Il buon cuore - Anno XIII, n. 09 - 28 febbraio 1914/Educazione ed Istruzione

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Il buon cuore - Anno XIII, n. 09 - 28 febbraio 1914 Religione

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La pubblicazione dell’“Inno dei Santi„

di ALESSANDRO MANZONI


Dall’Italia togliamo il seguente interessantissimo articolo:

Dal conte Stefano Stampa, figliastro di Alessandro Manzoni, che godette per lunghi ’anni l’af fettuosa dimestichezza di lui, e sopra lui pubblicò notizie importatissinie, il Pio Istituto dei «Figli della Provvidenza a in Milano ereditò un prezioo’ tesoro di carte manzoniane. Ora annunzia la pubblicazione d’un saggio di esse, curata dal professor Attilio DeMarchi, della quale per cortesia dell’annessa scuola tipo-litografica (via Filangieri, 13) abbiamo potuto avere visione. Le sue settanta pagine contengono alcune letter sconosciute e di molto interesse scritte o ricevute, in vario tempo da don Alessandro, e sono precedute da un • bellissimo disegno a matita fatto- da Luigi zoccoli, che ci dà il profilo,di lui quando aveva ssantacinque anni. Portano anche nel contesto due (1iF2,kni di mano dei MAnzoni, uno che rappresenta t l fantastico itinerario di Renzo nel Lazzaretto, l’altro u na testa femminile, prcbalmente quella della sua ’ ’-conda moglie. Teresa Borri vedova Stampa. Ma Più che questi documenti d: storia e di curiosità,’ l’attenzione del lettore sarà richiamata da cjue reliquie Poetiche. La prima consiste in due ottave, delle quali st conosceva, per una lettera’ del Grossi al Giusti, ha sola coppia di versi:

E sento come il più divin s’invola Nè può il giogo patir della parola., Il Grossi l’aveva attribuita al poemetto: L’innesto del vaiuolo,, che il Manzoni cominciò poco dopo la sua, conver;one, quando, aveva innovato non solo dproprio stato di coscienza, ma i propri criteri Se non che il De Marchi dubita dell’esatezza di questa attribu.ione, poichè nei manoscritti dl Donna Teresa, che osservò le due ottave, esse apparirebber9 aver appartenutó a un componimento intitolato: «Visioni poetiche a. Egli espone tuttavia l’ipotesi che quest’ultimo titolo sia’ stato dato a quel solo frammento, se anche questo fece parte del poemetto citato dal Grossi, e distrutto dall’autore. Ma dei frammenti poetici.il più importante è l’altro, cioè le quattordici strofe èntere dell’inno Ognissanti o Ai Santi che Manzoni aveva disegnato di scrivere fin da quando si dispose a cantare con inni sacri le dodici principali feste dell’anno, ma che cominciò nel 0347, come apparisce anche da una lettera di Rosmini, già pubblicata nel tgoo del Bonola, in cui il grande filosofo dava qualche suggerimento al grande poeta sulla convenienza teologica d’alcune parole. Com’è noto, la prima notizia particolare,ggia’:a di questo inno si ebbe nel 1859 per mezzo di una lettera del Manzoni a’ Luisa Colet la quale pubblicandola’ fece conoscere le quattro strofe oramai famose, nelle quali, per dirla ’con parole di lui, «egli voleva,rispondere a coloro che domandavano qual merito ci sia nelle virtù dei più solitari, sterili per la,società. A Lui che nell’erba del campo La spiga vitale nascose. IZ fil di tue vesti corrìpose De’ farmachi il succo temprò; Che il pino inflessibile agl,í au.gtri, ’ Che docii,;’e il salcio alla mano, Che il larice ai venni, e l’ontano Durevole all’acque ’creò; A quello domanda, or degnoso, Perchè piagge, Al tremito d’aure selvagge, Fa sorgere il tacito fior, [p. 66 modifica]Che spiega davanti a Lui solo La pompa dell, pinto suo velo; Che spande ai deserti del cielo Gli olezzi del calice, e muor. Nel 1883, Ruggero Bonghi pubblicò un’altra strofetta che aveva inteso ripetere a memoria da un amico del Manzoni, e si,riferiva alla Madonna. Il Bonghi, quantunque avesse rovistato le carte che appartengono alla sala manzoniana di Brera ed erano dalla Munificenza del senatore Bràmbilla destinate alla pubblicazione non aveva evidentemente trovato in esse nulla dell’inno. Se non che nel igoo, Giovanni Sforza, succeduto al Bonghi nella cura dell’edizione, e più attendo cercatore di lui, scoprì i fogli ove il Manzoni aveva tracciato il canto e ne annunziò la pubblicazione, la quale fu dapprincipio ritardata da una lite con la casa Rechiedei e vinta questa, non è avvenuta ancora, per non so quali ragioni. Quindi da quattordici strofe che ora i a Figli della Provvidenza» pubblicano, sóno per gran parte inedite. Esse derivano da un’altra fonte che non quella di Brera; o meglio da parecchi e altre fonti. Scrive il De Marchi: a Le quattordici strofe •dell’inno le ritrovo prima in una trascrizione di mano del Manzoni con alcune varianti marginali e due sole cancellature: poi in quattro trascrizioni fatte di mano di donna Teresa. Sulla copertina d’una di esse si legge: Copia scritta — Da Teresa Borri Stampa Man soni — Per il mio Stefano; e su quella d’un’altra: I versi seguenti saranno tenuti, da Peppino e Giovan nino miei fratelli, saranno tenuti da loro dico per loro sali, e con grande cura che non pili sieno presi nè sorpresi. — Teresa Manzoni — Borri Stampa. E sotto: Quesfi versi seguenti furono fatti da A. Manzoni a Lesa, nel 1847. Pur di mano di donna Teresa si ha una copia frammentaria in un fascicoletto che contiene oltre a quest’ultimo altri versi coll’intestazione: Versi inediti, di Aleisandro Manzoni; e finalmente strofe e frammenti di strofe dell’Ognissanti si leggono su di un foglio volante con questa:indicazione: Questi

versi furono da me Teresa scritti a Lesa, dietro dettato da (sic) Alessandro che!i diceva a mene, una.che non li rammentava interamente — Lesa ottobre 1857 a sera presente Stefano e Rossari. Pare impossibile che, con tante copie, quei versi, eccetto le quattro strofe mandate dal Manzoni alla Colet. rimanessero inediti!» A di- vero tre strofe oltre quelle citate erano venute in-luce, essendo stato permesso a me di trarle dal manoscritto di Brera. Una prima relativa ai Santi che erano stati peccatori; ma questa che pubblicai, non ricordo bene quando né dove, si attener va ad una variante che il Manzoni, secondo il testo del De Marchi, aveva finto per rifiutare; le due ultime descrivevano il serpente che sedusse Eva e fu calpestato da Maria, e queste apparvero nel Car melo, periodico dei PP. Carmelitani, nel fascicoli del maggio 19o5. Ad ogni modo la pubblicazione curata dal De Marchi è la prima che non solo contenga molta parte d’ignoto, ma dia un numero considerevole di strofe nel loro ordne originario senza nessun vuoi o in mezzo e costituenti una buona parte di ciò che l’inno avrebbe dovuto essere. Non già che quelle strofe, se il Manzoni fosse giunto in fondo sarebbero rimaste imniutate: troppo c’era da fare ancora perché al Manzoni potessero piacere interamente. E forse da un certo impaccio, da una certa disuguaglianza d’alcune di quelle strofe noti sapute superar subito, egli trasse quello scoraggiamento che gli dice interrompere l’inno e scrivere più tardi le famose parole: a Lo cominciai troppo tardi e lo lascia incompiuto appena m’accorsi che non veniva più la poesia a cercarmi, ma mi affannavo io b. correrle appresso». Tuttavia egli aveva avuto torto: chi era stato capace d’i dare tanto volo poetico ad un’argomentazione in forma di similitudine, come quella dei versi sopra riprodofti, poteva bensì essere obbligato a cercare la musa invece di starla ad aspettare, ma l’incontro prometteva d’avvenire ugualmente. In tutti gli altri inni sacri l’introduzione apoarisce non solo pensata per la prima, com’è naturale ma pensata talvolta anche quando non era necessaria, tant’è vero che poi l’ha messa da parte come nel Nome di Maria, il quale ora comincia ex abrup’o col: Tacita un giorno mentre avrebbe dovuto cominciare Con un richiamo alle glorie pagane da coniron’tarsi poi con quelle del Magnifcavit. Invece questa reliquia dell’inno ai Santi non ha introduzione. Evidentemente il Manzoni si riservava di scriverla dopo compiuto il corpo dell’inno, perché questa volta non se ne poteva: far di meno. Quel che ci rimane ncn può star da sè: troppo ha l’aspetto di un discorso avviato e sorpreso a mezze). Le due prime strofe pongono appunto la questione da lui indicata alla Colet; qual merito addusse certi Santi agli altari; a che cosa giovi il tesoro avaro di virtù solinghe. Su quell’addusse noto la citata, lettera d’i Rosmini parla d’una variante che Manzoni stesso aveva proposto nel verbo assunse. Scriveva il filosofo: a Fra l’addusse e l’assunse esitai, parendomi questo più efficace, quello più proprio, giacchè la virtu adduce agli altari, l’autorità della Chiesa assume». La questione è posta in termini precisi ma un po’ secchi e con qualche stento nella musica dei versi, cosa che mal s’tollera nel Manzoni il quale ci ha abituato a un ritmo influente, e talvolta ha piuttosto sacrificato la proprietà di una parola che la scorrevolezza d’un verso. La risposta a questa temeraria domanda del mondo è nelle quattro strofe trascritte, bellissime tutte di suono, d’immagini, di espressioni ardite e cl• eloquenza troncata a un punto, che è uno dei caratteri di ciò che il Carducci chiamava R colpo d’ala inali-zoniano». Dei Santi contemplati si passa d’un trai [p. 67 modifica]to, e senza che il legame apparisca abbastanza chiaro, ai Santi che dopo aver peccato risalirono il cammino della virtù toccandovi la perfezione. La wrsa all’abbisso, è indicata con una straordinaria efficacia: "cadesU In grembo a un’immnesa pietà. Poi come pei tanti solitari v’è una similitudine, anch’essa forse ha intenzione d’esser un argomento. Infatti egli nota che questi privilegiati non solo nel risorgere risorgono puri, ma raggiungono d’un tratto la sommità della virtù. Chi aveva scritto la conversione dell’Innominato aveva’ fatto seracare con mano questa rapidità di rivoluzione. Ma il mondo, come sorride’ delle virtù ’contemplative prende pretesto a scandalizzarsi di queste altre virtù o come troppo improvvisate, o troppo presto premiate. Don Abbondio daVanti a quella conversione aveva rappresentato in modo golfo ciò che il Mondo ripete in tono sapiente. Allora il poeta ne cerca an’cora nella natura il segreto, e pensa ’all’umore sniarrito,tra il fango sotterra, che se colto da una vena violenta, è trascinatò a mondarsi ira!’angustie -dei sassi finché erompe dall’alto dello scoglio. La Mi magine, come sempre quella del Manzoni è utilizzata acutamente, ma nelle parole in cui si esprime soffre di troppa minuzia e Studiata precisione. Bellissima Invece è la conclusione di questo passo. Non si metta in tacere per scrupolo di riverenza questo loro tristo passato; porta anch’esso l’impronta di Dio che ha p,A- cionato: che

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no’ rsi, ha _cola.ori’. Atte cl O" aeri rat Un timido ossequio’ non veti. Le piaghe che il fallo v’impresse: Un segno divino sovr’esse La man, che le chiuse, lasciò. Questa strofa io l’avevo pubblicata con una variante che mutava i due primi versi nei seguenti: In voi dell’antiche ferite San belle le margini istesse; ma la prima versione Oltrechè essere più comprensiva aveva per sè il suffragio del Rosmini, il quale nella succitata lettera scriveva al Manzoni: a Vela mente non rimangono più margini di quelle ferite, ma solo memorie». 11 rapido trapasso successivo sottintende che dopo la caduta dell’uomo non c’è premio che non sia un perdono. Difatti -egli si rivolge subito, quasi per contrasto, all’unica creatura oggetto non di perdono, ma di solo amore, a Maria. E si ha la strofa pubblicata dal 13onghi: Tu sola a Lui testi ritorno Ornata del primo suo dono, Te sola più su che il perdono L’Amor che può tutto locò. Essa sarebbe senza dubbio stata ritoccata ancora dal Manzoni, perchè vi si leggono vicine le dite

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parole: ritorno e ornata, che fanno brutta assonanza, e vi è in ’fondo il verbo troppo materiale locò, al quale sarebbe stato naturale sostituire levò. Dopo questi ritocchi la strofa sarebbe riuscita stupenda. Nelle due ’ultime il poeta insiste sopra l’immacolata concezione della Vergine, descrivendo plasticamente la sua vittoria sul serpente, vittoria segnata fin dal giorno in cui esso ebbe riportato il nefasto trionfo sopra il genero umano. Ma’ la prima delle due quartine è già indicata dal Manzoni stesso come da rifarsi tutta, e la seconda stess-a che è più corretta non raggiunge l’altezza poetica delle quartine precedenti. Qui termina la pubblicazione dell’inno qual’è fatta dal De Marchi-. Ed egli osserva: a E’ probabile che nel seguito dell’inno altre forme di santità avrebbe ricordato dopo quelle della contemplazione e del pentimento». Ora non solo ciò eri probabile, ma certo. Se il De Marchi avesse avuto modo di consultare- il manoscritto di Biera avrebbe visto clic, quantunque frammentaria, v’era una larga traccia del seguito. Sono costretto tuttavia a indicar ciò salo per una memoria lontana. Quando, nel istol, seppi dell’inno ritrovato da Giovanni Sforza, essendo io presso cari amici ia Lunigiana non seppi resistere più a lungo: presi, il treno e andai a Massa-Carrara nella vilietta doVe lo Sforza, direttore allora del locale archivio di Stato, mentre ora lo è in quello di Torino, compieva i suoi diligentissimi lavori storici.’ Non le conoscevo ancora di persona, ma la sua cortesia e la comune ri verenza al grande lombardo, che lo aveva tenuto bambino sulle ginocchia insieme alla propria nipotina per sentirli bisticciarsi in toscano, mi tolsero presto di, imbarazzo. Così. non erano corsi dieci minuti che io gli avevo chiesto di veder l’inno, td agii m’aveva posto sott’occhi quella primizia ignorata e desiderata. Che gioia d’esser chiamato con privilegio, a osservare un tesoro ancora nascosto 1‘ iVia è gioia che ha bisogno d’esser partecipata, tanto è espadsiva nel suo tumulto. Non ero infatti arrivato alla fine della lettura, che già avevo chiesto allo Sforza il permesso di non goderne per me. solo. Si poteva essere più indiscreti di così? E venimmo ad una transazione:, dire pubblicamente, quando l’occasione ne venisse, che cosa l’inno contiene, sì; citarne le parole, no. Il permesso di far conoscere i pochi versi che pubblicai l’ebbi molto più tardi. E difatti, come il -De-Marchi cita, detti allora un cenno sui giornali di ciò che il manoscritto conteneva. Riandando ora i ricordi e le impressioni di quel giorno ho in mente appunto che dopo i versi che si conosceranno dal libretto del De-[Marchi, incominciava la seconda parte dell’inno, ’purtroppo tutta ad abbozzi e frammenti. La traccia, se lessi bene allora, era la seguente: a Santi contemplativi, e Santi pegcatori, tutti dacchè Pietro li ha innalzati agli altari, non temono più la volubilità umana, che quando al [p. 68 modifica]za da sè i suoi idoli presto li spezza. Essi restano immortali anche nel culto umano. E come la santità è venerata costantemente e dappertutto — con che il Manzoni riprende il motivo del Nome di Ma7ia — così abbraccia un’immensa va-, rietà di vocazioni e di professioni. La classificazione de: Santi, che rispetto alle loro virtù comprendeva le due sole specie della contemplazione e della penitenza, doveva allargarsi nel finire dell’inno ai molti uffici che i Santi hanno avuto e alle molte condizioni in cui si sono trovati: Santi laici e Santi sacerdoti; Santi re e Santi sudditi; e via discorrendo. Ma questa enumerazione, per quanto ricca, doveva essere rapida. Ai monaci, per dirne una, quattro soli: versetti erano bastati.E ricordo che in questi la tonaca era guardata nel suo doppio aspetto, di difesa ai deboli petti e di armatura ai cuori magnanimi. La traccia finiva qui. Rimane ancora il dubbio, se terminato che avesse il Manzoni,quest’inno e correttolo, la pienezza della classificazione dei Santi avrebbe dato ad esso quell’unità poetica senza la quale le particolarità poetiche non sono ancora sufficienti. E forse di questo dubitò il Manzoni; forSe temette che la ispirazione dei vari punti non gli avesse investito tutto il soggetto. Così spiegherei quella stia diffidenza verso.là propria musa, che gli fece non solo lasciare a mezzo un tale inno, ma.non provarsi più a scrivere versi. Ad ogni modo per il valore artistico dei singoli fatti, e per la luce che quanto in essi scrisse, e non scrisse, getta sui procedimenti poetici suoi, la pubblicazione dei «Figli della Provv.» se anche fosse stata ristretta all’inno, avrebbe dato un ottimo contributo alla storia e alle lettere. Noi felicitandosi con chi ne ha avuto il pensiero e là cura, ci auguriamo che vengano messe in luce dal.manoscritiio di Brera anche le reliquie ulteriori. Filippo Crispolli,

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La prossima apertura del canale del Panama e gli interessi dell’Italia L’Italia non può disinteressarsi del grande avvenimento che schiuderà al traffico mondiale una delle principali arterie,. e che toglierà regioni vergini e feracissime del loro secolare isolamento, facilitando in esse • la penetrazione cofnmerciale de: paesi europei. Gli stati dell’America Meridionale sulla costa del Pacifico, specialmente il Perù ed il Cile, dove già un numero abbastanza•notevole di nostri connazionali ha saputo crearsi una buona posizione e tener alto il prestigio della Patria, si presterebbero ad una espansione commerciale del nostro paese e ad un conveniente’ sbocco della nostra sovrabbondante emigrazione. L’Italia negli ultimi tempi ha migliorato notevolmente la sua posizione commerciale in quei lontani paesi, benchè la mancanza di comunicazioni dirette le abbia impedito di uscire da un posto affatto secondario tra gli Stati che partecipano ai traffici delle Repubbliche Sud Americane della costa del Pacifico. Col grande riavvicinamento ai paesi bagnati dall’Atlantico, il Perù ed il Cile potranno per mezzo dell’affluenza dei capitali europei, dare un considerevole sviluppo alla loro produz:one agricola ed intensificare lo sfruttamento delle ricchissime industrie estrattive. L’Italia no npuò certo rimanere’ semplice spettatrice al risveglio economico di tutti questi.pacsi; edè suo dovere di prepararsi a concorrere degnamente colle altre nazioni euerpee onde poter partecipare ai benefici che dischiuderà, il nuovo campo di espansione economica. Attualmente il commercio più rilevante fatto dall’Italia con questi Stati é quello fatto col Cile. Nel 1911 la nostra esportazione verso il Cile fu di Lire 21.772.842, mentre era stata di sole Lire 7.202.477 nel 1908; e la nostra importazione da quel paese fu di L; 16.476.499 nello stesso anno 1911, mentre era stata di L. 14.108.464 nel 1908. Subito dopo viene il Perii: la nostra esportazione in quel paese fu nel 1911 di L. 7.480.692 anch’essa in continuo e progressivo aumento, mentre la nostra importazione fu in quello stesso anno di Lire 1.304.720. L’Ital:a però occupa ancora un posto del tutto secondario tra le nazioni espor’2atrici, venendo dopo l’Inghilterra, gli Stati Uniti, la Germania, la Francia ed il Belgio. Noi esportiamo per la massima parte tessuti e manufatti di cotone’ ed anche di lana e di seta, ed importiamo materie greggie specialmente nitrati dal Cile e gomma dal Perù. Per quanto concerne in particolare il commercio col Perù, gli affari potrebbero essere molto p.ù numerosi, se i nostri esportatori conoscessero meglio [p. 69 modifica]quei mercati ed adattassero le merci alle esigenze dei consumatori, poiché gli articoli voluti dalla clientela peruviana sono molto diversi da quelli che mandiamo nell’Argentina e nel Brasile, dove i nostri emigrati si servono degli `stessi prodotti usati in Italia. Nelle altre- Repubbliche Sud-Americane bagnate dal Pacifico, il. commercio dell’Italia è anche più esiguo. Nell’Equatore le esportazioni italiane •non • raggiunsero nel 1911 che L. 2.898.143, ed in proporzioni anche più, modeste furono nella Colombia, cioè di L. 2.579.503. Più notevole fu invece il nostro commercio col Messico, dove la nostra esportazione raggiunse nel 1911 L. 4.572.485, mentre l’importazione italiana da quel paese fu nello stesso anno di L..3.975.954N’elle Repubbliche dell’America Centrale la nostra esportazione complessiva fu nel 1911 di Lire 0.158.147. Benchè tali cifre siano abbastanza modeste, pure esse rappresentano un progresso notevolissimo - compiuto in pochi anni; e. non vi ha dubbio che con la prossima apertura del Canale di ranama troverà in quei paesi,un proficuo campo’ ai espansione economica, se saprà convenientemente preparai si ad una sufficiente organizzazione commerciale ed un buon sistema di ’comunicazione dirette. _vla un campo ancne più importante al quale l’Italia deve rivolgere tutta la sua attenzione, si è quello della possibilità di creare negli Stati dell America dei Sud bagnati dal Pacifico, e specialmente nei Perù, un nuovo sbocco all’eccessO della nostra popolazione assolutamente insufficiente aggirantesi intorno ad una media da 6 a 15 abitanti per miglio quadrato, hanno un bisogno indispensaohe ai ripoPolare-le loro regioni per mettersi sulla via del progresso e dell’evoluzione economica. Ed è a questo intenvo che sono rivolti gli sforzi di quei goVerni per ottenere il maggior contingente possibile eki emigrazione bianca, la quale sotanto pub avere una influenza rigeneratrice nella vita economica dei loro paesi. Ura si può ’facilmente prevedere che l’apertura del Canale di Panama, che abbrevierà di tanto il tragitto per i paesi dell’America Latina bagnati dal Pacifico, diminuendo notevolmente la lontananza della madre patria, creerà una nuova corrente migra• tona verso quelle spopolate regioni. Ed anche a questo movimento non potrà certo mostrarsi indifferente l’Italia, la cui emigrazione potrebbe forse in alcuni di quel paesi trovare un campo Particolarmente favorevole alla sua espansione, e Compiere un’opera di colonizzazione altrettanto pro7 -ctia di quella compiuta in Argentina, ottenendo probabilmente ’delle condizioni di trattamento migliori ’ti quelle ricevute in altri Stati dell’America del Sud. Fra tutti quegli Stati, quello che si presterebbe maggiormente a ricevere un nucleo poderoso di emigrazione italiana è senza dubbio il Perù... Nessun territorio meglio di questo si trova adatto àll’acclimatazione di emigranti europei; mentre le risorse na 09

turali e la fertilità del suolo renderebbero possibile una cultura assai rimuneratrice. Finora l’immigrazione bianca al Perù, e negli altri paesi occidentali dell’America del Sud’, non si è sviluppata che in maniera del tutto esigua, benchè già da tempo alcuni provvedimenti legislativi abbiano cercato di facilitarla. Per quanto riguarda l’Italia, nel 1912, di fronte ad un esodo di 400 mila emigranti per le Americhe, solo 1530 di essi si dirigevano complessivamente ver: so. il Cile, il Perù e la Bolivia. Con tutto ciò, tra gli europei che si trovano immigrati nel Perù, gli italiani sono ancora quelli che si trovano in maggior numero, e molti fra di essi si sono conquistata una brillante posizione nel commercio e nelle industrie. Ed:I Perù stima grandemente l’opera della nostra emigrazione e la preferisce, poichè gli italiani vengono indicati come lavoratori, pacifici, sobri •ed economi. Oltre che nel Cile e nel Perù, si prevede una intensificazione di immigrazione bianca anche nella California. Noi abbiamo su quella costa varie’ colonie-, deve l’immigrazione ’italiana ha dato generalmente buona prova, e dove forse i ng tri emigranti potranno ottenere condizioni di vita op iù ’profittevoli che in altre regioni degi Stati Uniti. Appena attivato il transito, attraverso il Canale, San Francisco sarà probabilmente la mèta di un gran numero di nostri connazionali, ed anche la costa occidentale della Repubblica Nor Americana vedrà in breve accrescere la densità della propria popolazione. Si disse come altre popolazioni stiano già da parecchio tempo preparandosi raccoltamente per trarre al momento opportuno conveniente profitto della apertura del Canale di Panama. Si interesserà l’Italia a tempo debito per assicurarsi dal grande avveni. i che potrebbe sperare? • mento quei benefic Uno dei fattori principali’per favorire l’espansione economica italiana nelle regioni dell’America del Sud bagnata dal Pacifico sarebbe senza dubbio la attuazione di linee dirette e regolari di navigazione. Oggidì per tutto ciò che concerne le relazioni con quei paesi noi dobbiamo dipendere ancora completamente dalle marine straniere, o sottostare a trasbordi che rincarano notevolmente i noli, rendendo più ’incomodo il tragitto. Anche la progettata linea fra l’Itàlia ed il Cile non fu più attuata dopo che venne a mancate il cOntributo da parte del governo Cileno. Funziona invece come linea regolare sovvenzionata, una linea Genova-America Centrale fino a Colon; ma è da notarsi che se essa corrisponde alle esigenze del traffico, non soddisfa però quelle de: viaggiatori. In ogni modo sarebbe opportuno che questa linea, cenvenientemente migliorata, venisse prolungata fino ai porti del Perù e del Cile, non appena sarà permesso il transito attraverso il Canale. Tale prolungamenko assunse già quasi carattere di uria promessa da parte deI nostro Governo: il 9 giugno ultimo scorso, il sottosegretario per la ma-’ rina, on. Bergamasco, rispondendo ad un’interpe] [p. 70 modifica]kanza dell’on. Miliani, circa i provvedimenti da adottare in seguito alla grande ripercussione che l’apertura del Canale di Panama avrà sul traffico in generale e su quello italiano in particolare, rendendosi conto dell’importanza e dell’urgenza della questione, osservava che la linea sovvenzionata Genova Colon avrebbe potuto essere convenientemente prolungata fino al Peru ed al Cile. Sarebbe anche consigliabile il prendere in esame una linea di circumnavigazione intorno all’America del Sud, via Panama-Magellano, come pare che sia allo studio presso Compagnie straniere: tale linea farebbe meglio conoscere a tutti quei paesi i nostri prodotti manifatturati ed alimentari, e darebbe forse un esercizio rimunerativo di cabotaggio. Ma un altro fattore, anch’esso importantissimo, della nostra espansione economica nei paesi dell’America Latina sulla costa del Pacifico, è quello di studiare convenientemente quei mercati e di organizzare con saggezza il nostro movimento espansionista. Bisogna imitare quello ’che da tempo hanno fatto e stanno facendo ’tuttora i tecieschi con grande successo: inviare cioè sulle principali piazze ageoti colti e lìdati alfinchè studino i bisogni ed i gusti dei consumakori, adattando quindi i prodotti alle esigenze delle clientele. In tal modo i’opera dell’Italia non sarà vana, ed il nostro paese potrà ripetere in quelle lontane reg.oni la pagina mirabile scr.tta nella colonizzazione la Repubblica Argentina, e dimostrare ancora Una volta l’inesauribile, forza del genio e della vi alità latina. GIUSEPPE DALL’OGLIO.