Il buon cuore - Anno XII, n. 44 - 1º novembre 1913/Educazione ed Istruzione

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Il buon cuore - Anno XII, n. 44 - 1º novembre 1913 Religione

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NEL PRIMO CENTENARIO


della nascita di LUIGI VEUILLOT



Nella ricorrenza centenaria della nascita dell’illustre polemista cattolico — Luigi Veuillot nasceva a Boyne l’11 ottobre del 1813 ― non vuolsi; da queste colonne, riassumere le vicende della sua fortunosa esistenza, già abbastanza note nelle loro linee essenziali, ma solo richiamare dell’opera e dell’uomo alcuni aspetti che meglio ne caratterizzano lo spirito e che più ci sembrano degni di considerazione pel contenuto e per la loro portata pratica. Luigi Veuillot, uscito dal popolo — egli era i] figlio di un bottaio e di una contadina analfabeti, — rimane sempre, anche quando parve opporsi alle conquiste popolari e spregiare il favore della folla, uomo di popolo.

Lo stesso Veuillot lo affermava quando, con una punta d’ironia non disgiunta da una certa amarezza, notava: «Io ho difeso il capitale, senza aver mai posseduto un soldo di economie: la proprietà, senza aver mai avuto un pollice di terreno; l’aristocrazia, e a mala pena mi sono imbattuto in un paio di aristocratici amici; la monarchia, in un secolo ché non ha ancora visto e non arriverà a vedere un vero re!» Ma il segreto della sua forza, che spiega la grande efficacia della sua difesa di tali cause, fu appunto di aver serbato in essa tutta la sua schietta e nativa forza popolare, i suoi istinti e i suoi impulsi di uomo del popolo. Un transfuga, forse? L’accusa avrebbe sapor di ironia per chi conosce la vita di quest’uomo che dall’opera sua non trasse nè onori, nè ricchezze, ma larga messe d’odio e di vituperio. Nè quelli stessi che egli difese seppero sempre e adeguatamente apprezzarlo. Per fortuna gli rimaneva il conforto di avere ― insieme a molte cause transeunti e contingenti — difeso una bandiera di verità perenne e immutabile: il conforto di non a ver inutilmente spesso le sue energie nella battaglia in difesa di Cristo, così da poter giustamente preparare egli stesso per la sua tomba una semplice, ma veridica epigrafe:

Placez a mon cóté ma plume,
Sur mon front le Christ, mon orgueil...
Et clouez en paiz le cercueil.


* * *


Il 15 marzo 1838 segna nella vita del. Veuillot una data decisiva, quella della sua conversione. Ma non deve credere il lettore che quel giorno segni come un hiatus, come un abisso scavato tra gli anni che precedettero e quelli che seguirono. La conversione del Veuillot non fu un coup de foudre; non fu il «Saulo, Saulo, perchè mi perseguiti?» della via di Damasco, ma sibbene la logica e perfetta maturazione di un lento processa di disgregamento, e di rinnovazione spirituale. Già quando egli era giornalista liberale ed ufficioso questa crisi interiore lo andava travagliando. «Questa fatica di collera e di odio mi pesa — egli confessava in un momento di sconforto — e non tollero che per le mie convinzioni, o meglio per la mia rabbia di politicante... Dove sono più le mie speranze di un tempo? Io seguito a girare e rigirare poche idee, come una fiera che gira e rigira nella sua gabbia».

Egli era vissuto sino allora in una indifferenza completa in materia religiosa. Tuttavia nell’anima sua non era mancata quella vaga inquietudine, quella nostalgia dell’infinito che sono quasi sempre le annunziatrici del bisogno di credere e della fede.

Je subis le tourmet, ou plutôt j’ai la honte
De redouter le faite où malgrè moi je monte,
Et de vouloir descendre et ne le pouvoir pas, [p. 346 modifica]Toujours je me dit: arche! Et je me cric: Arrète!

Si je’ regarde en haut, je sens tourner ma téte, f e me sens étouffer à regarder en bas... Così accolse con gioia la proposta di un amico, Olivier, per una crociera mediterranea, un viaggio in Italia e in Grecia, mèta ultima Costantinopoli. E sognando la nostalgica bellezza delle moschee dorate, dei minareti sottili come steli, il giovane ignara s’incamminò verso le basiliche di Roma, verso la cupola di San Pietro; non i profumi d’Oriente lo stordirono e Io inebriarono, ma lo ritemprò e lo esaltò quel parfum de Rome ch’egli poi con arte magistrale descrisse e magnificò in un libro mirabile di sincerità e di passione. • •

Del giornalista occorre rilevare il criterio regolatore di ogni suo gesto ed atto, di ogni sua parola il principio supremo informatore. Quale? la supremazia degli interessi religiosi, interessi ch’egli non vede antagonistici, ma concordanti cogli interessi del paese. a Fra tutte le cose che passano -- egli scrive esponendo il suo programma al suo entrare nell’U niver — in mezzo alle rovine che circondano, in questo turbinio di idee, che si presentano, scompaiono, e vengono nuovamente sulla scena, noi ci teniamo fermi alle sole cose, alle uniche idee che mai non si dileguano: la Chiesa e la Patria». Del come siasi tenuto fermo alla Chiesa il Veuillot, quanto abbia egli fatto e quanto combattuto in favore éd in difesa della religione non occorre molto dilungarsi a raccontare tutte le lotte che la Francia, anzi l’Europa, vide sostenute dai cattolici lo ebbero combattente infaticabile. Il polemista cattolico non ha più nulla di comune con l’anticò giornalista ministeriale, col panegirista del filippismo. i Probabilmente — egli scrive il 22 febbraio 1842 in una lettera all’abate Morisseau — io dovrò cessare la mia collaborazione... il mio ritiro proviene da considerazioni politiche. Si vuol fare dell’Univers un foglio assolutamente ministeriale ed io non me la sento affatto». Ma l’Univers non sarà ministeriale, sarà semplicemente cattólico, e Luigi Veuillot vi rimarrà. Verrà poi la caduta della monarchia di luglio, verranno le giornate del febbraio, la repubblica del 1848. Quanti spaventi: la risurrezione della repubblica non era forse la risurrezione del terrore? Il governo provvisorio, l’edizione riveduta e corretta del direttorio? Occorreva dissipare i timori, dire una parola che rinfrancasse gli animi. Il 5 febbraio l’Univers termina così un coraggioso suo articolo: a In Gesù Cristo gli uomini sono fratelli, sono liberi. Una libertà sincera può salvare tutto, il nuovo governo ha grandi doveri verso la Francia e verso la società; gli auguriamo di compierli. Ogni governo ha in sè la forza di assodarsi; gli basta di ame re la giustizia e servire con franchezza la libertà»; e il 27 dello stesso mese, urgendo sempre più la gravità della situazione, il Veuillot non si perita di scri vere a Il signor di Lamartine ha detto ieri che la rivoluzione francese è figlia del Vangelo; questa parola è vera, ma noi l’abbiamo detto prima li lui». L’audacia dell’affermazione non induca per altre a credere in un Veuillot rivoluzionario, o piaggiatore di rivoluzioni; se il suo temperamento lo trascinava per questa corrente, la disciplina che s’era imposta ne lo tratteneva sicuramente. Del resto quando, dopo le giornate di febbraio, sopravverranno quelle di giugno, e la rivoluzione sociale agiterà la sua spettrale minaccia, e monsignor Affre avrà la palma del Martirio, egli non esiterà un attimo nello scagliarsi a far argine contro il nuovo pericolo: allora il giornalista che prima parve un rivoluzionario, sembrerà un reazionario: ma come non era rivoluzionario prima non è reazionario ora; uditelo: a Se rimango morto — esclama agli alleati del momento — non mi avvolgete nella vostra bandiera: io sono venuto con altre idee che le vostre. Le vostre dottrine hanno sparso il veleno di queste collere abbominevoli: voi siete tenuti.a rispondere per la vostra parte in questa guerra sì empia». Poi la repubblica che il Veuillot aveva accettato -- andò a finire nelle braccia dell’uomo che carezzandola la soffocò. Quando l’astro nuovo sorse sull’orizzonte molti fra i cattolici si volsero a quello, non però l’Univers. Compiuto il colpo di Stato, l’imperatore sembra dapprima premuroso della causa della Chiesa, e il Veuillot non dissimula la propria gioia per questo contegno: ma in breve le tendenze napoleoniche mutano e l’Univers inizia una viva campagna di opposizione; il governo seccato attende un pretesto per soffocare quella voce fastidiosa; esce l’enciclica Nullis certe, il Veuillot la pubblica sull’Univers; il pretesto c’è; il governo imperiale sequestra un giornale perché riporta un’enciclica: non solo ma un decreto cesareo lo sopprime, e per ben 7 anni, sino al - 1867, quando l’aura foriera della futura tempesta spinse il terzo Napoleone a tardive generosità e si mutarono le leggi sulla stampa, la voce dell’Univers stette silenziosa. Dopo venne la guerra franco-prussiana, e con essa giunsero Sédan e. la caduta dell’impero, la Commune e la terza repubblica. Bisognava uscire ancora una volta dal disordine e usare una politica ferma ed accorta il Veuillot non si smentì, l’Univers non mutò la sua linea di condotta, pronti entrambi ad accettare lealmente la repubblica e a consolidarla. Nel suo programma, antico il Veuillot aveva già scritto a giusti verso tutti, sottomessi alle leggi... noi serbiamo il nostro omaggio e il nostro amore per quella autorità che si paleserà mandata da Dio, col muoversi, imbrandendo la croce, alla volta dei nuovi destini della Francia». E se questa autorità doveva essere autorità di popolo non si sarebbe sgomentato il Veuillot purchè essa avviasse il paese ai veri destini degni della figlia primogenita della Chiesa. Malgrado la giusta estimazione di quella che egli chiamava la monarchia cristiana», malgrado la sua ammirazione pel conte di Chambord, non Si può affermare che egli volesse una restaurazione e avrebbe certamente [p. 347 modifica]trovato un Veuillot benevolo; purtroppo per altro il polemista cattolico ebbe troppo raramente l’occasione di esercitare questa sua benevolenza.

Il Veuillot scrittore, romanziere, poeta, critico, erudito meriterebbe uno studio o un cenno più ampio che non il polemista e giornalista.. Quanto al prosatore il Remusat e il Saint-Beuve lo ritenevano degno d’un fauteil all’Accademia, e Giulio Lemaitre, giudice competente in materia, la definisce «uno dei cinque o sei grandi prosatori del secolo XIX» nella letteratura francese. Del poeta, oltre le Satire e le Serpi, basterà ricordare quel volume postumo Cara ch’ebbe anche recentemente un così profondo ammiratore in Emilio Faguet. Il Roma e Loreto, il Profumo di Roma, gli Odori di Parigi formano a così dire una trilogia logica e psicologica che si integra; e di cui forse si ricordò, con intendimenti antagonistici, Emilio Zola quando si accinse alla infelice pubblicazione delle sue Trois villes. Coincidenza strana: l’uno in Loreto esalta la virtù dei miracoli, lo splendore della grazia, la luce della fede: in Roma la maestà, la bontà, la santità del Cattolicismo; e infine se il profumo di Roma balsamò l’anima sua, gli adori esalanti dalla nuova Babele lo soffocano; non è più la rosea e dorata visione, ma il quadro doloroso e cupo; tutte le,cancrene sociali, tutti i vizi, tutte le miserie e le infamie germinate dalla corruzione moderna; l’altro in Lourdes invece si sforza di non vedere che l’allucinazione, la suggestione di quelli che credono, in Roma la pompa vana, l’ipocrisia che inganna, la formula che infetisce il pensiero, e finalmente in Parigi la Gerusalemme beata dell’avvenire: opere antitetiche, cristiana l’una, pagana l’altra: così prima ancora che il veleno letale corresse a fiumi la Francia, la Provvidenza preparava a quella nazione l’antidoto efficace e salutare. Il Profumo di Roma, pensato dapprima come un unico ed esclusivo canto d’amore, fusione di storia, di poesia, di affetti religiosi, gli riuscì quasi suo malgrado un libro di battaglia al tempo stesso che la viva ed alta espressione di un lirismo sincero e comunicativo. Con gli. Odori di Parigi mirava a completare il significato morale e dottrinale del Profumo di Roma: voleva secondo le sue stesse parole -porre in contrasto la città dello spirito che risana c la città della carne che uccide. E qui facilmente la foga del suo temperamento lo trascinò nel più vivo della satira sociale; con uno stile acre e corrosivo, che incide e che brucia, egli osservò l’immenso vampiro da ogni lato e sotto ogni luce. Ma non bisogna dimenticare i Libres Penseurs, tura di costume, satira terribile del secolo e della società: bozzetti, pastelli e medaglioni dipinti cno inarrivabile maestria e con mirabile rapidità di tocchi ed evidenza di espressione; libro ammirevole in cui la verità non si nasconde dietro pietosi eufemi

smi o silenzi colpevoli ma appare agli occhi senza fronzoli e senza reticenze, ed ogni cosa ha il proprio nome, ogni persona il proprio carattere, ogni carattere l’appropriato giudizio. a Il libro dei Liberi pensatori — lasciò detto Alfredo Nettement — è scritto da un libero dicitore». Il romanziere — l’autore dell’Honnéte femme, di Corbin et d’Aubecourt, dí Pierre Saintive, di Historiettes et fantaisies — potrebbe anche dirci quanto sia antica la mufierie di certi critici, troppo pronti a facilmente scandalizzarsi e che non sanno distinguere tra l’arte malsana e corruttrice e l’arte forte e purificatrice animata da nobili sensi di elevazione e da gagliardi impulsi di battaglia, anche quando l’audacia la spinge ad affrontare il male per metterne in luce l’ipocrisia o la bruttura. «E’ superfluo notare — scrive a questo proposito l’abate Halflauto — ch’egli non merita per nul a il rimprovero d’immorale che i tartufi della critica gli hanno rivolto e che sono persino riusciti ad.accreditare». Eppure contro l’Honnéte femme — questa specie di «Madame Bovary» concepita e scritta cattolicamente — la sciocca e -immonda accusa fu scagliata e vi furono dei farisei che si picchiarono rumorosamente il petto deplorando la a pornografia» di Luigi Veuillot romanziere e gridando allo scandalo.

  • * *

Ma le luci che emanano dalla figura di quest’uomo e dall’opera sua non vanno — come è del resto proprio di tutto ciò che è umano — scompagnate da ombre e penombre e sarebbe ingiusto il tacerle. Lo spirito combattivO dell’uomo, l’innato temperamento polemico e aggressivo dello scrittore, le sue rudi origini plebee e le sue malcelate tendenze democratiche, il suo stesso fervore di neofita, venuto alla fede per una conquista del proprio spirito e dominato quindi da una passione gelosa e quasi inconsapevolmente proclive all’esclusivismo, tutto il suo habitus mentis rigidamente consequenziario aborrente dalle mezze misure e dalle formule conciliative, incapace di distinguere tra l’opportunismo e il senso della opportunità, lo hanno non di rado fatto trascendere nell’ardore della battaglia inducendolo anche a rivolgere i suoi colpi, e non i meno gravi, agli stessi suoi compagni di fede, ai militi della sua stessa bandiera dai quali dissentisse per differenza di metodi e diversità di vedute. Non occorre qui ridire le dolorose vicende dei dissapori suoi col Montalem bert; nè l’aspro giudizio del conte di Falloux, l’autore di quella legge per la libertà della scuola, preparata con ispirito cristiano, per mezzo secolo baluardo delle coscienze dei fanciulli e dei giovani contro il laicismo ateo, e che pure fu dal Veuillot aspramente criticata nè il biasimo espresso da quell’anima mite dell’Ozanam; nè le acri polemiche col Dupanloup; nè la ’sconfessione aperta del suo vescovo monsignor Sibour, lo stesso che doveva poi cader vittima [p. 348 modifica]del pioinbo iniquo dei comunardi. Perchè insistere su questa pagina della sua esistenza e dell’opera sua ch’è la più discutibile, anche se non sono discutibili la rettitudine dei suoi intendimenti e la sincerità delle sue convinzioni? Malauguratamente le discordie intestine e le lotte fratricide trovano già largo stimolo negli impulsi meno, generosi della nostra natura, anche senza inciprignire-la piaga non ancora del tutto rimarginata col ritorcervi dentro la lama. La ferita potrà dirsi sanata e il pericolo scongiurato soltanto quando tutti si saranno convinti che non c’è forza senza unione, e che la giustizia non presuppone l’assenza della carità. Che se lo splendore del genio la squisita sensibilità dell’animo possono talvolta preservare o riscattare da certi errori, più frequentemente una siffatta tendenza può condurre a conseguenze deplorevoli quando sia la espressione di menti ottuse e di anime piccine. D’altra parte, anche con questa sua pagina che è la meno bella della sua esistenza, il Veuillot ci fornisce un insegnamento prezioso e un monito salutare. Facciamone tesoro perchè, imitando le qualità ammirevoli che distinsero l’uomo e la sua fatica, si sap pia evitare gli errori in cui per avventura incorse. GIUSEPPE MOLTENI.