Il buon cuore - Anno XII, n. 19 - 10 maggio 1913/Educazione ed Istruzione

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Il buon cuore - Anno XII, n. 19 - 10 maggio 1913 Religione

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NEL PRIMO CENTENARIO DI FEDERICO OZANAM


Un Apostolo della fede e della libertà


L’UOMO e L’OPERA.


Ciò che più colpisce chi osserva nella sua interezza la figura di Federico Ozanam, è la mirabile armonia con cui i tratti in apparenza più stridenti si fondono e si ricompongono nell’unità fondamentale. L’uomo di studio compie l’uomo di fede, l’uomo dedito all’esame di sè con la più rigida introspezione è unito all’uomo che ascolta i più alti e i più tenui lamenti dei fratelli, l’uomo che gioisce nelle indagini delle cose che furono e non tornarono è, come pochi altri, intento alle vicende dei suoi tempi, alle circostanze che, in Francia e fuori di Francia, accennavano a prossimi e vasti cambiamenti. E tutto ciò senza sforzo e senza brusche contrazioni, ma liberamente, spontaneamente. Lo studioso abbraccia il fedele, il fedele il patriota, il patriota, l’uomo.


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Sin dal 1831, ancora giovanissimo, F. Ozanam esponeva in una lettera un vasto programma di studi preordinato a dimostrare l’universalità e l’efficacia della credenza religiosa. Scuotere la polvere di ogni tomba, scavare fra i ruderi di tutti i tempi, esumare tutti i miti senza limite di regione o di tempo, esaminare e spiegare le tradizioni, era come rintracciare, sotto aspetti e forme diverse, l’elemento unitario espresso nella verità religiosa. La sua anima è piena di gioia e di consolazione nell’ammirare la bellezza e la grandiosità del disegno veramente colossale e che solo l’entusiasmo dei diciassette anni poteva affidare alla vita di un uomo, anche se questo sentisse, come il giovane Federico, la manchevolezza delle proprie forze.

All’attuazione di un tal disegno era necessario conoscere, per attingere direttamente alle fonti, una: dozzina di lingue, conoscere passabilmente l’astronomia, la geologia, e le altre scienze della natura, studiare nella loro interezza la storia universale e quella delle credenze religiose.

La sua vita fu troppo breve, ma tutta la sua operosità di insegnante e di studioso — sia pure modestamente e parzialmente — fu rivolta ad eseguire un tal disegno. L’idea cristiana emerge e si afferma con la vigorla di elemento direttivo in ogni lavoro: in una prolusione solenne al corso della Sorbona, come in un articolo di giornale o in un discorso pronunziato in presenza di pochi amici. Il cattolicismo ch’egli amò e professò, con piena coscienza e con rara nobiltà di intenti, lo traeva a risalire agevolmente o stentatamente per le vie della tradizione. Negli uomini e nelle cose del medio evo egli trovò, scrutando con occhio attento ed amoroso, ciò che altri non vide o spregiò inconsultamente; e indicò l’intimo nesso che legava l’era abbominata come un’orrida scena di tenebre e di sangue, alla rinascenza troppo esaltata e additata come l’avvento glorioso della libertà e della scienza. Sopra tutto egli amò e studiò il divino poeta ed il suo secolo, la filosofia di Dante gli apparve sotto una luce superiore; illustrata e avvicinata alle correnti ed ai bisogni del secolo XIX, essa non era più l’oggetto di erudizione che adornò e adorna la mente di molti commentatori, ma cosa viva ed attuale come la religione che l’ispirava. La tendenza ad amare e ad ammirare dava maggior risalto alle sue qualità poetiche e premeva leggermente sulle qualità del critico e dello storico.

Di fronte alla bellezza ed alla freschezza dei Fioretti o delle poesie di Jacopone, nella chiarità [p. 146 modifica]l’Umbria verde popolata di pii ricordi e di monumenti francescani, raccontare era cantare, descrivere, ammirare. Tutta l’opera dell’Ozanam, del resto, è piena di questo senso di ammirazione e di amore che riesce a dare anche alle cose più. semplici e meno significanti colori di bellezza e speciali significazioni. Gli studi giuridici lo distrassero per qualche tempo da quello che era come l’ambiente naturale del suo intelletto; dalle indagini storiche e letterarie alle quali doveva tornare con maggior lena e attività., Ma nè gli uni nè le altre valsero a distorlo dalle esperienze quotidiane e dallo studio delle quistioni più ardenti del suo tempo. Ogni forma di attività intellettuale era in lui coordinata e avvicinata al pensiero contemporaneo. Gli studi sulla civiltà del V secolo, le indagini sui primi Germani o sulla filosofia cattolica del secolo XIII, trovano il loro complemento nel saggio sul divorzio, nelle pagine dedicate al progresso, considerato da un punto di vista cristiano, negli articoli pubblicati, in uno dei periodi più terribili della nuova Francia, sull’Ere nauvelle. La luce della verità cristiana è diffusa più meno abbondantemente in ogni parte della sua opera svariata. Essa chiarisce le prime origini e le ultime ragioni della società e del diritto, come illumina i primi e gli ultimi sentieri della civiltà moderna. L’uomo di fede soddisfa così all’intimo bisogno di raziocinare il suo obsequium alla verità religiosa nello stesso tempo che la difende dagli attacchi di nemici agguerriti e’numerosi.

Ma la fede non fu soltanto luce, essa fu, più che luce, guida sicura e amorosa attraverso il cammino della vita. Questa fede, custodita e alimentata fra le mura del santuario domestico da una madre cristiana, provata e riprovata nel cimento contro dottrine estranee o avverse a ogni forma di religione, era nata per crescere e ingigantire. In un primo periodo della sua vita, l’intelletto parve volesse vincere su ogni altra attività dell’Ozanam, e- il cristianesimo apparve come una dottrina filosofica, come una sfera ideale che appagava il bisogno di conoscere, poco curando quella dei fatti e della pratica. La lettura delle opere di Pellico — I’.uomo che egli amò ed ammirò in Italia sopra ogni altro — valse a rivelargli le deficienze di questo suo modo di vedere. La vita con tutte le sue vicende e contradizioni, lo ebbe più vicino. La sfera della moralità, delle azioni e delle intenzioni lo attrasse più di quella ideale o razionale. Ogni suo atto fu, di buon’ora, l’espressione di questa fede rinnovata, o-. gni suo proposito un bisogno di penetrare sempre più e meglio sè e gli altri della bellezza e della bontà del"cristianesimo. Cristiano egli fu e volle essere sempre e dovunque, ma cristiano in una forma concreta e positiva. Molto inclini erano i tempi ad accogliere con favore-formule vaghe di religiosità evaporanti, schermi adat tabili a questa o a quella specie di anime ammalate vicine alla malattia. IE. Ozanam aderì, con amore con fervore, alla Chiesa cattolica; adesione cosciente come poteva essere quella di un uomo che conobbe ed amò i fratelli del passato al pari di quelli del presente., e che visse in comunione di spirito con le figure più eminenti dei primi secoli, anche quando gli aspetti del presente lo vollero testimone attento e commosso. La sua fede era fatta per espandersi e vivere dell’apostolato, e apostolato fu sin dalla giovinezza l’intera sua vita. Il proposito di riunire e organizzare intorno al vessillo della verità religiosa la gioventù del suo tempo mirava a preservare la vitrù della fede dagli attacchi e dalle insidie di dottrine nuove rinnovate; la nobile impresa di apportare in Francia e fuori di Francia alle migliaia di esseri umiliati dalla miseria i’ conforto di una parola fraterna accompagnato da qualche sollievo materiale mirava a ricongiungere nel bacio della carità i fratelli che la recente configurazione economica e l’indebolirsi del sentimento religioso avevano allontanato e reso estranei; lo sforzo di richiamare l’attenzione dei governi del tempo sul problema della miseria e di dare e assegnare all’autorità una base e un compito che imponeva, risalendo a un principio religioso, doveri e sacrificii a favore del sudditi, mirava a ricondurre sulla via della fede cristiana la Francia che volgeva verso la via del deneramento. Questa fede era fatta di carità, e perciò appunto splendeva della più pura bellezza che la verità religiosa può incarnare. Tutta l’opera di F. Ozanam, si può dire, è opera di carità, carità ardente e operosa che si estende agli avversari e che ha tutti i segni notati dalla ispirazione dell’Apostolo.

Spirito per natura riflessivo e meditativo, F. Ozanam non fu estraneo alle vicende politiche della prima metà del secolo XIX. La fede cristiana anzichè allontanarlo lo avvicinava sempre meglio alla vita del suo tempo e lo interessava, più che alle sorti dei governi, alle aspirazioni e alle lotte del proletariato. Cattolico fervente e oltremodo preoccupato dei destini della Chiesa universale, egli amò con pari fervore il suo paese d’origine, la nuova Francia che voleva ’forte e grande, fedele alle tradizioni della sua fede e rinnovata sul terreno della libertà. E perciò egli fu patriota a preferenza di tanti altri consacrati dal ihartirologio ufficiale, patriota di un patriottismo;‘largo e generoso che esulava dai limiti ristretti di questa o quell’altra forma di governo. /’ai — egli scriveva fin dal 1834 — pour le vieux royalisme tout le respect gite l’on doit à un glorieux invalide, mais- je ne m’appuirais pas sur lui, parcequ’avec sa jambe de bois il ne saurait marcher au pas des génération nouvelles. Lontano parimenti dal tradizionalismo legittimista del De Maistre e dal liberalismo inconsulto del [p. 147 modifica]Lamennais, riconobbe nella democrazia la forma più equa e più ragionevole di convivenza civile, l’ultimò termine del progresso politico verso cui Dio guidava l’umanità. Questa democrazia aveva un contenuto che la distingueva profondamente da quella che la seconda e la terza repubblica volevano attuare; e senza trascurare le riforme relative al miglioramento economico, mirava a elevare il livello spirituale delle classi lavoratrici. Essa mirava ad attenuare l’antagonismo che si andava disegnando minaccioso fra classe e classe, a superare le antitesi e a conciliare gli odii che dilaniavano le membar della nazione. Essa fu l’ideale di Montalembert, di Lacordaire e di tanti altri spiriti eletti, che compresero le esigenze dei tempi nuovi, il sogno che rifulse, sino agli ultimi anni di sua vita, innanzi agli occhi ammirati di F. Ozanam. ai.cru — egli scriveva ad un amico nel 1848 je crois enrore à la possibili/é de la dénzocratie chrétienne, je ne crois ménze à rien autre en matière de politique. Gli articoli pubblicati nello stesso anno sull’Ere nouvelle ci dicono quanto questa fede fosse profonda e quale alto grado di elevatezza avesse raggiunto. La Francia ch’egli amò e alla quale dedicò gran parte delle sue energie morali e intellettuali, seguì, coa grande rammarico degli uomini che ebbero comune la fede dell’Ozanam, vie diverse. I sensi di carità e di fratellanza andarono sempre più affievolendosi, quando più l’ostentazione filantropica e i proclami ufficiali pareva volessero svilupparli. La democrazia divenne, grado a grado, un teatro di esperienze per le prove di mestieranti senza idee, un amalgama di piccoli e bassi sentimenti sostituiti alla generosità, al disinteresse, all’attività e a tutte l( altre forme di capacità personale esaltate nelle antiche repubbliche. L’ideale dell’Ozanam era troppo alto e il suo sogno era troppo bello perchè gli uomini che immediatamente seguirono alla sua generazione potessero attuarlo. Ma non per questo gli uomini, che unito alla fede cristiana han vivo il senso di carità di patria e di pietà dei deboli, hanno rinunziato ad amarlo, come ultima meta delle loro aspirazioni sociali e politiche.

za. C’era nel suo amore qualcosa di- intimamente francescano. I luoghi e le cose inanimate lo attraggono e lo innamorano; il camposanto, il Duomo di Pisa, la campagna toscana, le antiche chiese dell’Umbria, hanno un brano del suo cuore. Egli passa con la viva coscienza di lasciare una parte di sè fra i monumenti dell’arte che conobbe e amò come pochi conobbero e amarono. Grande amarezza gli destò, negli ultimi anni di sua vita, l’atteggiamento che molti dei suoi compagni di fede assunsero di fronte alle vicende politiche dell’ora, quando l’elogiata alleanza del trono e dell’altare", piuttosto che frenare aveva aiutato il dilagare di una irreligione spaventosa, e ogni voltariano afflitto da qualche migliaio di lire di rendita voleva mandare tutti in chiesa, pur di non mettervi mai piede. L’uomo che aveva accolto con entusiasmo i primi atti del pontificato di Pio IX e che amò gl’ideali di G. Caponi, S. PC1lico, N. Tommaseo, ebbe un profondo senso di sconforto quando in patria e fuori riprese a imperversare, intaccando gl’interessi supremi della fede, il soffio della reazione. Il movimento di ritorno alla Chiesa, che aveva rallegrato la sua giovinezza, si andava rallentando, e una grande amarezza, venata di un’onda sottile di pessimismo, occupò il suo spirito. Il male inesorabile che doveva presto condurlo al sepolcro progrediva, ma i propositi di altri lavori e i dolci legami familiari lo univano alla vita quanto più esso avanzava e lo toglieva dalla medesima. Ed egli morì con la piena coscienza del sacrificio,’ sereno e rassegnato come colui che ha finito lavorando la sua giornata, obbediente alla voce del Padre Celeste, che lo chiamò nella pienezza della virilità, con in cuore le fiaccole ardenti della carità e della fede.....

Il Faraglìa in una serie di articoli pubblicati sulla «Rassegna Pugliese» e ora riuniti in volume, ci fa conoscere un momento tipico e singolarissimo della storia abruzzese, e insieme, di quella dell’ordine francescano che ad essa si rilega. Egli dopo avere con la molta armonica equibrata attività di storico, partecipato e non per la minor parte, al vivace moto di rinnovamento che dalla coltura napolitana si è propagato alla coltura nazionale, torna con questo studio alle buone memorie del suo Abruzzo, che con tanta tenerezza nostalgica ricordava nella prefazione al volume degli «studi storici delle cose abruzzesi». Con la sua tranquilla e ornata prosa egli ora ci riporta al quattrocento nostro, in mezzo a baroni tumultuosi e a fiere cittadinanze, che la religione ammanta, e la parola dei santi ristora e frena.

Passò lavorando e beneficando. La sua vita fu breve, ma sufficiente a sviluppare tutti i germi che arricchivano il suo spirito eletto, spirito veramente superiore e assai lontano dalle bassezze e dai raggiri della capitale. La sua vita fu come un’olocausto offerto con rinnovato fervore tutti i giorni sull’altare della Divinità. La rettitudine delle intenzioni fu pari alla nobiltà dei propositi, la sicurezza e la squisitezza dei sentimenti alla bellezza e alla bontà delle idee. Nel suo mondo interiore l’amore e la fede furono come l’aria e la luce. Il bisogno di vita intima, il bisogno di amare e di essere amato reclamarono sino alla morte un largo sodisfacimento, quale invero lo ottennero dai primi agli ultimi giorni della esisten Carmelo Caristia.

Memorie francescane in Abruzzo [p. 148 modifica]La città dell’Aquila era ancora vibrante del grande assedio, di cui l’aveva stretta per parte aragonese, Braccio da Montone. Sotto la tempesta delle genti braccesche gli aquilani avevano mostrato forza e serenità antica. Ridotti alla fame dall’implacabile nemico, esausti dalla bisogna continua delle scolte, delle sortite e degli allarmi, avevano sopportato tutto con animo grande. Le chiese aperte alimentavano le energie e la forza del sacrificio: umili fraticelli andavano in mezzo a tanto ferro, parlando la parola dell’evangelio. Tra la città e il campo di Braccio, alcuni di essi si aggiravano e uno fu di tanta suasiva parola da far sostare l’assalto,e tentare la pace. Forse fu S. Giovanni da Capistrano? Il grande santo, nato per portare la parola dello spirito in mezzo alla guerra, certo aveva il volere entusiastico e l’autorità irresistibile per tanto. Ma l’assedio continuò e la città eroica prevalse: e Braccio, vestito di scarlatto, morì di ferro sotto le sue mura. L’Aquila rimase ingrandita di fama e di nobiltà, ma ammiserita, depauperata, deserta dallo sforzo immenso. Nè la società circostante e contemporanea era in migliori condizioni. Se leggete qualcuno dei sermoni di San Bernardino da Siena, sarete, a tratti, fermati da pagine tremende, nelle quali è l’abbominio del santo per la dilagante ferocia e la immane corruttela dell’età. Sentitelo nel sermone XXV: a tradimenti, omicidi, incendi, tirannie, discordie, opposizioni, diffamazioni, rancori, odi, false accuse, divisione di amici, di consanguinei, divisione delle castella, delle terre, delle ville, l’imperio violato, donne uccise, uomini propaginati, arse le cose loro, squarciate le donne" pregnanti, uomini venduti, predate le ville H. E seguita la terribile enumerazione. Dentro questa tormenta si cacciarono gli uomini di Dio: la loro parola suonò sopra l’urlo della violenza, e la folla tumultuante si aprì dinanzi alla loro mansuetudine inerme. Veniva un uomo, un piccolo uomo bigio e agitava sulle folle mareggianti, e scosse da formidabili correnti di passioni, le grandi parole buone, di pace, di giustizia, di fede, di religione, di croce. Così San Bernardino andò in giro per tutta Italia, in Lombardia e in Toscana, nell’Umbria e nell’Abruzzo, a predicare e a pregare. Così S. Giovanni da Capístrano, che, giovane e lettore di diritto a Perugia, sfiduciato dalla lotta politica si fece cordigliero e seguì la via di san Bernardino. Ma fu più di frate Bernardino, di animo ardente, e di diritta energia: fu nell’assedio dell’Aquila, fu inquisitore dei fraticelli dell’Opinione, si frappose fra Lanciano e Ortona e pervenne a comporne la differenza secolare: si occupò degli ebrei, e fu inviato dal papa ambasciatore presso sovrani, e seguì eserciti contro gli infedeli. Ma attorno a queste figure di grande rilievo e di grande statura, altre ve ne erano minori ma insigni. Frate Antonio da Bitonto, frate Alberto da Sargiana, frate Roberto Caracciolo da Lecce, circolano in mezzo all’umanesimo trionfante, combattendo o arridendogli amici. Perchè dei due rami nei quali

si era diviso l’ordine francescano, i frati dell’Osservanza e i Conventuali di S. Francesco, i primi erano rigidi, severi, umili, amati dal popolo: i secondi sentivano, fin dentro la cella, l’aura del Rinascimento e non dimenticavano sotto ifsaio, la vita e lo splendore del mondo. Frate Roberto Caracciolo da Lecce, che era dei Conventuali, fu accademico pontaniano e amico del Pontano e del Galateo. Questi Conventuali erano amati dalla nobiltà. Ora tra l’altro il racconto del Faraglia, ci dà notizia di un episodio della rivalità accesa tra i due Ordini. Avvenne che nel maggio del mi Frate Bernardino da Siena morì nell’Aquila all’ora dei vesperi, che era la vigilia dell’Ascensione. Tutta la città si commosse. Ma i frati conventuali deliberarono occultamente di rimandare il cadavere a Siena, o al monastero della Capriola. Scopertolo il popolo, tolse ad essi il santo, lo portò in solenne processione al vescovado, lo tenne in custodia, lo guardò giorno e notte, gli costruì un’arca ferrata con dodici chiavi. Rimase come segno di pace per la città. E poichè le dissenzioni continuavano, si diffuse la nuova che le narici del Santo colavano sangue: tutti trassero a vedere il prodigio: e quietarono le male passioni. E intanto Frate Giovanni da Capistrano otteneva da Nicolò V la canonizzazione di Bernardino: nell’improvviso tripudio l’Aquila deliberò solennemente di levare una chiesa in onore del santo. Ma i conventuali indussero la Magnifica Camera, ad abbellire una cappella della loro chiesa, appoggiati dalla nobiltà, e guidati da Frate Roberto da Lecce. Con lettere fu data partecipazione del mutato proposito a Frate Giovanni, che era presso Federico imperatore, oltremonte. E frate Giovanni rispose. Abbiamo tutta la risposta ed è stupenda di impeto, di eloquenza, di veemenza. Ed è per noi interessantissima. Ricorda agli aquilani a edificano uno loco delli belli che siano in tutta l’Italia». Parla di sè stesso con tristezza accorata i io poverello vecchiarello in l’esempio di Verona e di Padova le quali stranee nationi». Lamenta che i signori aquilani abbiano dato ascolto ai conventuali, e tra l’uno e l’altro ardente periodo ci dà informazioni sui due generi di eloquenza di quei frati i Voi avete udito predicare santo Bernardino, Frate Alberto da Sarthiano, frate Jacobo della Marca, e molti altri nostri eccellenti predicatori, non però li avete veduti stare rapiti con tante altre ipocrisie, che basteria ormai che fossero diventate scimmie. Avete senza cagione disprezzato fra Antonio da Bitonto nobilissimo predicatore, avete chiamato non so chi altro...» Infine il pensiero cristiano e insieme del Rinascimento che ha animato e guidato i potenti e gli artisti a costruire le nostre grandi città religiose è qui espresso con ingenua e semplice potenza: a Farete più gloriosa la vostra città imperocchè la bellezza della città dei cristiani se denota etiam nelli belli templi ecclesie lochi de religiosi, secondo chi è stato in Florenzia, [p. 149 modifica]Venezia, e altre nobili citade de Italia ne po rendere testimonio». La lettera ardente cadde sulla città già irrequieta per questa disputa singolare. I signori seguivano i conventuali, il popolo i frati dell’osservanza, e reclamava a grande voce, la chiesa di San Bernardino, e il convento. La parola di frate Giovanni decise: quello che accadde quando essa fu ascoltata nella Città, lo raccontava, ragguagliandolo, frate Giacomo della Marca e frate Giovanni: E leggendo la prefata lettera a questo prefato popolo aquila-. no certamente Patre mio Reverendo tanta commozione de lacrime e di pianti io vidi nello detto popolo, che a narrartela mi manca la lingua e l’ingegno, massimamente quando tu sclamavi: io povero vecchiarello in estranee nazioni, ecc.». Si diede opera ai lavori. E la nuova della costruzione della chiesa si propagò dovunque portata dalla parola degli osservanti, perfino tra genti forestiere: dall’elenco delle oblazioni il. Faraglia riporta le offerte di un a messer Narcisi ways alamanno» e di una messer Cristofano esteter alamanno,. Interrotta da vicende varie, fu costruita la chiesa. e di questa costruzione. il Faraglia fissa, con ammirevole e itinuziosa pazienza, le varie fasi, e tutte le particolarità artistiche. La vecchia arca di ferro, che la città aveva apprestata pel corpo del Santo, fu sostituita da una argentea, che con calcolata munificenza diede Ludovico XI di Francia. Durò poco: perchè servì a placare il principe d’Oranges cne domandava danaro. In tempi migliori ne fu costruita un’altra pure di argento. Questa durò più dell’altra: ma nel 1799 i francesi rubarono anch’essa. Ora il corpo del santo è custodito in un’arca di legno, sormontata dall’aquila argentea che i francesi lasciarono, forse perchè allora avevano abbondanza di aquile.

Giuseppe Capograssi.