Il buon cuore - Anno XII, n. 42 - 18 ottobre 1913/Religione

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Educazione ed Istruzione Beneficenza

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Domenica terza d’Ottobre

Testo del Vangelo.

In quel tempo si faceva in Gerusalemme la festa della Sagra; ed era d’inverno e Gesù passeggiava pel Tempio nel portico di Salomone. Se gli affollarono perciò d’intorno i Giudei, e gli dicevano: «Fino a quando terrai tu sospesi gli animi nostri? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente.» Rispose loro Gesù: a Ve l’ho detto e voi non credete: le opere che io fo nel nome del Padre mio, queste rendono testimonianza di me. Ma voi non credete, pirchè non siete del numero delle mie pecorelle. Le mie pecorelle ascoltano la mia voce, e io le,conosco, ed elleno mi tengon dietro. Ed io dò ad esse la vita eterna, e non periranno in eterno, e nessuno le strapperà a me di mano. Quello che il. Padre ha dato a me, sorpassa ogni cosa, e niuno può rapirlo di mano al Padre mio. Io e il Padre siamo una cosa sola». S. GIOVANNI, cap. io.

Pensieri. La discordia dei Giudei circa ta missione e la divinità di N. S. Gesù Cristo è già, accennata e riferita largamente nel brano antecedente al Vangelo d’oggi. Gli evangelisti narrano — anche diffusamente — come si svolgesse la polemica intorno a Gesù, accusandolo alcuni di indemoniato, altri non potendo ammettere che opere così meravigliose, e così sante potessero avere un’azione così cattiva ed infetta. La polemica ardeva da tempo, e l’Evangelista nota l’epoca delle feste eucenie ed il freddo della stagione,

per farci notare come la quistione di Gesù non s’arrestasse ne davanti allo splendore delle feste e del culto, ne venisse omessa per l’incomodo della fredda stagione. Il problema religioso, meglio il problema della conoscenza di Gesù — realtà tangibile, palpabile, forma concreta, non un ideale vaporoso fuggevole, adattato al nostro umanesimo — s’impose sempre, s’impose continuamente alla mente dell’uomo, ne questo problema si risolve col solo culto esterno, col solo formalismo improntato a pietà di relazione, ne con un solo e semplice sistema filosofico. No. Neppure a trattenere l’urgenza e l’importanza *di tale problema ’occorrono e valgono i comodi della terra, le cure della vita, le esigenze del mondo. Neppure questi: ed il freddo della vita materiale — senza il soffio vivificatore dello spirituale — coi suoi ori, coi suoi agi, con quanto può il mondo offrire, come non tratteneva quelli, così anche oggi, in mezzo alle convulsioni e turbolenze di plebi e popoli non fa dimenticare e posporre il problema dello spirito, il problema di Gesù. Pare impossibile! oggi stesso innanzi ad una vita così flebile nel campo economico, civile, politico, sociale, oggi innanzi al popolo,’ pure i più increduli, scettici, diffidenti, prospettano il problema religioso, ne riconoscono l’importanza, ed a questo postulato una certa loro sodanno — in mille modi diversi luzione. Perchè?... e..

Non è una novità per nessuno, anzi è molto vecchia la ragione per chi vuol leggere la vita dei secoli e dei popoli. Gesù è la ragione della vita degli uomini e della società! Ecco tutto. S’acpaniscono i popoli: l’un uomo all’altro fa guerra ed in una deplorevole gara d’ambizione e di interessi l’uno si fa lupo all’altro lupo credendo nella lotta, nell’agitazione, nel sopraf farsi consistere la vita. Errore deplorevole. Come allora, i partiti s’agitano: nella prevalenza di uomini, di cose, di programmi noi la sognamo la pace, la tranquillità, il benessere, e singolo e sociale. Ma arrivati fin là dove si credeva realizzare, ecco ritorna il grido: quousque animam nostra»: tollis? e fin quando ci terrai sospesi, in ansia, in una situazione, che per essere di dubbio, riesce un tormento?... Eppure a noi pare che quelli potessero far senza di Gesù!... a noi pare che per la loro tranquillità era più conveniente l’ignorarlo, il dimenticarlo!... no, dovunque si reca lo seguono: lo seguono con sacrificio: col desiderio d’essere tormentati pur d’arrivare — conoscerlo — a possedere Gesù. Non succede così oggi? Sdno forse quei che lo bestemmiano, che lo ostracizzano dal civile consorzio, dalla patria nostra, che lo denunciano come un pericolo sociale quelli che oggi sono tranquilli? [p. 333 modifica]No! no! lo bestemmiano perchè lo odiano, perchè non lo possono avere, perchè sfugge ai loro vizi, alle loro settarietà, alle loro cattiverie, ma non sono tranquilli. Gridano, urlano troppo per nascondere la loro bava, il tormento, l’inferno, che essi hanno.

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Come dei popoli così degli individui. Senza Gesù o non si vive o si vive assai male. Di qui non si esce. E’ giovane, è ricco, ha salute, nulla gli manca di ciò che porta il brio, la gioventù, la fortuna. In mezzo ai ciechi è invidiato. Ma perchè viene a noi, e nell’angolo oscuro, inosservato si china e grida il tormento del suo spirito, la ferita del suo cuore? Perchè chiede al ministro di Cristo la parola — disadorna, rozza, forte, rude e serena — per avere la... pace, Gesù? Perchè addolora la ricca dama, l’elegante signora? Perchè geme la signorina, idolo delle serate, cincielata dai più fini adoratori? Che domanda al prete? cosa vuole l’operaio, il contadino dal prete, da Gesù, che non ha oro, non scienza, non relazioni, non appoggi!... nulla! Chiedono tutti, tutti Gesù... chiedono quella parola, quella frase, quell’atto che gli dà la pace, che loro rassereni lo spirito, che renda pago il tormento dell’anima in cerca, assetata, di Gesù, della sua fede, della sua religione. R.B.

Nei paesi del ferro e dell’oro L’emigrazione italiana nella Lorena Continuazione del numero 39.

Perchè quindi gridare contro l’operaio italiano, quasi causa unica di un simile stato di cose, il quale al contrario origina e coinvolge tutta la massa operaia di ogni nazionalità? E l’operaio non è poi del tutto colpevole del suo stato di depressione intellettuale. Le scuole mancano. Mancano per la numerosa prole italiana, mancano per la massa operaia. Presso le miniere di recente costruzione sono appunto favorite le baracche come centro di attrazione, non essendosi ancora o potuto o voluto dare all’operaio altri mezzi di svago. E la forza morale, nel lavoro brutale cui è soggetto, lungi dalla luce e dall’aria, contro la roccia, al certo va in essi affievolendosi. La religione potrebbe essere l’unico rimedio. Ma se noi avviciniamo individualmente questi operai, noi vediamo che in gran parte sono già esulati dalla patria con dei principi sovversivi. Non trovando nella nuova terra l’esempio religioso, non comprendendo la lingua la più parte, trovandosi fuori di ogni comodità per quanto è esteriorità di culto, non possono convergere verso la religione e ritrovare in essa un principio di rigenerazione morale.

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A questo dovrebbero pensare i missionari, invece di dedicare un tempo prezioso all’evasione di pratiche burocratiche, secondo l’accusa dell’egregio articolista. Ho già notata la percentuale dei missionari di fronte al numero degli operai italiani e all’estensione della plaga da evangelizzare, ma un’altra causa grave li trattiene alquanto. Vi furono apostoli che portarono in questa terra tutto l’ardore delle loro convinzioni e tutta la coscienza del loro dovere, ma... a smorzar gli ardori e a frenar gli slanci venne a tempo un mina ciato decreto di espulsione dal liberale governo francese, che vedeva nell’attività religiosa dei missionari un delitto di lesa libertà. Poi, che veramente nulla si faccia è asserzione gra2 presso tuita. Molti parroci di buona volontà vollero di sè il missionario nel tempo pasquale. Vi furono in diversi centri missioni religiose ed ebbero, se non un esito strabiliante, al certo confortante, come a Vellerupt, a Trieux, a Mont Saint-Martin, ecc. E si deve far notare che solo una metà degli operai possono esser liberi sul lavoro, essendovi continuamente il turno delle due squadre diurna e notturna. Evidentemente il misionario non può, data la organizzazione del clero di quassù, far altro che tenersi a disposizione dei parroci locali. E questo lo fa. Ma l’internarsi a far propaganda religiosa nelle famiglie, nelle baracche è cosa da dar risultati non solo negativi ma opposti ai voluti, come da esperimenti fatti. • *

Se il missionario passa parte della giornata alla scrivania a dar udienza all’operaio che a lui si presenta e con una parola, una lettera, una protesta cerca di fargli render giustizia o di soddisfarlo nel suo desiderio, non è pel Tidicolo di sentirsi dir consoli, è per lo scopo di potergli ricordare che, esaurita la fatica materiale, ha dei doveri religiosi e sociali. E l’operaio accetta la osservazione perchè, trovando nel missionario una difesa e un appoggio, dà ’fede alle sue parole, mentre al contrario si rifiuterebbe di dar ascolto al missionario che girovagando di porta in porta a far la morale, non gli apportasse un bene anche tangibile. Che poi l’assistenza materiale sia da darsi all’ostracismo è una asserzione iniqua. Volere o no anche qui siamo di fronte al continuo urto del capitale e del lavoro, dell’egoismo e del bisogno. Questi operai, che col sudore e col sangue, arricchiscono il paese che loro fornisce il lavoro sovente, o per inscienza di lingua e di, legge, o per altre cause più gravi ancora, vanno soggetti a trattamenti che loro sembrano ingiusti. L’autorità del -missionario spesso serve a calmare e rendere meno stridente il conflitto tra chi lavora e chi comanda. Bisognerebbe, per disinteressarsi materialmente degli operai, essere in paesi ove fosse impossibile l’ingiustizia o non sentito nel forte egoismo di opprimere il debole. Ma purtroppo, simile stato di beatitudine qui è agli antipodi della realtà l [p. 334 modifica]E bisognerebbe aver la crudeltà del Fariseo o del levita evangelico per,disinteressarsi dei casi, purtroppo frequenti, di operai che feriti sul lavoro si dibattono tra le pastoie della vera burocrazia, per farsi liquidare la magra pensione. Chi scrive, in un’ora diede udienza e consiglio a venti di tali operai in un caffè di un paese del bacino di Bricy, e ne uscì lagrimando, nel vedere tanta gioventù e forza italiana venire ad infrangersi contro il ferro francese, per cambiarlo in oro col suo sangue! E’ bene ricordare che i missionari sentono in cuore il sentimento patrio e l’istinto dell’amore pei connazionali quanto i francesi, e non hanno animo, consci che ogni carità non è solo di pane o di parole sante, di abbandonarli nelle contingenze materiali tristi. Giusto il detto biblico essi si fanno tutto a tutti per trascinare (se non tutti, quanti possono) a Cristo. Non tutti certo, perchè le statistiche dànno il 5o per cento famiglie anormali contro le quali s’infrange ogni buona volontà, a meno di calpestare la legge naturale, il 6o per cento degli scapoli sono girovaghi ed è raro il caso in cui lavorino più di sei mesi nella stessa miniera e nello stesso paese, quando poi non si voglia calcolare che un gran numero pure non sono in Francia se non nel tempo in cui sono sospesi • i loro lavori in Italia, e rimpatriano non appena essi riprendono il corso ordinario.

responsabilità o sugli operai o sui missionari o è leggerezza o cattivo giuoco. Gridare che il povero operaio che disputa alla terra e alla morte col piccone e con la dinamite, un pezzo di pane, e checchè si dica, talvolta anche scarso, non è morale, non è religioso, dato l’ambiente e gli ostacoli che si frappongono alla sua elevazione, è cosa che rivolta una coscienza onesta. Gridare contro un povero pioniere che ha lasciata la patria per la terrà straniera, con le migliori intenzioni di bene, e si trova di fronte, tutte le barriere del male, è cosa senza carità. Il pane altrui è già duro, anche se sudato, è iniquo renderlo più amaro! E conclude con osservazioni di indubbio valore, perchè dettate da un francese: a Là ove le società provvederanno ai bisogni degli operai stranieri o indigeni essi non trascineranno una vita da bruti. Là ove le miniere si valgono delle chiese e delle scuole libere, e non già di sale di feste, per quanto di lusso, per fomentare un regime profilattico contro la tendenza al vizio, la fede non si estingue, la morale si conserva, e il diritto e la religione vengono rispettati. Là ove l’autorità lascia libertà d’azione al clero e ai missionari le colonie italiane possono vivere di una vita sana e fiorente. Tancredi Ricca. Dell’Opera di Assisteaza agli operai italiani emigrati in Europa

Un dotto sacerdote francese che da anni vive nel bacino di Bricy e s’è presa a cuore per dovere e per amore la questione, osservava al proposito che i principali fattori della rigenerazione cristiana degli operai sono la fede dei padroni e l’esempio dei capi. Nella Lorena annessa possono dar esempio i grandi centri industriali dei De-Wendel. Ma oltre ai so anni di esistenza ch’essi contano, oltre al regime più severo delle leggi tedesche, hanno ancora l’incomparabile vantaggio d’essere gestiti da una famiglia la quale da generazioni è esemplare per la sua fedeltà alle tradizioni cristiane e pel suo amore e rispetto alla religione. Essi ebbero premura di far sorgere la chiesa e la scuola nel centro delle loro cités e con l’esempio e col lavoro ottennero risultati confortanti. Ma fu un lavoro di 5o anni e prodotto dalla volontà tenace di persone potenti e convinte. Ma quando invece — ed è cosa tanto naturale! — o proprietari o direttori di officine o miniere, piccoli Combes in quarantottesimo, non solo si disinteressano, ma ostacolano ogni azione religiosa, osteggiando ogni opera cattolica col far pressione sugli operai, cosa potrà ancor fare il povero missionario? E purtroppo talvolta l’intrigo elettorale, la pressura politica s’aggiungono a sventare ogni migliore volontà o iniziativa non solo dei missionari, ma anche del clero indigeno, per modo che senza libertà e osteggiati si è ridotti nella condizione triste di veder il male, saperne il rimedio e non poterlo adóttare. La questione è assai più complessa di quanto la intravide l’egregio articolista, e volerne gettare ogni

Uno storico della marina PADRE ALBERTO OUGLIELMOTTI

Questa scrittura è omaggio di discepolo a maestro di marino giovane cui, anni addietro, il marino già attempato dischiuse una via nuova. L’armata d’Italia onde questa va giustamente superba, lascisi pure dire dai politici che fu creata da ministri e da generali; ma si cerchi più addentro nelle ragioni delle cose, si rintracciano le prime origini dei fatti, e scaturirà fuori la idea-forza gemma inestimabile, polita in cinquant’anni di lavoro assiduo e non mai interrotto da Francesco Guglielmotti di Civitavecchia che, entrando giovinetto nell’ordine Domenicano, vi prese nome nuovo di Frate Alberto in omaggio ad Alberto il grande, uno dei Titani della famiglia dei Predicatori. I Guglelmotti furono gente di mare ah antiquo. Pier Domenico, Francesco Maria, Gian Gaspare e Biagio appartennero alla marina pontificia. Nella casa avita, oggi decorata da una lapide onoratrice, nacque il 4 febbraio del 1812 il futuro istorico e lessicografo dell’armata. Francesco, durante gli anni del noviziato a Santa Sabina, diè prova d’ingegno comune. Una grave ferita al capo prodotto da una caduta gli sviluppò repentinamente una memoria prodigiosa e tenace oltre ogni dire. [p. 335 modifica]A Padre Alberto già innanzi negli anni bastava il Cardinal Bilio studiosissimo di Dante, ne dicesse un verso, ed ecco il frate suo compagno consueto di passeggio continuare il canto della Commedia sino al verso finale. Conosceva la Sacra Scrittura in modo da non ignorarne veruna frase e l’aveva letta appena sei volte. In uno dei primi lavori di Padre Alberto, che è «Elogio del Cardinal Mai a si legge l’inciso seguente: «Intorno ai fanculli nei primi anni, sia che li.incontriate tardivi o precoci, sia che vi venga innanzi il bue muto o il parrocchetto loquace, tutta la previsione del futuro poggia sopra due soli fondamenti, lo ingegno e il maestro. Il primo vale molto anche senza il secondo; questo nulla può senza l’altro: ambedue insieme producono effetti stupendi a. Per qual -cirsostanza fortuita l’ingegno sonnacchioso si destasse vivacissimo nel giovane fraticello, l’ho detto testè. Ora dico del Maestro. Maestro e unico direttore del pensiero fu un amor patrio purissimo; purissimo, perchè stevro da qualsivoglia pregiudizio politico e perchè indipendente da qualunque fede, all’infuori della religiosa. Guglielmotti, interrogate le cronache, confrontati i documenti, frugati gli archivi, ascoltata la tradizione popolare, scrutata la coscienza etnica, sentita dentro sè stesso la passione nazionale, dapprima intuì e, poi, meroè il lungo studio amoroso, verificò che la storia d’Italia tra l’alto medio evo e i giorni nostri era stata il corollario della storia del suo mare. In molti luoghi del trigemino lido le energie marittime si erano a vicenda, oppur contemporaneamente, manifestate; ma in una sola parte d’Italia mostravano continuazione di sviluppo; in una sola parte d’Italia la eredità di Cesare e di Vipsanio Agrippa si era, senza veruna interruzione, trasmessa. E questa parte era la Tuscia marittima di cui il porto romano a valle di ’ Ostia è il focolare che non mai si spegne’ e Civitavecchia si è la soglia.

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Latino di stirpe e di studi, milite nell’esercito della Chiesa, era naturale Guglielmotti si desse a com-, porre’la storia della costei marina. Donde la collana di nove monografie che inanellandosi formano una storia non interrotta del mare italiano tra l’anno 728 e il 1790. Italiano o Romano Italiano in sostanza, quantunque Romano in apparenza. Infatti la marina dei Pontefici era stata sola assai di rado nel compito duplice di difendere il lido patrio dall’inimico e d’aggredir questo nei suoi luoghi. Attorno alla marina dei Pontefici eransi raccolti i cavalieri del reame meridionale, normanno od angioino, i militi dei Comuni del Tirreno e dell’Adriatico; e tra questi i Più esperti e più ai Romani somiglianti, perchè

anch’essi nutriti della ’tradizione imperiale appresa nei rapporti frequenti con Costantinopoli quando la Roma orientale si fè custode degli ordinamenti della maggior sorella occidentale: alludo ai Veneti. Per cagione di codesta visione reale della storia della marina italiana, in cui la romana è situata in figura di protagonista, talune ha potuto erroneamente immaginare che Padre Alberto avesse composto una storia regionale, anzichè nazionale. Ed egli stesso diede motivo a quel fallace giudizio, così dicendo dell’opera sua: «Oggi ho finito, dopo trent’anni, la mia ultima pagina di storia che all’apparenza dice Marina, ma in sostanza è Storia Ecclesiastica di una nuova forma, e forse provvidenziale a. No. E’ fuor del possibile che egli sinceramente così credesse, poichè non era uomo da mentire in verun caso, nè agli altri, nè tampoco a sè stesso. Ma italiano senza verun dubbio era lo scrittore per la lingua, per il proposito fermo di esaltare la nostra Stirpe e per il metodo che seguì. (Continua).

Do tosanett settaa su ona banchetta Faseven colazion doprand i man, Perché gh’aveven minga de forchetta; Inciti! per domò formace e pan. Vana a quell’altra la ghe dis: Lisetta G’hemm di curiels che guarden... parla a pian E guarden i fregai della michetta. Quell’altra la rispond: ah che villan i Digh no villan, perchè sti poveritt Hin quatter me amisoni, tant graziós... Te no capii? Hin quatter passaritt Che quand foo cblazion, sola, soletta Me piomben chi a beccò, content, cer6s, Disendem col cip, cip: grazie losetta! FEDERICO BUSSI