno immensamente più grande; ecco io sono ben lieto di perdonare a te il debito piccoli che devi a me! Che bella scena, che scena gentile, generosa! L’uomo ripeteva la grandezza di Dio!

Che avvenne invece? Appena fuori della casa del Re, mentre udiva ancora nelle orecchie le parole di perdono, mentre aveva ancora sul volto le lagrime colle quali aveva intenerito il cuore del.creditore, il servo perdonato si imbatte nel compagno debitore, lo prende per la gola, quasi lo si strozza, e gli grida: Pagami il debito! L’altro gli si prostra ai piedi, lo supplica dicendo: Abbi pazienza, e ti soddisferò interamente. — Son le stesse parole dette poc’anzi dal servo al padrone, e dal padrone ascoltate con tanta benignità e generosità. Ma quegli non accettò preghiere, scuse,.promesse e andò a farlo mettere in prigione fino a tanto che non l’avesse soddisfatto. Non è necessario avere l’animo squisitamente [p. 277 modifica]gentile per sentirsi sdegnato di tale contegno, per non sentire quale senso di durezza, di ingratitudine, di crudeltà, si concentri in quell’atto! Alla bruttezza dell’atto in sè, che avvilisce e degrada chi lo compie, e diventa colla sua indegnità il primo dei castighi, non possono mancare altri castighi, il castigo della disapprovazione degli uomini, il castigo della punizione di Dio. Gli altri conservi; avendo veduto tal fatto, se ne attristarono, e andarono a riferire al padrone tutto quello che era avvenuto. La crudeltà del cuore non può trovare indulgenza presso di nessuno, specialmente quando chi se ne rende colpevole fu oggetto di squisita indulgenza da parte degli altri. Ma la condanna maggiore verrà dalla parte di Dio. Dio è carità, e chi offende la carità negli altri è come offendesse la carità in lui. Che ha fatto il padrone, udito il rapporto dei conservi? Chiamò a se il servo perdonato, e gli disse: Servo iniquo, ip ti ho condonato tutto il debito, perchè ti sei a me raccomandato; non dovevi tu fare lo stesso col tuo compagno? E sdegnato lo diede nelle mani dei custodi delle carceri, perchè lo punissero finchè non avesse pagato tutto il suo debito. Ciò che non sarebbesi potuto avverare mai, e quindi il castigo sarebbe stato perpetuo.

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Fratelli! Qualcuno vi ha offeso, o in molto o in poco? Perdonate. Dio ha perdonato tante volte’a voi. Il vostro debito è molto più grande di qualsiasi debito che il vostro prossimo dovrebbe a voi. Non perdonate? Leggete l’indegnità della vostra condotta nell’indegnità del servo dell’odierno Vangelo, voi siete creduli come lui! E quanti castighi vi attendono! Il primo castigo l’avrete nella mancanza di pace della vostra coscienza; il seconda lo avrete nella disapprovazione, tacita o aperta, degli altri. Ma soffocate pure la voce della coscienza; infischiatevi pure del contrario giudizio degli uomini: c’è un castigo che non potrete sfuggire mai, e quanto terribile, il giudizio di Dio. L. V.

Domenica seconda dopo la dedicazione Testo del Vangelo. I Farisei ritiratisi, tennero consiglio per cogliere Gesù in parole. E mandarono da lui i loro discepoli con degli Erodiani, i quali dissero: Maestro, noi sappiamo che tu sei verace, e insegni la via di Dio secondo la verità, senza badare a chicchessia; imperocchè non guardi in faccia agli uomini. Dinne dunque il tuo parere: E’ egli lecito, o no, di pagare il tributo a Cesare? Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, disse: Ipocriti, perchè mi tentate? Mostratemi la moneta del tributo. Ed essi, gli presentarono un denaro. E Gesù disse loro: Di chi è questa immagine e questa

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iscrizione? Gli risposero: Di Cesare. Allora egli disse loro: Rendete dunque a Cesare quel che è di Cesare, e a Dio quel che è di Dio. S. GIOVANNI, cap. 8.

Pensieri. La malizia degli uomini, la sapienza di Cristo, ecco le due verità che appaiono in un modo egualmente palese dall’odierno Vangelo. I Farisei rinnovano uno dei loro soliti tentativi per mettere in imbarazzo Cristo, e perderlo, se fosse possibile, nella stima del popolo; e Cristo con una sublime risposta li sfolgora, elevandosi tanto più in alto sopra di essi, quanto più essi restano al di sotto di lui confusi e scornati. Il caso si ripete quasi identico ai nostri tempi: cambiate soltanto i nomi: al posto di Cristo mettete la Chiesa, al posto dei Farisei mettete la schiera begli increduli, dei fanatici e dei libertini.

I Farisei avevano già cercato altre volte colle loro artifiziose domande di mettere Cristo in imbarazzo. Una prima volta, quando sotto il portico del Tempio, gli avevano chiesto di parlar chiaro, e non tenerli sospesi sulla natura della sua missione divina; come se, in questa prova, non avessero alcun valore tutti gli argomenti di dottrina e di virtù, dati e ripetuti prima, in tutta la sua vita da Cristo; una seconda, quando gli condussero innanzi la donna presa in adulterio, perchè a brucia pelo decidesse che si dovesse farne. Nel primo caso era un imbarazzo d; fede; ’nel secondo di morale; ora è venuta la volta dell’imbarazzo politico, forse, per le conseguenze immediate, il più delicato di tutti e il più pericoloso, • I Giudei si trovavano sotto il dominio dei Romani, ma sopportavano quel giogo riluttanti. La sottomissione apparente, esterna, era accompagnata dalla rivolta, dalla avversione interna degli animi. Ma bisognava usare prudenza. Guai se i Romani si fossero accorti di aspirazioni, di movimenti nazionali! La pena avrebbe tosto fatto seguito alla colpa. Era qui il punto delicato per prendere Cristo. interrogarlo in modo che se avesse manifestato idee di poco rispetto ai Roinani, sarebbe stato accusato come ribelle; se invece avesse fatto capire di approvare l’aborrito giogo straniero, sarebbe stato accusato come traditore della patria, come nemico delle tradizioni mosaiche. Le, prime arti adoperate per riuscire sono quelle dell’adulazione. Cominciano a presentarsi a lui Giudei ed Erodiani, i primi avversi al dominio romano, i secondi favorevoli, perchè ciascuno potesse star più attentò per cogliere Cristo nel punto che più li interessava. Cominciano a chiamarlo maestro; a riconoscere che egli ragiona bene in tutte le cose; che è verace; che egli non si lascia imporre da nessuno, che non è accettatore di persone: egli, si ritiene per sottinteso, non ha paura nè di Giudei, nè di Romani: dice solo la verità, e la dice francamente a tutti, non curante delle conseguenze. [p. 278 modifica]E in che modo intavolano il loro questionario? Presentano a Cristo una moneta, di quelle coniate per pagare il tributo, e gli dicono: Maestro, è egli lecito pagare il tributo a Cesare? — Se rispondeva di sì, Io mettevano ín mala vista dei Giudei come anti-patriota; se rispondeva di no, evidentemente i rappresentanti del governo costituito l’avrebbero accusato e punito come ribelle.

Non vi pare di assistere a certe accuse che i partiti radicali, gli increduli, i framassoni, muovevano ai Cattolici? Tutto quello che i Cattolici fanno, in privato, in pubblico, coi giornali, coi congressi, è tutto spiato per vedere se ci sia qualche cosa per poterli accusare come anti-patrioti, come nemici del paese. La caccia al Cattolico quante volte venne fatta! Come di contro non sono mancati per altra parte anche i Farisei, i quali accusavano i cattolici, schiettamente, unicamente cattolici, di traditori della Chiesa, di increduli, di framassoni, se in questioni strettamente politiche, nelle quali non erano punto interessati i principi della fede, si permettevano di esprimere idee, di acconciarsi a fatti, che favorissero il movimento nazionale. • •

Come rispose Cristo alle arti dei maligni, rappresentanti delle due categorie? Con un taglio netto; col distinguere, col separare le due quistioni, la questione politica dalla questione religiosa. Comincia a smascherarli con una pregiudiziale. Ipocriti, perchè mi tentate? Non siete in buona fede nella vostra domanda. Non è la verità che cercate; cercate un pretesto per la mia rovina: voi volete che parli, per vedere sotto la mia parola anche quello che non risponde alle mie intenzioni. Oh, quanto e quante volte questo carattere di mala fede appariva palese negli assalti, nelle accuse, che i veri i sinceri cattolici, in questo rapporto, dell’amore verso la Chiesa e verso la patria, dovevano sopportare dai partiti estremi! E’ già una vittoria quando agli avversari si può opporre, non con ingiuste supposizioni, ma con sicura certezza, che la loro opposizidne non è sincera, non è voluta dall’amore della verità e della giustizia, ma, inspirata e sostenuta solo per malignità, per mire di partito.

Cristo affronta direttamente la questione. Mostratemi, dice agli interpellanti, la moneta del censo. La moneta portava su uno dei risvolti l’immagine del l’Imperatore. Di chi è questa immagine? domanda Cristo. E gli altri rispondono: Di Cesare. — Ebbene, sentenzia Cristo: date a Cesare quello che è di Ce,sare e a Dio quello che è di Dio. La netta, la chiara divisione, dei due poteri, il potere civile e il potere religioso, ecco la soluzione pronta, solenne, assoluta, di tutti i problemi sociali.

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La risposta di Cristo è la risposta •di trionfo

dei veri cattolici dinanzi alle accuse dei due estremi, degli Erodiani e dei Farisei; degli Erodiani, che in omaggio esagerato degli interessi politici sacrificano i beni religiosi, i diritti della coscienza cattolica e della Chiesa; dei Farisei i quali per una estensione indebita, esagerata, di quelli che si chiamano diritti inalienabili della società religiosa, della Chiesa, e non sono che diritti positivi, storici, transitori, nati da circostanze particolari di tempi, destinati a scomparire per lo svolgimento fatale di altri tempi differenti, avversano, condannano tutti quelli che vogliono l’indipendenza, l’unità, la libertà, la grandezza politica del loro paese, dell’Italia.

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Buon per noi che siamo arrivati a un’epoca in cui senza ambagi, senza sottintesi, senza restrizioni, i cattolici possono ripetere nei rapporti della Chiesa e dello Stato le parole stesse di Cristo: Date a Cesare quello che è di Cesare, a Dio quello che è di Dio. Questa distinzione è stata proclamata apertamente in via di fatto e in via di dottrina dal Pon tefice Pio X. Tutte le volte che egli raccomandava l’adempimento dei doveri di buon cittadino, dei doveri sociali; quando p. es., ha permesso, sia pure condizionatamente di accedere alle urne politiche, ha solennemente proclamato la parola di Cristo: Date a Cesare quello che è di Cesare. Quando invece nella sua prima Enciclica al mondo cattolico ha annunciato come programma del suo Pontificato la massima dell’apostolo Paolo: instaurare omnia. in Cristo, allora proclamò l’altra patte delle parole di Cristo: Date a Dio quello che è di Dio. Buoni cittadini, buoni cristiani e cattolici, ecco la divisa del vero seguace di Cristo. Alziamo serena e confidente la nostra fronte: è sempre stata questa la nostra bandiera. Oh, la seguissero tutti! L. V..hk. v.k -21%,i’s• -0K

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Opera di Assistenza degli Operai Italiani. EMIGRATI IN EUROPA Via S. Damiano, 44 Segretariato Generale On.le Presidenza, La ’prossima Assemblea Generale dei Delegati dell’Opera di Assistenza rivestirà un’importanza senza precedenti. Essa dovrà infatti, anzitutto, commemorare l’indimenticabile fondatore dell’Opera Monsignore Geremia BONOMELLI, mancato ai vivi il 3 agosto p. p. Tale commemorazione fu già tenuta, con quale emozione è facile immaginare, nella ristretta gerarchia dei Delegati intervenuti ai funerali di Cremona. Ma è naturale che nell’atto di dare stabile e definitivo assetto all’Opera Sua, si ricordi in forma più solenne il Fondatore, quasi a trarne buoni attspiCi dalla sua grande memoria. Abbiamo pertanto deciso di dedicare un giorno intiero, 25 [p. 279 modifica]Novembre alla commemorazione del Vescovo Bonomelli; la mattina con una cerimonia religiosa che presiederà S. E. il Cardinale Ferrari: nel pomeriggio, con una funzione civile, a cui è assicurato l’intervento delle autorità. In tale occasione i Delegati, che interverranno numerosi, avranno modo di conoscersi e di affiatarsi per le importanti operazioni del giorno successivo, 26 Novembre, in cui avrà luogo la vera e propria Assemblea. Questa, a termine di Statuto, dovrà: a) provvedere alla rinnovazione totale del consiglio direttivo, resasi necessaria in seguito alla erezione in ente morale dell’Opera; N’approvare, a termini dell’art. 6 dello Statuto, le Sezioni regionali e locali di antica e di recente costituzione, colle relative Presidenze; discutere ed approvare il Bilancio Preventivo 1915; nonchè le misure eccezionali che, in vista delle gravissime circostanze presenti, il Consiglio ha creduto di prendere o crederà di proporre per l’avvenire; deliberare intorno alle proposte avanzate da alcuni Delegati di ottenere, mediante Decreto Reale, là modifica del titolo dell’Opera (Opera di Assistenza agli Operai Italiani Emigrati in Europa) in quello più semplico di «OPERA BONOMELLI»; nominare la Commissione incaricata di compilare il Regolamento dell’Opera (art. 16 dello Statuto); infine trovare i mezzi straordinari onde far fronte alla situazione affatto eccezionale determinatasi per gli emigranti, e quindi nell’Opera, in seguito alla guerra europea. Epperò non possiamo abbastanza raccomandare a tutte le Sezioni di interessarsi vivamente affinché l’Assemblea abbia a riuscire come deve essere plenaria. Ma perchè,tale risultato posa conseguirsi, occorre anzitutto che le. Sezioni siano regolarmente costituite a termini del nuovo Statuto: Le Presidenze ed i Consigli Direttivi delle singole Sezioni debbono ritenersi dimissionari per la stessa ragione che hanno determinato le dimissioni del Consiglio di Presidenza Generale. Occorre quindi provvedere alla loro rinnovazione, nonché alla nomina dei Delegati all’Assemblea Generale. Codesta Presidenza vorrà quindi al più presto, e in ogni caso non più tardi del 15 novembre, provvedere ad una riunione plenaria di tutti gli amici dell’Opera che in codesta città, a termine dell’art. 7 del nuovo Statuto possano considerarsi Soci Promotori o Cooperatori — a termine dell’ultimo capoverso dell’articolo stesso, la qualità di Soci dovrebbe essere conferita dalla Presidenza Generale. Ma, in vista dell’urgenza di convocare le Assemblee di Sezione, tale conferimento potrà farsi in blocco e posticipatamente: il Segretario Generale, tuttora in carica, apporrà cioè la propria firma agli elenchi che ciascuna Sezione presenterà all’Assemblea dei Delegati. Perchè l’Assemblea dei Soci della Sezione sia valida,

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occorre, a termine dell’art. 9. dello Statuto, che siano presenti,’ anche in seconda convocazione, almeno un quinto dei Soci della Sezione. Riunita l’Assemblea, dovrà provvedere: alla nomina della Presidenza della Sezione e dove occorra del Consiglio di Presidenza; alla nomina a maggioranza assoluta dei Delegati all’Assemblea Generale in proporzione di uno ogni 5o Soci o frazione di 5o; alla compilazione di un Regolamento interno; alla compilazione d’un Bilancio Preventivo della Sezione per la nomina dei Delegati, si noti che essi possono essere scelti nella persona degli stessi componenti il Consiglio di Presidenza. Inoltre si osservi che la presenza di buon numero di Delegati è indispensabile, come vedremo, alla validità dell’Assemblea dei Delegati. Le Sezioni quindi che non potessero nominare un numero di Delegati proporzionati al numero dei Soci Promotori e Cooperatori, dovranno inviare alla Presidenza Generale tante deleghe in bianco quanti sono i Delegati di cui è preveduta l’assenza. Nell’Assemblea dei Delegati, perchè questa sia valida, deve essere rappresentata almeno la metà delle Sezioni, e queste con almeno la metà dei Delegati loro spettanti (art. XIII.) Il Consigliere Delegato

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Istruzione Religiosa nella Parrocchia Prepositurale di S. Fedele Anno Scolastico 1914-15 Studenti delle classi elementari. Al giovedì dalle 15 e un quarto alle 16: ’ Sezione I — Giovinetti e Giovinette di classe I. e II. Sezione II — Giovinetti delle classi II, IV, V. Sezione III — Giovinette delle classi III, IV, V. Studenti delle classi medie. Giovinetti e giovinette delle classi I e II ginnasiale, tecnica o complementare. Sezione I al lunedì. dalle 16 e un quarto alle 17. Sezione II al giovedì dalle 15 e un quarto alle 16 Alunni della classe II, IV e V ginnasio e III. tecnica. — Martedì dalle, 16 e un quarto alle 17. Studenti dei corsi superiori. Studenti di Liceo e Istituto Tecnico Mercoledì dalle 16 e un quarto alle 17. Signorine dei Corsi Superiori — Venerdì dalle 16 alle 16 e tre quarti. L’istruzione è impartita in ogni sezione dai Sacerdoti. Le lezioni cominciano lunedì giorno 9 novembre. Possono iscriversi anche studenti di altre Parrocchie.