Il buon cuore - Anno XII, n. 50 - 13 dicembre 1913/Educazione ed Istruzione

Educazione ed Istruzione

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Il buon cuore - Anno XII, n. 50 - 13 dicembre 1913 Religione

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LA VOCE DELLE COSE


I Comignoli


Continuazione del numero 49.



Una voce roca, che non avevo ancora sentito, parlò. Era un comignoletto rozzo e screpolato, fatto di tanti comignoli piccoli e grandi, addossati l’uno all’altro, accatastati, ma saldi e sicuri. Era il comignolo del- popolo piantato come una torre di vedetta sui tetti di un casamento enorme, fantastico, nella notte stellata.

— L’unione fa la forza! Io non temo affatto il ciclone e poco il terremoto. Son saldo, Siamo in dieci: dieci gole, venti stipiti, cento muretti forti ed invincibili. Non sono così saldo per opera di vanitosi capimastri o di manovaletti mestatori di torbida calcina, ma per la sola volontà, per la sola opera dell’architetto che così. mi pensò e così mi fece. Io sono forte e lui ringrazio tutte le volte che questa mia forza trionfa. Ma ognuno ha la sua debolezza. Io ho quella di avere una grande sete e prego sempre i venti Che mi portino un po’ di fumo altrui, da levante o da ponente non importa, purché io possa calmare queste mie gole sempre insoddisfatte.

— Io sono debole invece — disse il comignoletto rosso — ma satollo. La mia padrona, che è una cantante, mi dà fumo dolce tutto il giorno, ma basterebbe il fischio di un vento un po’ sgarbato per farmi rovinare. Sono così carino che gran peccato sarebbe la mia scomparsa dai tetti della città.

— Sei presuntuoso, anche — osservò il filosofo. — Ma ciò non ostante il più debole sono io, che son solo, abbandonato come te alla mercè dei venti e dei cicloni e il cibo che il mio padrone mi manda è senza sale.

— Ed io — interloquì il mio comignolo dopo di essersi raschiata alquanto la gola — con questo abbaino sotto i piedi mi sento fortissimo e impavido affronto le tempeste, ma il fumo dei sogni è anche più insipido del fumo di polenta. Perciò sono costretto a nutrirmi di speranza.

— Chi vive di speranza muore di doglianza — disse il popolo. — Io lavoro sempre, ma non spero più se non nell’architetto che mi fece. Un manovale che venne un giorno quassù per accomodarmi quattro pietre sconnesse dalla pioggia, mi disse ogni sorta di male dell’architetto e dei suoi studii, e dell’opera sua, e mi volle dare ad intendere che senza l’opera del manovale io sarei presto rovinato. Un poco mi convinsi e pensai che davvero aveva mal fatto l’architetto costruendomi in questa maniera, ma poi che il manovale se ne andò mi accorsi che l’opera sua s’era ridotta a dare un poco di calcina alla superficie, sulle scrostature esterne, ma di dentro le mie pietre erano sempre più sconnesse e sempre più lo saranno. Perciò dico che quel manovale mentiva in malafede, ingannando deliberatamente me e quelli che mi guardano e temo che se non interverrà ancora l’architetto questa mia forza pugnace sarà presto un ricordo.

La campana del Duomo battè dodici colpi lenti [p. 394 modifica]e solenni e come ad un segnale convenuto, un bisbiglio più vasto e più confuso, di voci, varie, or tristi, or dolci, si levò dal cupo mare dei tetti e mi cadde nell’anima come scherno contro le mie speranze, bieca realtà contro le mie utopistiche Illusioni. La vita è dolore! — La vita è miseria! — La vita è capriccio! — La vita è menzogna! — La vita è veleno! — La vita è nulla! — Ed ogni cosa si risolve in fumo! Fumo! Fumo! Fumo! Sulla via ferrata passò il vapore sbuffando. Dalla ciminiera della locomotiva partì un grido baldanzoso e rapido come il vento, un fischio che ta-4 gliò meravigliosamente lo spazio; e le stelle tremolanti lo accolsero nella eco dei cieli. La vita è una corsa, una folle, una ardita corsa verso l’infinito!! Scosso, vivificato, fui per gridare anche io qualche pazzia e l’avrei fatto certo se il comignolo pensatore non avesse mormorato: «Ma a questo modo, arriverai al tuo destino stanco, sudato, ansimante e... in ritardo» e se — perché mai? — non mi fosse accaduto di osservare che, spento ogni rumore ad ogni grido, rimanevano nell’aria, sole traccie fugaci di quel fragoroso passagio, alcuni cerchi azzurri di fumo evanescente. E il ritornello rassegnato ripeteva: Fumo! Fumo! Fumo! La campana del Duomo risuonò lenta, scandendo i dodici colpi nella grande pace della notte. Nessuna voce dalle gole dei comignoli s’alzò a contraddire. Ogni miseria della vita si dissolve all’inno solenne delle speranze immortali. Gherardo Gherardi.

Una gloria gloria milanese

Chiudo or ora sulla 501 pagina, l’ultima dl magnifico lussuoso volume dal titolo: a Un Apostolo di due Continenti» — Vita di a Mons. Eugenio Biffi» — un libro che è destinato ad incontrare più incondizionato favore. Ma lo chiudo, a lettura finita in qualche cosa come chi dicesse una allucinazitMe; per cui sempre nel dubbio di aver fatto un sogno delizioso oltre ogni dire e come trasognato, vo’ stropicciandomi gli occhi e chiedendo a me stesso se sia proprio realtà tutto il mirabile poema svolto sotto i miei occhi.

Poichè la vita di questo nostro concittadino, narrata in tutta la semplicità che è preferita dalle cose grandi, non è altro che un intreccio delle più svariate peripezie, di casi senza numero occorsi all’uomo di Dio nelle lunghe sue peregrinazioni missionarie durate quarant’anni, sbalestrato da Milano a Cartagena, poi a Birmania, e di nuovo a Cartagena, e da questi due — diciamo così — suoi quartieri generali, in tutte le più capricciose direzioni del vastissimo campo d’azione assegnatogli tassativamente dalla Santa Sede. E qual campo! Da parte del clima, enormemente pericoloso alla costituzione fisica degli europei; dal lato morale, se la Birmania aveva tutte le difficoltà di un paese (idolatra, la diocesi di Cartagena offriva tutti gli orrori di una antica chiesa in sfacelo. Da una parte il lavoro improbo dell’evangelizzazione di un paese vergine, semibarbaro; dall’altra — un morto da risuscitare. — E il nostro concittadino aveva con sè un solo compagno, che presto soccombeva alle fatiche e dalla febbre gialla! I suoi gemiti sono strazianti alla vista di una messe così abbondante e con mancanza ’assoluta di operai, e lancia i più disperati appelli di soccorso in tutte le direzioni, mentre egli, per nulla demoralizzato, anzi prendendo il suo,coraggio a due mani, si faceva in cento, accorreva dove maggiore era il bisogno a costo di privazioni, sacrifici, audacie che parrebbero immaginose avventure di un volume del Verne, se non fossero storicamente garantite. E’ tale l’affannosa smania di volare a punti lontanisimi della sua residenza, traverso paludi miasmatiche, foreste infestate da animali feroci: e serpi velenosissime, per terre seminate cl. insidie di ogni genere anche da parte degli uomini, che il respiro si arresta in una sospensione di attesa, come si scioglieranno cento e cento situazioni da cui tutto è a temersi. Non solo: è tale quell’affannosa smania, da costringerci a domandare non forse ci sia morbosità od isterismo, creati dalla tremenda solitudine cui deve condannarsi il Missionario. Ma no, la costituzione fisica di Monsi gnor Biffi non ammetteva nessuna forma di nevrastenia; era sana, robusta, salda così da sfidare ogni attacco di nervosismo;- più sano e robusto e saldo ancora era lo spirito suo,;in perfetto equilibrio, ma sopratutto sorretto da una virtù maschia e senza paura e senza macchia, da un’unione con Dio eccezionale anche nei migliori. Il suo era zelo divorante sotto l’azione di tal fiamma estremamente pura e attiva e penetrante compì il lavoro di più persone riunite assieme ed offrì lo spettacolo rarissimo di così colossale lavoro quale ce lo descrive il suo biografo. Si vede che la santa irrequietezza portata fino al parossismo, che l’argento vivo, come si esprime il volgo, per ciò che è lavoro di sacro ministero, non è in diocesi nostra di importazione recente; è d’antica data. Strani questi uomini apostolici! piccoli e deboli, destituiti di mezzi materiali, di danaro; di compagni di lavoro, contrariati, ridotti a vivere in squal [p. 395 modifica]lida miseria, e tuttavia ardiscono formulare dei piami che la sapienza umana chiamarebbe pazzi. Benchè il nemico sia centinaia di leghe lontano, osano intimargli guerra mortale; traversano immense contrade, salcano mari, colla rapidità del lampo si portano sul teatro della agognata battaglia, vogliosi di battersi corpo a corpo, disperatamente con esso, e decisi di vincere o morire; anzi, non di morire ma di vincere. Sono uomini di lotte ciclopiche col male, sono espugnatori degli immensi regni di Satana, i nemici dichiarati del vizio e dell’errore nelle loro forme più deplorevoli e micidiali cui danno una caccia spietata, cui non lasciano tregua o quartiere e non depongono la spada che per raccogliere la corona della vittoria. Così fu di Mons. Biffi. Fondata la Misione di Birmania che lasciava fiorente in altre mani, risuscitato il morto, ossia, rifuso nuovo sangue nelle vene della diocesi di Cartagena e vedutala ornai ricondotta alla primitiva religiosità e purezza di costume, tutta un fremito di rigenerazione spirituale, tutta una freschezza di slancio e di attività sulla via del bene, con un Seminario indigeno che già dava i primi frutti preziosi, con diverse Famiglie Religiose per la miglior assitenza possibile nelle cose dell’anima, pote</a ben congedarsi dalla terra. La sua giornata era stata meravigliosamente impiegata e riempita. Una incredibile irradiazione di bene si era sprigio’ nata da lui per espandersi in un immenso raggio tutto all’intorno, e ciò con un uso sapiente della sua persona, delle sue energie, delle sue risorse, del suo felice carattere, del suo ingegno ricco di espedienti, della sua dolcezza, del suo tatto squisito, della sua prudenza, del suo danaro e di quello degli altri che con dolce violenza forzava a mettersi a contributo per le migliori finalità. Un senso di penosa invidia ci prende quando, sul suo letto di morte, senza dolori, senza rimpianti, tutto abbandono fra le braccia del buon Dio che aveva servito con tanta lealtà, perciò calmo e sereno, si addormentava nel placido sonno della morte dei giusti, perchè moriva da valoroso campione di Dio, oppresso dal cumulo schiacciante di bene operato, e sotto il peso della riconoscenza e dell’ammirazione di tutti, non esclusi i divorziati dalla Chiesa cattolica e coloro fra i cattolici che furono sordi ai suoi paterni richiami. Fu pertanto indovinatissimo pensiero quello del suo fedele e benamato segretario, da tempo chiamato a raccogliere l’eredità di tanto Vescovo per sedere sulla cattedra di Cartagena, di erigere a Mons. Biffi questo stupendo monumento di pietà. Fu bene che la Casa delle Missioni Estere di Milano di cui Monsignor Biffi è stato dei primi alunni, di propria iniziativa facesse pubblicare la mirabile vita di tanto Apostolo. Tutti converranno che quest’omaggio era dovuto a colui che tanto onorò quel sacro Asilo e Seminario di eroi; tutti la loderanno d’aver fatto le cose signorilmente, da grande. Perché il volume di

cui parliamo, uscito dalle officine Alfieri e Lacroix di Milano, è semplicemente un lavoro smagliante per tecnica e arte tipografica, per la profusione di vignette e numerose tavole fuori testo. Ah! vada adunque questo messaggero di glorie le più pure a narrare a tutti così sublime poema; non potrà a meno di richiamare sfavillanti sorrisi sul volto di quanti, depressi d’animo per la nequizia dei tempi che corrono, e sfiduciati della volgarità dei loro simili, credettero chiusa per sempre l’era dei prodigi e degli uomini grandi. Quando improvvisamente ci balza innanzi ancora un eroe come Monsignor Biffi, che riconosciamo nostro contemporaneo, nostro concittadino, possiamo ben riconciliarci ancora coi tempi nostri e coll’umanità, e non disperare del presente e guardare con fiducia il luminoso avvenire. Can. L. MEREGALLI.


Cronaca d’emigrazione

Natalità ed emigrazione î ha mortalità dei bambini italiani - Cifre impressionanti Gli operai della Vurka

Nuovo Segretariato.

BASILEA. Recentemente, ìn uno studio pubblicato sulla Riforma sociale di Torino, il dottor Achille Necco si è occupato con larga copia di dati e di argomenti del problema dell’emigrazione e della natalità nel Piemonte, venendo alla conclusione che la diminuita natalità piemontese non può attribuirsi nè alla scarsezza dei matrimoni nè all’età degli sposi e neppure all’accentramento della popolazione in grandi città. Ma trova con molta probabilità i suoi coefficienti principali nella diffusione della piccola proprietà e nei frequenti contatti con la Francia. Per quanto riguarda la vicina repubblica la conclusione può essere giusta; ci risulta infatti che una larga propaganda delle dottrine neo-malthusiane è fatta anche tra i nostri numerosissimi emigranti nella Meurthe-et-Moselle e nei dipartimenti del sud confinanti coll’Italia. Quanto agli altri paesi di larga e regolare immigrazione italiana, la Svizzera, la Germania, l’Austria-Ungheria, ’ ecc., la prima constatazione che si fa e che fanno specialmente gli stranieri visitando le colonie urbane o le agglomerazioni die operai intorno ai grandi lavori, è quella del grande, quasi impressionante numero dei bambini che riempiono le strade, si affacciano curiosi da tutti i buchi delle baracche sgangherate, mettono una nota vivace di ilarità gaia e rumorosa sullo sfondo triste dei villaggi di lavoro. Poveri piccoli esseri, votati precocemente alle miserie della vita e dell’esilio, essi costituiscono una curiosità per gli indigeni [p. 396 modifica]più agiati, più egoisti, meno generosamente incuranti dell’avvenire e costituiscono quasi sempre anche una non lieve difficoltà per i Comuni che devono provvedere alla loro i§truzione e si vedono invase di mese in mese e insufficienti le scuole esistenti. Volete sapere, ad esempio, quanti bambini italiani vi siano attualmente a Grenchen (Svizzera) all’imbocco sud del tunnel Moutier-Granges, che è un completamento della linea del Sempione? Le scuole italiane per i ragazzi di Tripolis (così fu battezzato dagli indigeni il villaggio italiano) affidate dal Governo cantonale di Soletta alla direzione dell’«Opera di Assistenza», contano attualmente circa 13o ragazzi dai 7 ai 14 anni. Una sessantina si calcolano i ragazzi nostri, che, perchè hanno già superati i corsi delle nostre scuole, frequentano le scuole indigene. Sono dunque circa 200 i ragazzi dai 7 ai 14 anni. Se si tiene conto della mortalità che colpisce purtroppo i bambini della colonia inferiori ad un anno, possiamo dire che altrettanto e anche più sono i bambini inferiori ai 7 anni, 40o ragazzi circa! E’ pure questa la cifra approssimativa che dà l’Ufficio del Comune. Tale cifra è più significativa se si pensa che gli italiani stabiliti in Grenchen non superano i 2000 e che non vi si trovano che un centinaio di famiglie italiane. Un’altra constatazione curiosa: la percentuale della maggiore fecondità cade sull’elemento operaio e meno sulla classe’ esercente o impresaria oppure dedita ai lavori di fabbrica. Infatti per l’albero di Natale organizzato lo scorso anno dall’Impresa costruttrice della galleria per ragazzi dei suoi operai dai 2 ai 12 anni, gli iscritti superano i 25o; i quali, uniti ai bambini inferiori a due anni e di oltre 12 anni, dànno una percentuale di circa 300, mentre gli operai italiani dell’Impresa non superano mai, fino a questi ultimi tempi, la media di ottocento.

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Abbiamo accennato, parlando di Grenchen, alla grave mortalità dei bambini inferiori ad un anno. Il doloroso fenomeno non è purtroppo limitato alle famiglie di quei minatori italiani, ma è facilmente constatabile dappertutto ove esistono importanti colonie icaliane nelle città e specialmente nelle agglomerazioni ittemporanee di baracche sul luogo dei grandi lavori. Poco distante da Basilea, ad un’ora di treno, esiste un altro «Tripoli», cioè un villaggio italiano, costruito tra i paesi di Trimbach e Winznau, per i nostri operai addetti ai lavori del tunnel del Hauenstein. Ebbene a Tnimbach-Winznau si è avuta nello scorso inverno una straordinaria mortalità di bambini. Ecco la dolorosa statistica: dalla parte di Trimbach si sono avuti nelle famiglie italiane 26 bambini morti; nelle tedesche 9. Gli italiani dalla parte di Trimbach sono calcolati a goo circa ed i tedeschi-svizzeri sono. 2600. Se si fa ora un pareggio della popolazione aumentando in proporzione anche i morti,

avremmo n. 78 bambini italiani e 9 bambini tedeschi! Dalla parte di Winznau il calcolo è più facile: su una popolazione presso a poco uguale abbiamo: 12 bambini italiani e un bambino tedesco. La lettura di queste cifre stringe il cuore. Della cosa si è occupato recentemente anche il governo cantonale di Soletta, il quale ha ordinato una ispezione alle baracche ed una inchiesta preso i medici locali. Il risultato dell’una e dell’altra fu che venne sstabilito come cagione principale della straordinaria mortalità dei bambini il troppo deficiente ed addirittura errato modo di allevare i bambini.

(Continua).