Il buon cuore - Anno XIII, n. 04 - 24 gennaio 1914/Educazione ed Istruzione

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Il buon cuore - Anno XIII, n. 04 - 24 gennaio 1914 Religione

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I Cristiani e l’incendio di Roma


Continuazione e fine del numero 3.


Un’altra antica allusione a Nerone incendiario si trova nella tragedia Ottavia di autore incerto, composta verisimilmente poco dopo la morte di Nerone. Ivi, essendo l’azione dell’anno 62, ossia due anni avanti l’incendio, si introduce Nerone stesso, sdegnato contro il Popolo tumultuante a favore di Ottavia, e minacciarlo dell’ira sua e gli si fa dire:

«Mox tecta flammis concidant urbis meis;

«Ignes ruinae noxium populum premant.

«Turpisque egestas, saeva cum luctu fames» (V, C. 31).

Per conseguenza le due più antiche testimonianze, che sono dell’età immediatamente successiva all’impero neroniano, si accordano nell’attribuire l’incendio al pazzo imperatore. Viene poi Tacito, il quale non esclude la voce pubblica accusante Nerone, quale autore dell’incendio, ma ricercando la ragione dei fatti, volle anche farci sapere, quale fosse l’intenziofie di Nerone nel far coincidere il supplizio dei cristiani con la ricerca degli autori dell’incendio. Il Negri su questo proposito rileva giustamente. «che Tacito al tempo della catastrofe era un fanciullo di otto o dieci anni e, quindi, doveva conoscere o per memoria personale o per le notizie dei contemporanei tutte le circostanze e le cause vere degli avvenimenti. Svetonio, più giovane di Tacito di quindici o venti anni, riproduce ciò che si diceva al tempo suo, senza indagare l’origine dell’opinione corrente. Appar

chiaro che Nerone non riuscì punto nel suo scopo, di liberarsi dal sospetto di essere l’autore dell’incendio. I cittadini di Roma non si lasciarono ingannare dalla sua arte scellerata. Ma egli riuscì, invece, a persuadere la crudeltà romana dei pericoli che la setta cristiana, questa nuova e malefica superstizione, portava con sè.; riusci a far credere, approfittando, certo, delle confessioni stesse dei cristiani, che essa odiava il genere umano. In tal guisa, questa stolta leggenda, fomentata dalla crudele paura del volgo, passava ai posteri come un segno indelebile del,cristianesimo nascente». (Cf. Ultimi saggi, pag. 76).

Anche il silenzio degli apologisti cristiani non sembra assai convincente per dedurre che Nerone non abbia accusato i cristiani dell’incendio di Roma, di fronte all’affermazione così chiara di Tacito. E’ verissimo che Tertulliano scrive nel suo Apologetico: «Quid tamen unquam denotatis de tam conspiratis de tam animatis ad mortem usque pro iniuria repensati, quando vel una nox pauculis faculis largiter ultionis posset operari, si malum malo dispungi apud nos liceret? Sed absit ut aut igtli humano vindicetur" divina secta, out doleat pati in quo probatur» (XXXVII).

Questo testo, proverebbe invece, che forse Tertulliano non ignorava la terribile accusa neroniana e che appunto per questo abbia alluso alla possibilità di vendetta per incendio, se si fosse trattato di una società non istituita da Dio. Perchè ricorrere a quell’unico esempio tipico del fuoco? Insomma pare che la terribile accusa lanciata da Nerone contro i cristiani, per scolparsi innanzi alla pubblica opinione, sia sempre solidamente basata e tale da non potersi mettere in dubbio, almeno fitto al presente.

Il tentativo di far passare i cristiani quali autori dell’incendio di Roma era abortito e per legalizzare la loro condanna si ricorse ad altre accuse; furono infatti condannati quali odiatori del genere umano «odio humani generis convicti», e «per flagitia invisos». Questa circostanza aggravava la condizione sociale dei cristiani. Se fossero stati condannati semplicemente quali autori dell’incendio, non si sarebbe trattato che di un fatto isolato, punibile però solo in coloro che.l’avevano commesso e favoreggiato; ma l’azione penale qui si sarebbe arrestata; invece la pena inflitta ai cristiani quale [p. 26 modifica]genus hominum suDerstitionis novae et maleficae, colpiva tutto il corpo sociale cristiano non di Roma soltanfO, ma di tutti i luoghi, ove esso si trovasse e lo colpiva illiMitatamente senza alcun termine di tempo; si veniva cioè a creare il crimen specificum, l’essere cioè cristiano. Perciò avvenuto l’incendio, per essere coerenti, si credette necessario di emanare le leggi contro i cristiani, condannandoli quale corpo sociale, per i delitti che loro si attribuivano. Da alcuni si è creduto che il primo persecutore legale del cristianesimo sia stato Traiano. Ora niente di più falso. Infatti Tertulliano ci fa sapere, che Traiano col suo rescritto a Plinio il giovane temperò le leggi contro cristiani, proibendo la loro ricerca; «leges istae... quas Traianus ex parte frustratus est, vetando inquiri christianos» (Apol. V.). Inoltre nella lettera di Plinio il giovane a Traiano si trova la frase seguente: «cognitionibus de christianis interfui nunquam». Ciò significherebbe che prima di lui si erano già intentati dei processi ai cristiani; ora tali processi fanno presupporre violazioni di leggi preesistenti. Finalmente, come già si è avuto occasione di notare, Traiano, rispondendo con un rescritto, ammetteva la preesistenza di disposizioni legislative nel caso di cui si trattava; i rescritti infatti generalmente si davano per l’esecuzione e l’interpretazione di leggi già emanate. Dobbiamo dunque ritenere, che il cristianesimo, abbia avuto la sua condanna legale prima di Traiano, anzi che siffatta condanna per la prima volta fu data da Nerone. Tertulliano lo afferma esplicitamente e non una volta soltanto, ma più volte. Il severo Africano scrive nel suo opuscolo Ad nationes: «Principe Augusto nomen hoc (christianum) ortum est, Tiberio disciplina eius inluxit, sub Nerone damnatio invaluit, ut iam hinc de persona persecutoris ponderetis: si pius ille princeps, impii christiani.... si iustus, si castus, iniusti et incesti Christiani, si non hostis publicus, nos publici hostes; quales simus, damnator ipse demonstra vit, utique aemula sibi puniens. Et tamen permansit erasis omnibus hoc solum institutum Neronianum, iustum denique ut dissimile sui auctors» (I, 7). Nell’Apologetico si esprime ancora pii!, chiaramente: «Ut de origine aliquid retractemus huiusmodi legum vetus erat decretum, ne qui deus ab imperatore consecraretur, nisi a Senatu probatus (t). Nisi homini Deus placuerit, Deus non erit. Homo iam Deo propitius esse debebit. Tiberius ergo, cuius tempore nomen Christianum in saeculum introfvit, annuntiatum sibi ex Siria Palaestina quod illic veritatem illius divinatis revelaverat detulit ad Senatum cum praerogativa suffragii sui. Senatus, quia non ipse probaverat, respuit; Caesar in sententia mansit, comminatus periculum accusatoribus Christianorum. Consulite commentarios vestros; illic reperietis primum Neronem in hanc sectam cum maxime Romae orientem Caesariano gladio ferocisse. Sed tali dedicatore damnationis nostrae etiam gloriamur. Qui enim scit illum, intelligere potest, non nisi grande aliquod bonum a Nerone damnaturn...

«Quales ergo leges istae, quas adversus non soli exequuntur impii, iniusti, turpes, truces, vani, dementes? Quas Traianus ex parte frustratus est ve tando inquiri qhristianos, quas nullus Adrianus, quanquam curiositatum omnium evplorator, nullus Vespasianus, quanquam Judaeorum debellator, nullus Vero impressit?» (cap. V). Al capo XXI parimenti si legge: «Discipuli vero diffusi per orbem, ex praecepto magistri Dei paruerunt, qui et ipsi a Iudaeis persequentibus multa perpessi, utique pro fiducia veritatis libenter, Romae postremo per Neronis saevitiam sanguinem Christianum seminaerunt». Ugualmente nel capo XV dello Scorpiace scrive: «Et si fidem commentarii voluerit haereticus, instrumenta imperii loquentur, ut lapides Jerusalem. Vitas Caesarum legimus: orientem fidem Momae primus Nero cruentavit. Tunc Petrus ab altero cingitur, cum cruci adstringitur. Tunc Paulus civitatis Romanae conseguitur nativitatem cum illic martirii renascitur generositate». Alle affermazioni di Tertulliano corrispondono pure quelle di Svetonio e Tacito, nel designare Nerone quale primo persecutore legale del cristianesimo. Svetonio nella sua vita dei Cesari, fra le diverse disposizioni emanate da Nerone, cita pure quella che si riferiva ai cristiani. Scrive infatti: «Multa sub eo (Nerone) et animadversa severe et coercita nec minus instituta: adhi bitus sumptibus modus; publicae coenae ad sportulas redactae; interictum ne qui in popinis cocti praeter legumina aut holera veniret, cum antea nullum non obsonii genus proponeretur; afflicti suppliciis christiani, genus hominum superstitionis navae et maleficae; vetiti quadrigariorum lusus, quibus inveterata licentia passim vagantibus fallere ac furari per iocum ius erat; pantomimorum factiones cum ipsis simul relegatae» (Nero 16). Secondo Svetonio adunque i cristiani furono oggetto di speciali provvedimenti legislativi da parte di Nerone. Tacito parla dei cristiani a proposito dell’incendio di Roma. Ma l’eminente storico romano è il primo ad escludere che siano stati condannati quali autori dell’incendio; scrive infatti: «Igitur primum correpti qui fatebantur, deinde indicio eorum multitudo ingens, haud perinde in crimine incendii, quam odio humani generis convicti sunt». Ora, se il tentativo di Nerone di far punire i cristiani, quali autori dell’incendio, rimase frustrato, e li fece invece condannare in odium humani generis, bisogna supporre che sia ricorso a qualche provvedimento legislativo, per regolare tale procedura; le parole di Tacito «odio humani generis convicti sunt» lo indicano chiaramente; infatti la pena sarebbe stata inflitta in seguito a tale convinzione, dell’odio cioè al genere umano. Su questo punto merita di essere citato Sulpizio Severo. Questi sebbene abbia scritto la sua Chronicon dopo il 403, tuttavia la sua affermazione è importantissima. Egli era un giurista di primo ordine è nello scrivere la sua Chronicon, quanto alla parte giuridica dovette essersi necessariamente ispirato al trattato d’Ulpiano

4 [p. 27 modifica]«De Officio proconsulis». Anche Lattanzio ricorda questo trattato e nel VII libro di esso erano raccolti i «rescripta principum nefaria ut doceret quibus poenis affici oporteret eos qui sé cultores Dei confliterentur» (Divinae Institutiones V, II). Il trattato di Ulpiano noi non lo conosciamo che in parte, essendo stato trasfuso nel Digesto di Giustiniano, e citato dall’autore della «Collatio mosaicarum et romanarum legum». Sulpizio SeVero però deve averlo letto e conosciuto nella sua integrità. E’ quindi naturale che fra i rescripta nefaria abbia avuto sott’occhio anche quello di Nerone, dato dopo l’incendio di Roma e prima della morte di Pietro e Paolo. Sulpizio Severo cosa scrive nella sua Chronicon: «Interea abundante iam Christianorum multitudine accidit ut Roma incendio conflagraret, Nerone apud Antium constituto; sed opinio omnium invidiam invendii in principem retorquebat; credebaturque imperator gloriam innovandae urbisquae siisse; neque ulla re Nero efficiebut, quin ab eo iussum incendium putaretur. Igitur vertit invidiam in Christianos, actaeque in innoxios crudelissimae quaestiones, quin et novae mortes excogitatae, ut ferarum tergis contecti,laniatu canum interirent; multi crucibus affixi, aut fiamma usti, plerique in id reservati, ut cum defecisset dies, in usum nocturni luminis urerentur. Hoc initio in Christianos saeviri coeptum. Post etiam datis legibus religio vetabatur, palamque edictis propositis, Christianum esse non licebat. Tunc Paulus ac Petrus capitis damnati: quorum uni cervix gladio desecta, Petrus in crucem sublatus est» (II, 29). Come •si vede, Sulpizio Severo distingue nettamente il principio della persecuzione, occasionata dall’incendio di Roma, dalla condanna legale fulminata contro i cristiani per mezzo di leggi e di editti, pei quali divenne un crimen l’essere cristiano. La concordanza con Tertulliano non può essere più evidente; Sulpizio Severo ricorda precisamente la legge emanata primieramente da Nerone, rinnovata da Domiziano, mitigata da Traiano, Adriano, Antoniono, ecc. Dal passo di Sulpizio Severo si deve inoltre rilevare, che il martirio dei SS. Apostoli Pietro e Paolo non avvenne durante l’incendio di Roma e quindi nel 64, bensì dopo che furono emanate da Nerone le leggi per le quali «christianum esse non licebat». Questa affermazione è importantissima, perchè conferma la costante tradizione romana, che assegna al 67 l’anno del martirio dei due grandi apostoli. Da parecchi si è creduto che la persecuzione neroniana si sia limitata alla semplice città di Roma. Parecchie testimonianze provano invece che si estese anche nelle provincie. Orosio in proposito ci fa sapere che Nerone «Primus christlanos suppliciis et mortibus affecit, ac per omnes provincias pari persecutione excruciari imperavit». (Hist. Eccì. VII, 7). Se infatti Nerone promulgò le leggi colle quali si vietava l’essere cristiano, è naturale che l’applicazione delle medesime non potè essere ristretta alla semplice città di Roma, ma dovette necessariamente estendersi a tutti quei luoghi, ove potevano esservi dei cristiani.