Il buon cuore - Anno XIII, n. 34 - 18 ottobre 1914/Religione

Religione

../Educazione ed Istruzione ../Notiziario IncludiIntestazione 26 febbraio 2022 50% Da definire

Educazione ed Istruzione Notiziario

[p. 267 modifica]Religione


Domenica la d’Ottobre

Testo del Vangelo.

Il Signore Gesù se n’andò al Monte Oliveto: e di gran mattino tornò nuovamente al tempio, e tutto il popolo andò da Lui, ed Egli stando a sedere insegnava E gli Scribi e i Farisei condussero a Lui una donna colta in peccato; e postala in mezzo, gli dissero: «Maestro, questa donna or ora è stata colta che commetteva peccato. Or Mosè nella legge ha comandato a noi che queste tali siano lapidate. Tu però che dici?». E ciò essi dicevano per tentarlo, e per avere onde accusano. Ma Gesù, abbassato in giù il volto, scriveva col dito sulla terra. Continuando quelli però ad interrogano si alzò e disse loro: «Quegli che è tra voi senza peccato, scagli il primo la pietra contro di lei». E di nuovo chinatosi scriveva sopra la terra. Ma coloro, ud;to che ebbero questo, uno dopo l’altro se ne andarono, principiando dai

267

più vecchi: e rimase solo Gesù e la donna che si stava nel mezzo. E Gesù alzatosi le disse: «Donna, dove sono coloro che ti accusavano? nessuno ti ha condannata?» Ed ella: «Nessuno o Signore». E Gesù le disse: «Nemmeno io ti condannerò; vattene e non peccar più». S. GIOVANNI, cap. 8.

Pensieri. Due grandi verità morali ci vengono ricordate da Gesù Cristo nell’odierno vangelo ecco la prima: innanzi di censurare i peccati altrui, pensiamo a correggerci dei nostri. Ciò non vuol dire impunità o connivenza del male; no. Ecco la seconda: Dio perdona anche i peccati più gravi, ma alla condizione di riconoscerli, di riprovarli, e di promettere con serio pròposito di non più ricadervi nell’avvenire. • •

E’ assai importante la’circostanza ricordata in principio dell’odierno vangelo. Cristo verrà chiamato giudice riguardo ad una grave colpa di disonestà. Or bene; Gesù se ne andò al monte Oliveto, e di gran mattino tornò nuovamente nel Tempio. L’Oliveto è il monte dove Gesù Cristo, quando era in Gerusalemme, recavasi a pregare. La preghiera, ecco uno dei mezzi più efficaci per tenerci lontani e farci superiori alle passioni del senso; la preghiera e il digiuno, che in senso largo può essere applicato al ritiro ed alla fuga delle occasioni cattive. La preghiera e il ritiro, allontanandoci dal mondo e avvicinandoci a Dio, deprimendo il corpo ed elevando l’anima, danno in noi il predominio alla parte spirituale, rialzano le forze morali, e diventano validissimo presidio a sentir meno e a vincere, ancorchè si sentano, le tentazioni del peccato. Grave insegnamento per coloro che, al ailontanare il rimorso e là riprovazione delle proprie debolezze dinnanzi alla coscienza, vorrebbero trovare un attenuante, una scusa nella forza irresistibile della passione. Pregate voi?... E sopratutto, fuggite voi le occasioni del peccato?... Gli Scribi e i Farisei conducono dinnanzi a Gesù Cristo una donna colta in adulterio, e lo richiedono del suo parere, ricordando che Mosè per tali colpe aveva stabilito nella legge la pena della lapidazione. Questo essi facevano, non tanto per zelo delle virtù per rispetto della legge, ma per aver occasione di accusare Gesù Cristo; perchè o egli assolveva la donna, si sarebbe gridato al trasgressore della legge; o egli la condannava, e avrebbe perduto in faccia al popolo quel carattere di indulgenza e di benignità, del quale gloriavasi e che tanto contribuiva ad acquistargli il favore del pubblico. A subdola interrogazione, Gesù Cristo non risponde; fa il distratto, e chinatosi scriveva per terra, quasi a dire: chi chiede con intenzione non retta non merita risposta. Ma continuando quelli a interrogarlo, si alzò disse: Quegli che è fra di voi senza peccato scagli il primo la pietra contro di lei. E tornò a scrivere per terra. Qual lezione racchiude questa solenne risposta? [p. 268 modifica]Che prima di condannare gli altri dobbiamo correggere noi stessi. E’ bello l’amore della virtù e lo zelo pel rispetto della legge di Dio: ma questo amore e questo zelo, se sono sinceri, dobbiamo prima di tutto applicarli in noi stessi: questo è il primo nostro dovere. Questo dovere adempito ci renderà ad un tempo più autorevoli e più indulgenti; più autorevoli, perchè la nostra parola sarà avvalorata dai nostri fatti; più indulgenti, perchè chi fa bene, sapendo quanto costi il farlo e il farlo bene e sempre, trovasi più preparato a compatire chi non è riuscito a farlo: l’essere indulgente gli tornerà anche più facile, perchè l’indulgenza non potrà essere scambiata per connivenza, per transazione di coscienza, per mercato di coscienza, comperando, nella indulgenza nostra verso gli altri, l’indulgenza degli altri verso di noi. Ma chi fa male perde il diritto di correggere il male negli altri. Posto anche che avesse il dovere della correrezione, la sua correzione è priva di ogni efficacia. I proverbi, che sono la consacrazione del buon senso del popolo, hanno con diverse immagini, e in diverse lingue, rilevato il lato riprovevole e ridicolo a un tempo, di chi si fa presso gli altri censore dei difetti che ha presso di sè. Il Vangelo ha già la frase: tu che, vedi la festuca negli occhi altrui, non vedi la trave che è nell’occhio tuo. La Grecia ha la famosa favola di Esopo, delle due bisaccie, la bisaccia grande dei difetti nostri gettata dietro le spalle, per non volerla vedere. Medice, cura te ipsum; tu che vuoi fare da medico agli altri, comincia a curare te stesso, che sei ammalato più degli altri; è proverbio latino. Che predica da che pulpiti; è proverbio italiano, per dire che il bene non deve essere predicato da chi fa male. E’ lo scorno al quale non hanno potuto sottrarsi gli Scribi e i Farisei dell’odierno vangelo. Udite le parole di Gesù Cristo, uno dopo l’altro se ne andarono principiando dai più vecchi. Questa fuga rivelava la colpa. L’inclinazione alla censura dei difetti altrui è in noi destata e alimentata da tre motivi, l’uno più basso e riprovevole dell’altro. Il primo è il nostro orgoglio che ci porta a deprimere in qualsivoglia modo il nostro prossimo, parendoci col deprimere gli altri di rialzare noi. Il secondo è una specie di inganno che facciamo a noi stessi, credendo di ingannare anche Dio, quasi lo zelo nella censura altrui possa mai coprire e compensare le colpe nostre. Il terzo è un’arte raffinata di impostura, per celare al mondo le turpitudini segrete del cuore e della condotta. Come sospettare che faccia male, ’chi si mostra tanto zelante nel condannare il male negli altri? Quante volte sotto lo zelante si cela l’impostore, tanto più tristo e impostore quanto più si mostra zelante! Gesù Cristo scriveva in terra; nan è detto che cosa scrivesse: alcuni interpreti pensano che scrivesse i peccati segreti degli accusatori, e da ciò la loro fuga, cominciando dai più vecchi, che ne avevano di più. Impostori! Non lusingatevi di star sempre celati: Gesù Cristo, se non scrive ora, scriverà nel Giudizio universale, e saranno non più frasi velate e a voi solo nate per la vostra correzione; saranno rivelaTioni pa lesi in faccia a tutto il mondo per la vostra riprovazione. La condanna degli Scribi e dei Farisei non vuol dire approvazione delle colpe della donna peccatrice. Gesù Cristo assolve dalla pena legale, non assolve dalla pena morale. Assolve dalla pena legale, perchè si erano ritirati gli accusatori, e l’accusa era condizione richiesta per l’applicazione della pena, e Gesù Cristo non poteva legalmente sostituirvisi. Gesù alzatosi, disse alla donna: Dove sono coloro che ti accusarono? Nessuno ti ha condannata? Neppure io ti condannerò. — Resta la pena morale. Gesù Cristo, restauratore della legge morale, iniziatore anzi di una legge tutto spirito, non poteva non infliggere questa pena, e la infliggerà, chiara, perentoria, solenne, sia pure con frase mite e soave. Vattene e non peccar più! Ecco la condizione dei perdono di Dio, il proposito di non peccar più, che include il dolore, la riprovazione del peccato commesso. Le parole sono poche, ma il senso è preciso, il precetto è profondo, radicale. Il proposito attuale di non più commettere colpe nell’avvenire è la condizione assoluta per poter applicare la parola del perdono di Dio alle anime nostre. E questo proposito, appunto per essere sincero, deve essere completo, cioè deve implicitamente abbracciare nel voto dell’animo, e prontamente applicare nell’opera, tutti i mezzi che la fede, la ragione, l’esperienza, ci suggeriscono e impongono perchè il nostro proposito riesca. La preghiera, la penitenza, le buone letture, la compagnia delle persone virtuose, la frequenza ai sacramenti, e sopratutto la fuga delle occasioni cattive, specialmente delle occasioni prossime, quelle occasioni che una fatale esperienza ci avverte essere più forti della forza di ogni nostro precedente proposito, ecco ciò che deve assolutamente accompagnare l’atto col quale promettiamo a Dio di non più cadere in peccato. Fuori di lì lo sperare il perdono è un’illusione, fatale illusione. Vattene, e non più peccare! Queste parole, pronunciate da Gesù Cristo alla donna peccatrice, la Chiesa, tanto è prezioso il senso che includono, le ha fatte proprie, e le pone sul labbro del Sacerdote come chiusa nell’amministrazione del sacramento della riconciliazione e del perdono. Solo vi aggiunge una parola: in pace. Il Sacerdote dice al penitente: Vattene in pace, e non voler più peccare. E’ un dolce augurio, e più che un augurio è la sicurezza del gran. bene che il perdono di Dio, quando è meritato, ci porta nel cuore. Chi vorrà privarsi di questo bene? Misericordia aggiunta a misericordia, il darlo a noi non dipende che da noi! Questo fatto evangelico fu dipinto da un grande artista, da Tiziano. Ma in quel quadro mancano due figure: in esso non vi è che la parte negativa della morale cristiana riguardo alla purezza dei costumi, non peccare; manca la parte più bella, più efficace; la parte positiva, che trasformò il mondo collo spettacolo della verginità. A completare l’opera redentrice di Cristo, il pensiero del credente fa quello che non poteva fare l’artista, e vi aggiunge le due figure: Maria Vergine e San Giovanni.

L. V.

fI [p. 269 modifica]Domenica della dedicazione

Testo del Vangelo.

Si faceva in Gerusalemme la festa della Sagra; ed era d’inverno e Gesù passeggiava pel Tempio nel portico di Salomone. Se gli affollarono perciò d’intorno i Giudei, e gli dicevano: «Fino a quando terrai tu sospeso gli animi nostri? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente». Rispose loro Gesù: «Ve l’ho detto e voi non credete: le opere che io faccio nel nome del Padre mio, queste rendono testimonianza di me. Ma voi non credete, perchè non siete del numero delle mie pecorelle. Le mie pecorelle ascoltano la mia voce, e io le conosco, ed elleno mi tengon dietro. Ed io dò loro la vita eterna, e non periranno in eterno, e nessuno le strapperà a me di mano. Quello che il padre ha dato a me, sorpassa ogni cosa, e niuno può rapirlo di mano al Padre mio.qa e il Padre siamo una cosa sola. (S. GIOVANNI Cap. io).

Pensieri. Nell’ultimo Vangelo abbiamo l’eco delle discussioni che avvenivano verso la fine del primo secolo, fra cristiani ed ebrei. Interessantissimo conoscerle, studiando le risposte che davano quegli antichi fedeli. Le obiezioni che gli ebrei muovevano ai credenti in Gesù Cristo, in apparenza erano solide, c anche dopo tanti secoli si vanno sostanzialmente ripetendo anche ai giorni nostri. — Di qui la necessità di meditare le risposte che l’Evangelista ci ha conservate. Gli ebrei dicevano ai cristiani: in sostanza, in questo vostro Gesù, in questo vostro Messia chi ha creduto? Chi è che ha aderito alla sua parala? Poveri pescatori ignoranti,. pubblicani, peccatori, donne di mal affare, l’aristocrazia del sangue, no. L’aristocrazia del censo, no. I sadducei? no. L’aristocrazia dell’ingegno? I dot-’ tori? no. L’aristocrazia della virtù? I farisei? no. Certamente il fatto è innegabile, ed esige spiegazione. Perchè mai la predicazione di Gesù, non trovò eco nella coscienza degli uomini che rappresentavano ciò che di meglio possedeva la nazione ebraica? Fu intesa solamente da ignoranti, poveri, peccatori, dagli infimi del mondo? L’abiezione si può ripetere. Chi crede a Gesù nei nastri paesi, ai giorni nostri? Dov’è la vera fede, la sincera adesione? Forsechè nei banchieri, negli scienziati, nel fiore della società? No. Quasi quasi non c’è più neppure negli operai. Stanno attaccati a Gesù i contadini, le donniciuole, gl’ignoranti: basta che in un paese entri il giornale, perchè tutto sia finito. Dove si diffonde la luce della scienza, ivi cessa la fede, la fiducia, l’aspirazione al soprannaturale. — Dunque l’obbiezione, quantunque antica, è sempre nuova. La risposta degli antichi cristiani, l’a•bbiamo nel quarto Vangelo ed è verissimo: tutto sta a capirla bene. Premettiamo qualche osservazione: gli uomini si

269

dividono in due classi, sapienti ed ignoranti. Il sapiente parla e l’ignorante intende, dicendo del sapiente che ha ragione. Ma se ciò avviene è perchè anche nell’ignorante, vi è qualche cosa che risponde alla mente del sapiente: perchè se in lui non ci fosse nessuna luce, nessuna idea; non capirebbe nulla. Ciò che sente dal sapiente, non lo vedeva prima, ma scosso, stimolato dalla parola, subito intende; c’è insomma tra sapiente che insegna, ed ignorante che impara, una certa quale omogeneità, altrimenti non s’intenderebbero mai. Quel che avviene della sapienza, avviene anche della virtù. Anche l’uomo poco virtuoso, ammira le grandi virtù, applaude al sacrificio. Perchè? Perchè c’è qualche cosa di comune nel campo morale tra colui che è virtuoso e chi non lo è, altrimenti è impossibile spiegare l’applauso. Voi, dice il Vangelo, stupite che Gesù non trovasse eco alle sue parole nei grandi d’Israele, nei dotti, nei virtuosi, ma la trovasse soltanto nei pubblicani, nei poveri, nei peccatori. La ragione è evidente: mancava in quelli l’affinità spirituale con Gesù: aera invece in questi, e lo intendevano. Dio può comunicare cogli uomini, e quando li domina, da assorbirne pensieri, affetti, parole, azioni, tutta cioè la personalità umana, sicchè tutto nell’uomo divenga divino, allora egli è una manifestazione completa della divinità. In Gesù tutto è religiosità, ogni movimento della mente, del cuore, di tutto il suo essere, è effetto della azione del Padre in Lui: è come annientato l’uomo, dinnanzi all’azione divina. Nel Vangelo ci è dato di sentire Dio in Cristo. Pensarlo quindi Figlio di Dio è il supremo bisogno della coscienza cristiana. Ma i farisei, i sadducei, i dottori si ribellavano al soprannaturale, all’idea che un uomo fosse dominato dalla divinità, perchè in essi non c’era più alcuna comunicazione con Dio; si erano chiusi in ’sè pel loro orgoglio, per la loro sensualità, non capivano assOlutamente che cosa volesse dire, uomo divino. Certo che chi può pensare e dire: «chi non va al bene coi mezzi che gli indico io, e fuori di strada» questi è certo un pazzo d’orgoglio. Ma un uomo che trasfonde la sua persuasione in quelli che credono in Lui, un Uomo la cui vita non era che un’espressio•ne di santità, un Uomo ch•e in ogni suo atto, non era altro che una rivelazione di Dio, dicendo: «chi non raccoglie con me, disperde» confermava colle parole quanto dimostrava colla vita di essere cioè Uomo-Dio. Persuadiamoci bene di quanto siamo venuti studiando, meditiamo. Chi è contrario alle parole di Gesù, al suo Vangelo, da segno evidente di essere fuori della via della salute. — I pubblicani, i peccatori, le meretrici, svergognati del loro stato, umiliati di sentirsi tanto lontani dal bene, dalla verità, conobbero Dio, nella parola di Cristo, respirarono, si sentirono sollevati, accettarono la salute e brilleranno nel regno di Dio. [p. 270 modifica]I farisei, i dottori, credettero avere in sè la salute; rifiutarono quello che loro offriva l’inviato del cielo, saranno così esclusi dal Regno. Qualunque colpa ci può essere perdonata. Ma chi è cieco e non accetta la luce da Colui che solo glie la può dare, rimarrà per sempre nelle. tenebre. «I giudei diedero di piglio un’altra volta alle pietre per lapidarlo. Gesù replicò loro. «molte buone opere vi mostrai da parte del Padre mio: per quale di questa opera mi lapidate?» gli risposero i giudei: non ti lapidiamo per un’opera buona, ma per la bestemmia e perchè tu che sei uomo, ti fai Dio. Rispose loro Gesù: «Non è scritto nella vostra legge: io dissi, voi siete Dei? Se Dei chiamò quelli ai quali Dio parlò, e la Scrittura non può annullarsi, a quello cui il Padre santificò e mandò al mondo, voi dite: — tu bestemmi — perchè ho detto: son figlio di Dio? Se non fo opere del Padre mio, non mi credete. Ma se le fo, e non volete credere a me, credete alle opere: sicchè sappiate e crediate che il Padre è in me ed io nel Padre 4.

centro che consta di poche case, situate ad un incrocio di strade: vi sono una o più vendas o armazems (negozi empori), ove vengono a fare gli acquisti i coloni dei dintorni, una scuoletta italiana di solito tenuta da coloni, e non manca mai una cappella che viene ad uff iziare una volta al mese più o meno, il parroco di Urussanga. Da due o tre anni in molti di questi centri vanno fondandosi negozi cooperativi, esclusivamente per iniziativa dei coloni: sono sorti col carattere di cooperative di consumo, allo scopo.di sottrarre i coloni agli alti prezzi praticati dai negozianti sui generi importati; poscia hanno iniziato anche il commercio di esportazione dei prodotti dei singoli coloni. Oltre quella di Urussanga Villa, vi sono le cooperative di Urussanga Bassa con 30 soci, di Cocal con 75, di Rio Major con 50, di Rio Caethè con 4o. I negozianti dicono che le cooperative hanno rovinato il commercio. Tutti i nuclei fanno capo al mercato principale della villa di Urussanga, e ne sono distanti da 10 fino a 30 chilometri: alcuni sono collegati da strade discrete, molti da strade mulattiere. Coltivazioni e prodotti.

Le colonie dello Stato di S.ta Catharina (Continuazione del numero n).

Nei nuclei del Municipio. La gran parte della popolazione del Municipio di Urussanga è sparsa nella campagna, distribuita nei lotti coloniali, di cui ogni famiglia è proprietaria. La popolazione complessiva del Municipio si calcola sia ora di quasi 12 mila abitanti, in maggioranza veneti e friulani; vi è anche qualche migliaio di polacchi. Sebbene l’immigrazione sia cessata in queste colonie da parecchi anni, e solo di tanto in tanto arrivi qualche famiglia dall’Italia, chiamata a raggiungere parenti già stabiliti, pure anche quì la popolazione ha un incremento annuo considerevole a motivo della rapida moltiplicazione delle famiglie. Nella parrocchia di Urussanga, che comprende nella sua giurisdizione religiosa una zona estesa circa un quarto e più della circoscrizione_ di quel municipio, hanno in media da 500 a 550 nascite annuali, mentre la mortalità ha una percentuale assai bassa: vi sono molte famiglie con 14 o 15 figli, e la media di questi è di 8 o 10 per ogni famiglia. Ogni anno si registrano circa 100 matrimoni: a 18, a 20 e non più tardi di 25 anni, di regola, i giovani si sposano, e ciò si deve anche alla facilità di ottenere terreno a sufficienza, che permette a chiunque di metter su famiglia. I principali nuclei compresi nel municipio di Urussanga sono: Urussanga Bassa - Nuova Palermo - Rio dos Bugres - Nova Venezia (in parte) - Armazem - Rìo Caethè - Cocal - Rio Gallo - Rio Salto - Rio Jordao Rio Major - Rio Americano - Nuova Belluno - Belvedere - Rio Co’mprudente - Nuova Treviso - Rancho dos Bugres. Ognuno di questi nuclei ha generalmente il suo

La coltivazione dominante nel municipio di Urussanga, come in tutte le colonie di questo Stato, è il granturco (milho): la polenta di granturco costituisce colà per quei veneti l’alimento principale come lo era in Italia prima che emigrassero. li granturco è inoltre usato per ingrassare i maiali, l’allevamento dei quali rappresenta una delle industrie più diffuse e redditizie per tutti i coloni. Si coltivano poi abbondantemente i fagiuoli, le patate, la mandioca, il riso; nelle località più calde, vicino ai fiumi, anche la canna da zucchero. Il municipio di Urussanga si distingue dagli altri anche per il maggior sviluppo che vi ha preso la viticoltura. Quasi tutti i coloni posseggono degli appezzamenti di vigna; i più coltivano solamente la vite americàna (detta anche fragola od Isabella), ma non manca chi ha introdotto altri vitigni. Nel possesso del colono Coppetti, situato nella frazione di Rio Caethè, distante circa 5 chilometri dalla villa di Urussanga, trovai una vigna grande e ben tenuta, nella quale si coltivano anche vari esemplari di viti italiane di uva bianca, con discreto risultato, nonostante le difficoltà che tali vitigni incontrano nel paese per produrre il frutto. Qui ebbi a rilevare anche una difficoltà che si incontra, specialmente nello Stato di Santa Catharina, per la conservazione del vino: avendo osservato come diversi vasi vinari e botti di legno fossero ricoperti da ogni parte con uno strato di cemento, mi si disse che non era altro che uno dei tanti tentativi per impedirne la tarlatura. Esiste una specie di tarlo, un bicho (insetto) che perfora i vasi vinari: ed accade sovente che dalla sera alla mattina il povero colono si trovi la botte vuota e la cantina allagata. Solamente le botti contenenti cachaca o acquavite non sono attaccate dal bicho. Perciò il vino si conserva generalmente in damigiane ed in grandi recipienti di vetro. Il vino, sebbene assai inferiore a quello che si pro [p. 271 modifica]duce nelle colonie del Rio Grande, costituisce qui pure una risorsa importante. Le colonie che posseggono vigne in maggiori estensioni acquistano considerevole valore. Lotti coloniali. Nel municipio di Urussanga i lotti coloniali rustici misurano per lo più 275 metri di fronte, sulla strada, e metri 1100 di lato. Una ventina di anni fa uno di tali lotti si comprava per 450 milreis, equivalenti allora a 450 lire, comprese le spese di misurazione ecc.; adesso di liberi non ce ne sono; quelli che vanno in vendita valgono in media da uno a tre e quattro contos, cioè da 1600 a 6500 lire. Influisce sul prezzo, oltre pa posizione, più o meno vicina ai centri, la estensione della coltivazione della vite, che, come abbiamo detto è fra le più apprezzate, ed il tipo di casa, se costruita in legname od in muratura; nel municipio di 1.1;ussanga sono particolarmente numerose le case in-zmuratura, e vanno aumentando di numero ogni anno, a mano a mano che i coloni accumulano risparmi. Costruire in muratura costa assai caro nello Stato di Santa Catharina ed in generale nel Brasile meridionale, oltre che per il costo della mano d’opera, più specialmente a causa della mancanza di calce; l’unico deposito di calce cui ricorre l’arte muraria, sono gli ammassi di conchiglie che si trovano sulla riva del mare. Le condizione economiche dei coloni di Urussanga, Azambuja, e delle colonie più vecchie sono generalmente buone: pochissimi ve ne sono che non siano proprietari almeno di due colonie; molti ne hanno cinque o sei, diversi ne hanno qualche diecina. Non tutti i proprietari di zolonie hanno soddisfatto il prezzo della prima colonia che fu loro assegnata dal Governo: v’è un numero discreto di coloni che, dopo avere sfruttata la prima colonia per molti anni, una volta esaurite le risorse del terreno, l’hanno abbandonata senza più curarsi del debito contratto su di essa: coi risparmi n•e hanno Comprate altre che hanno intestate ai loro figli. Il Governo non si interessa di riprenderle, e si mostra in ciò assai corrivo e condiscendente. Una borgha considerevole che si distacca dai nuclei ricordati per quantità di case e di popolazione è Acciolli de Vasconcellos o Rio Cocal, comunemente detta Cocal: è distante circa 11 chilometri da Urussanga, e si trova a metà strada fra questa e la colonia di Cresciuma. La popolazione del distretto di Cacai una volta era composta in buona parte di polacchi; ora i coloni polacchi sono fortemente diminuiti ed i rimanenti emigrano poco a poco per l’Argentina, vendendo i loro terreni agli italiani: il motivo che essi adducono è la mancanza di strade e l’abbandono in cui è lasciato il paese dal Goverrui, ormai da troppi anni. E non hanno torto: in ciò mostrano meno acquiescenza dei nostri connazionali. In Cocal il parroco è di nazionalità polacca, ma italiani e pol’acchi hanno due chiese separate. CRESCIUM A. Cresciuma, fondata nel 1880 con poche diecine di

-1171

— ’g

271

famiglie italiane, ebbe più tardi un contingente notevole di immigranti russi, polacchi e tedeschi; ma i 4000 abitanti, che formano la popolazione attuale, in gran parte sono italiani. Sebbene incomparabilmente più prossima a Urussanga, questa colonia fa parte del municipio di Araranguà, dalla cui sede è distante 38 chilometri: è collegata ad essa per una strada alla meglio carrozzabile, la quale per una quindicina di chilometri corre nella zona delle colonie’ italiane, poi entra nelle foreste,, ed in tutto questo tratto è discreta e non ha fango perchè il suolo è arenoso. La sede di Cresciuma è situata in località pianeggiante, non molto elevata, ery costituita da un insieme di una dozzina di case, fra cui si contano varie Case di commercio; vi sono tre o quattro negozianti più forti la cui fortuna va dalle 20 alle 40 mila lire. Cresciuma, a causa della lontananza dai mercati e dei terreni non molto fertili e già sfruttati, è colon;a piuttosto povera; molti terreni nei dintorni di essa sono stati comprati da coloni di Urussanga. Nella sede principale, oltre la parrocchia, esiste un istituto delle Suore Zelatrici del S. Cuore, frequentato ora da poco più di 70 alunni; due anni fa erano circa 120, ma l’apertura sul luogo di una scuola municipale brasiliana, interamente gratuita, glie ne ha tolti una cinquantina. Disgraziatamente conta poche fanciulle interne: i più ricchi negozianti delle colonie italiane, preferiscono mandare ad istruire i figli in istituto di Suore tedesche che si trova a Braco do Norte, non molto lontano da Tubarao, perchè in quello imparano la lingua tedesca, molto usata pel commercio in tutto lo Stato, ed anche il brasiliano. L’istituto delle Suore, sussidiato modestamente dal R. Consolato, deve trarre la sua esistenza dalle tasse tenue, essendo in molti casi di 2 o 300 reis (30 o 40 censcolastiche degli alunni, stabilite in misura meno che tesimi) al mese per ogni allievo esterno e 10 milreis, cioè 17 lire per ogni bambino interno. Sove,nte queste tasse non sono soddisfatte dai genitori, ai quali purtroppo sembrano già gravi; perciò si dimostrano insufficienti, tanto che l’anno scorso, ad evitare il pericolo che dovesse chiudersi, alcuni principali negozianti, che già da anni offrivano gratuitamente i locali per le scuole e per le Suore, si tassarono per una somma annua di 400 milreis per supplire al suo.3ostentarnento. La sede principale di Cresciuma non accenna a svilupparsi molto, e si allargò invece considerevolmente, in questi ultimi tempi il nucleo S. Giovanni, situato presso la cappella della cosidetta Linea prima, i cui negozianti cercano di attrarvi il movimento, procurando ricorrere al mezzo più efficace a tale scopo in quei paesi, di farvi costruire parrocchia e scuola; di qui lo sforzo di quelli di Cresciuma per non lasciar cadere l’istituto. (Continua) Il Municipio di Milano ha ordinato 200 abbonamenti per distribuire in tutte le scuole i fascicoli dell’ENCICLOPEDIA DEI RAGAZZI. [p. 272 modifica]FRANCOBOLLI USATI Mons. ’Polvara

li

N 2000