Il buon cuore - Anno XII, n. 17 - 26 aprile 1913/Educazione ed Istruzione

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Il buon cuore - Anno XII, n. 17 - 26 aprile 1913 Religione

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UNA CONVERSIONE

Perehè i monaci anglicani di Caldey
passarono in massa alla Chiesa di Roma

(Continuazione del num. precedente)



Questa lettera rappresenta in sostanza, i sentimenti della comunità benedettina di Caldey, quali prevalevano, in maggioranza, un anno fa. A quell’epoca essi non erano evidentemente decisi a una sottomissione alla Chiesa di Roma; già però annunciavano ai loro amici l’intenzione di pregare, lavorare e soffrire affinchè il peccato dello scisma fra l’Inghilterra e la Santa Sede potesse venir perdonato e la pace conclusa. La decisione del vescovo Gove fu certo il mezzo voluto dalla Provvidenza perchè i loro occhi avessero finalmente e interamente ad aprirsi. Ecco come un membro della Comunità scrive in proposito nelle sue note per il Capitolo: «Pare a me indubbio che la lettera recisa del vescovo Gove sia un cenno eloquente della volontà di Dio. Le condizioni che si vorrebbero imporre fin da ora (a parte quelle che ci si imporrebbero poi) implicano un mutamento completo della nostra fede, un pericolo radicale alla nostra vita di devozione. Quanti conoscono Caldey non possono certo credere che la nostra liturgia e la nostra devozione al SS. Sacramento siano semplici esteriorità di pratica, non essenziali alla nostra vita. Ad ogni modo noi sentiamo nel profondo dei nostri cuori che non possiamo abbandonarle senza troncar le radici stesse della nostra esistenza senza abdicare allo spirito stesso che informa la vita benedittina. Dio ci ha manifestato la sua volontà così chiaramente come se ci avesse inviato un angelo dal Cielo: noi non dobbiamo, d’altronde, esserne sorpresi in quanto che lo scopo delle nostre continue preghiere era apunto questo».

L’intera corrispondenza intercorsa fra l’abate Aelred e il vescovo Gove fu sottoposta alla Comunità ciascuno de’ membri fu richiesto di esprimere per iscritto la propria opinione sul da farsi. Le risposte risultarono, sostanzialmente, unanimi: tutti, cioè, furon concordi nel ritenere necessario respingere le condizioni del vescovo Gove e far pratiche per l’ammissione nella Chiesa di Roma, «la sola che potesse d’autorità sanzionare la loro opera e le loro pratiche di fede». L’abate Aelbred parlò quindi ai fratelli raccolti parole di commozione profonda, rendendo grazie a Dio per la luce largita ai loro intelletti e ai loro cuori. E concluse: «Mia più viva aspirazione fu sempre quella di ottenere una sanzione autorevole e sicura all’opera mia e alla nostra vita comune. È per questo che ho resistito finora. Ora Dio mi ha mostrato chiaramente il dovere da compiere ed io lo compirò intero e pronto. Sento che tutta la mia vita dipende oramai dalla mia sincera incondizionata sottomissione alla Chiesa Cattolica che, affidandomi da oggi alla guida dell’autorità suprema di Roma, io non faccio che compiere la volontà di Dio, promuovere la Sua gloria e il miglior berle vostro, fratelli carissimi, che mi circondate, uniti in una sola volontà con la mia».

Queste nobili parole non hanno bisogno certo di alcun commento. Esse spiegano e dimostrano le ragioni e la sincerità della decisione presa meglio d’ogni apologetica disserzione.

La lettera al vescovo Gove fu firmata da venti fratelli professi, quattro novizii e tre oblati. Per incarico dell’arcivescovo di Westeminster, un benedettino cattolico, il rev. Bede Cann, ha assunto intanto, temporaneamente le funzioni di abate e Aereld Carlyle si appresta a partire per Roma, di dove, dopo un noviziato di tre anni, ritornerà a Caldey come abate cattolico. [p. 130 modifica]Questa, in breve, la storia del tentativo di instaurazione monastica nel seno della chiesa protestante d’Inghilterra. Ora, com’è naturale e com’era da prevedersi gli anglicani strillano e la stampa ufficiosa se ne fa portavoce. Il «Guardian», per esempio, dichiara che tale conversazione ha avùto luogo «in circostanze che le tolgono Ogni valore e significazione». Tutto si riduce, secondo 15 ufficiosi anglicano, a una picca, per non aver il vescovo Gove permeSso, alla Comunità di seguire la propria strada. Se il vescovo avesse accettato di sanzionare le regole dell’ordine, i benedettini di Caldey sarebbero ancora anglicani. E vi par poco? Non si può risi ondere agevolmente che se il vescovo avesse sanzionato tali norme si sarebbe egli stesso posto fuori della Chiesa d’Inghilterra? Il «Chirch Times» in due separati articoli, accusa i monaci di Caldey di aver troppo precipitato la loro decisione (cosa che lo fa disperare del futuro) e nello stesso tempo condanna la Comunità per essere rimasta oltre un anno «indecisa sul da farsi». Dal che si vede come la coerenza non sia il pregio più fulgido di questi articoli, le cui accuse Si distruggono mutualmente... nella stessa pagina. I passi citati più sopra mi dispensario dal dimostrar di nuovo come la decisione presa dai monaci di Caldy sia stata tutt’altro che — a un colpo di te. sta improvviso n — e dopo quanta vigilia di meditazione e di preghiera essi abbiano aperto gli occhi alla verità, riconoscendo come il proprio ed unico posto confacente a monaci benedettini, in quanto seguaci di un santo cattolico, fedele fino alla morte alla Chiesa, non potesse essere altro che la grande comunità della. Chiesa cattolica. Che dire piuttosto della condotta di quei prelati anglicani che, pur di conservare in seno alla propria Chiesa individui chiama. ti a quella vita monastica contro cui la stessa Chiesa ha così a lungo combattuto «gladio et. igne», non si son peritati di incoraggiare, sistematicamente la credenza che le norme dell’ordine di S. Benedetto potessero trovar posto nella Chiesa d’Inghilterra? Quale più bella dimostrazione di questo ritorno alle fonti pure della vita da parte dei monaci anglicani a riprova che le norme dell’Ordine di S. Benedetto non possono venir osservate debitamente nella lettera, e nello spirito ove pur non si riconoscano e seguano le dottrine della Chiesa Cattolica e l’autorità della Santa Sede? RODOLFO RAMPOLDI.

A compimento di questo articolo, che dobbiamo al Corriere d’Italia, aggiungiamo una notizia con cifre eloquenti constatate dal Figaro, il quale, in un importante studio, esamina la situazione del cattolicesimo in Inghilterra e conclude: al principio del secolo non vi erano che ioo.000 cattolici; oggi ve ne sono 2.300.000.

La distribuzione ed il collocamento al lavoro degli emigranti italiani in America Chi frequenta i ponti di terza classe dei pirosCafi in servizio di emigrazione può farsi un’idea del modo in cui si fa l’avviamento al lavoro dei nostri emigranti. Si può generalmente constatare che buon numero di essi sono diretti ad un luogo determinato perchè vi hanno parenti o conoscenti; di questi la maggior parte va però in base a notizie più o meno vaghe; pochi solamente furono chiamati per un’occupazione determinata. Ve n’è sempre però una discreta proporzione di quelli che non vanno a trovare alcun conoscente in America; si decisero ad imbarcarsi per l’Argentina piuttosto che per gli Stati Uniti del Nord America, viceversa, per racconti uditi, perché colà andò un tale che trovò da farci bene; spesso fu consigliere un rappresentante della Compagnia di navigazione. Pochi di essi si decisero per un luogo piuttosto che per l’altro in seguito ad informazioni di Segretariati od altre istituzioni competenti. Tutti questi vanno più o meno alla ventura, e non è facile che a bordo trovino fra i compagni chi possa prometter loro sicuro aiuto. Vi sono anche quelli che furono altra volta in America; ma non è da credere che essi abbiano grandi vantaggi su chi vi va per la prima volta, tolta un po’ di conoscenza deì sistemi del paese e della lingua. Questa categoria è numerosissima in certe linee ed in certe epoche dell’anno; ad es.: dal novembre al gennaio sulle linee del Sud America specialmente per l’Argentina ove si recano per i raccolti agricoli. Così composta, fornita di viste assai indeterminate, la nostra massa emigratoria sbarca nei paesi di immigrazione. Coloro che sono chiamati da parenti o da amici — ed il cui numero si è venuto accrescendo a mano a mano che i nostri aggruppamenti coloniali si ingrandirono — trovata più o meno facilmente la via per raggiungerli (perchè non son rari coloro che, o per indirizzi errati o scritti in modo inverosimile, non riescono a rintracciarli), ricevono da essi un pezzo di terreno da lavorare, o sono avviati coll’appoggio loro in qualche mestiere, o collocati in fabbriche ed industrie, a seconda dei paesi. Più interessante a studiarsi è il modo in cui si fa la collocazione al lavoro di coloro che non hanno, sbarcando, persona e luogo prefisso cui dirigersi. Questi sono alla mercè di tutti i venti ed hanno bisogno di aiuto e di informazioni. Per compiere questa necessaria funzione di avviamento è sorta dappertutto una vera industria privata di mediazione, dal canto loro i Governi e le istituzioni sia locali, sia dei paesi di emigrazione, presero provvedimenti fondarono patronati ed uffici. [p. 131 modifica]Mediazione Privata.

In tutti i paesi dove si dirigono i nostri emigranti, è per ora l’industria privata della mediazione del lavoro che colloca il maggior numero di emigranti: è noto che si hanno in essa da lamentare gravi abusi e sfruttamenti. Chi compie tal funzione non è generalmente dedicato ad essa esclusivamente, ma cumula un insieme di servigi che possono riuscire utili all’emigrante: dal deposito alle rimesse di denaro in patria, alla compilazione della corrispondenza familiare: tali uffici funzionano in modo simile quasi dappertutto, negli Stati Uniti del Nord, come in Argentina. Per, lo più il locale si presenta come un ufficio di cambio o come un’agenzia di navigazione: ma tante volte sono albergatori e locandieri che esercitano quel mestiere come accessorio. Sono situati nei luoghi più adatti: a New York nel quartiere italiano; in Buenos Aires nel Paseo de Julio presso il porto. L’inganno sistematico su cui tali uffici si basano, trasparisce dalle insegne medesime che portano spesso il nome o di alcuna delle maggiori Compagnie di navigazione o di banche italiane, oinavvertibilmente modificato, in modo da far cadere in errore gli ignoranti; fuori tengono esposte grandi lavagne in cui sono elencate una quantità di richieste di lavoratori con a lato le rispettive mercedi e condizioni; è notorio che spesso tutte codeste indicazioni sono false, ma servono a meraviglia come richiamo. Ecco quanto ci scrive proprio in questi giorni sul Paseo de Julio, ora in pieno fervore di lavoro, il direttore del nostro Ufficio di Buenos Aires: a Il Paseo de Julio, tristamente famoso per le innume revoli agenzie di collocamento è veramente il principio del calvario che debbon salire i lavoratori. Bisogna vederli, come attratti dai numerosi manifesti richiedenti mano d’opera a condizioni. vantaggiose, affollano le agenzie sicuri di trovar lavoro, e sborsano dai 3 ai 5 pesos a seconda dell’importanza dell’impiego; e non pensano che simili manifesti altro non sono che veri specchietti per le allodole, cui scopo principale è adescare e truffare. Recentemente perfino il maggior giornale Argentino La Prensa, strenuo difensore dell’attuale Governo, si è visto costretto a pubblicare un rovente articolo col quale metteva in guardia i lavoratori contro i pericoli cui si espongono frequentando le agenzie di collocamento, ed invitava il Governo a porvi rimedio sia facendole chiudere, sia vigilandole da presso ed applicando loro rigorosamente le multe e le pene che gli spettano». I sistemi con cui queste agenzie speculano sui loro clienti sono oramai conosciuti: press’a poco sono gli stessi nel Nord e Sud America: si impiegano gli emigranti in un lavoro, dal quale dopo poco tempo saranno licenziati, e ciò per costringerli a tornare all’ufficio di collocamento a pagare una nuova commissione, che va divisa fra il mediatore ed i

capi-squadra dell’impresa; oppure si mandano a lavorare in luoghi lontanissimi e malsani, ove nessuna delle condizioni di lavoro prospettate dall’agente è mantenuta, quando pure non accade che, arrivato nel luogo designato, l’emigrante trovi che il lavoro indicato non esisteva affatto, e, data la distanza,’ neppure abbia la possibilità di reclamare. In generale quanto più critica è la situazione del mercato del lavoro e quanto più forte è la disoccupazione, tanto più crescono gli affari e gli introiti di codesti mediatori privati; è stupefacente come essi riescono a tenere a bada con ogni sorta di raggiri e di rimedi provvisori gli emigranti che cercano lavoro, ed a far pagare la commissione a tutti quelli che a loro si presentano, anche se non procurino loro l’impiego. Si constata che i mediatori lavorano fra gli emigranti della propria nazione; per i nostri italiani sono italiani, ed anzi per lo più sono gli stessi compaesani che compiono quella funzione; questi na tdralmente, ispirano maggior confidenza all’emigrante che ritrova in essi il dialetto, il modo di fare del suo paese. Del resto chi ha visto come si trovano incapaci di tutto tanti emigrati sbarcati di recente in terra straniera, come si trova spesso il cosiddetto recien llegado in Argentina, sa che, per certi riguardi, codesta gente è loro quasi necessatia; ciò non rende meno lamentabile il fatto che raramente il servizio di collocamento ed istradamento è fatto senza essere accompagnato da sfruttamento. istituti governativi e privati. Per impedire tali inconvenienti ed anche per promuovere migliore distribuzione sotto i singoli punti di vista, paesi di emigrazione e di immigrazione hanno voluto sia direttamente, sia per mezzo di istituzioni private di beneficenza, interessarsi a quel compito. Il collocamento al lavoro è infatti uno dei principali fra gli scopi che i Patronati italiani per glì emigranti ed anche le istituzioni simili americane si propongono; ma tutti questi istituti per ora riescono solo ad avvicinare e collocare una minima parte dei nostri connazionali. Negli Stati Uniti vi è la Division of infornzation istituita dal Governo Federale in New York; i suoi risultati nel collocamento degli immigranti in genere sono scarsissimi: lo stesso può dirsi degli altri uffici governativi nei vari Stati dell’Unione. E’ noto l’insuccesso dell’Ufficio del lavoro istituito dal Governo italiano in New York, pel quale si spendevano circa cento mila lire annue, avente lo scopo essenziale di informare e di indirizzare al lavoro i nostri emigranti. Si dovette chiudere dopo appena qualche anno di vita perchè troppo esiguo il numero dei lavoratori che vi si rivolgevano e che riusciva ad occupare. Un tentativo di collocamento con qualche risultato si sta facendo da,alcuni anni da parte del’Governo del Canadà, all’epoca dei raccolti, per mezzo del [p. 132 modifica]concentramento delle domande di lavoratori agli uffici delle stazioni ferroviarie, in base alle quali si fa la distribuzione degli immigranti in arrivo. In Brasile gli emigranti diretti agli Stati del Sud, ove risiedono le principali colonie italiane, eccettuati quelli diretti a S. Paolo di cui parleremo appresso, di regola sbarcano a Rio de Janeiro e di lì sono accompagnati nei vari Stati a spese del Governo Federale; talvolta, specialmente per l’addietro, si ebbero in tal servizio a lamentare abusi e sistemi di sopraffazione a carico degli emigranti per parte di imprese ed anche delle stesse autorità governative, a fine di indirizzarli ove faceva comodo a loro anzichè ove questi desideravano: ora si ha generalmente garanzia di ordine e d’altra parte il movimento dell’emigrazione italiana per quegli Stati meridionali da qualche anno è quasi nullo; pochi immigranti ví si recano isolatamente a raggiungere parenti. Peraltro non è molto tempo che qualche caso del genére si è verificato: ricordo che nell’agosto passato, quando mi trovavo a Florianopolis, vi giunse un gruppo numeroso di polacchi i quali erano stati colà trasportati invece che in Paranà, ove intendevano andare a ricongiungersi alle numerose colonie polacche colà stabilite: si voleva internarli in un nuovo nucleo coloniale recentemente aperto dallo Stato di Santa Caterina, ma per le energiche proteste dei medesimi non vi si riuscì. Gli emigranti diretti allo Stato di San Paolo invece, sbarcati a Santos, trovano nella vicina città di San Paolo la Hospedaria dos Inzmigreintes, stabilimento che oltre ad alloggiare gli emigranti di passaggio per l’interno, ha pure annesso l’ufficio di collocamento. E’ noto il turpe mercato che anni addietro si fece dei nostri emigranti in codesta Hospedaria, ove incaricati dei fazendeiros venivano a fare incetta di coloni offrendo condizioni di lavoro e di vita false ed ingannatrici senza dar garanzia alcuna. Attualmente le condizioni migliorate della coltura caffeifera dello Stato di S. Paolo fanno sì che non si possono più avverare turpitudini ed inganni così inumani nel collocamento al lavoro. Ma anche adesso codesto ufficio che è l’istituto massimo di collocazione al lavoro per lo Stato, ed frequentatissimo, benchè sia in mano del Governo, si potrebbe dire quasi che funzioni per conto dei fazendeiros; ed è molto problematico se le condizioni di lavoro che sono indicate nelle lavagne appese nell’ufficio, accanto alle sempre numerose domande di famiglie immigranti, siano sicuramente garantite e se non nascondano sgradite sorprese. E’ pur vero che il Governo di quello Stato da qualche tempo mostra di voler esser sollecito degli interessi dei lavoratori: da pochi mesi esso istituì un Patronato agricolo che ha per iscopo di intervenire nei conflitti fra padroni e lavoratori, e di difendere gli interessi di questi ultimi dinanzi ai tribunali: ma è troppo, poco tempo che questo ufficio fu istituito per potersi pronunziare sulla sua sincerità ed efficacia.

In Argentina, quel Governo ha recentemente terminato l’impianto di un nuovo Hotel de los Imniigrantes a Buenos Aires ed ultimamente anche di uno a Bahia Blanca. Codesti istituti destinati a ricevere l’emigrante in arrivo dall’Europa, al quale si fornisce alloggio e vitto gratuitamente per cinque giorni, possono far sembrare a chi non prosegue nell’interno della Repubblica, che in Argentina si sia ben provveduto alla sistemazione dell’emigrante. Ma purtroppo, detti istituti se ben rispondono alle funzioni di alloggio provvisorio, ecc., compiono in modo assolutamente inadeguato il collocamento al lavoro. Essi indirizzano gli emigranti in una provincia piuttosto che in altra in base alle informazioni di carattere generale che ricevono dai municipi, ma non inviano il lavoratore in una determinata azienda. Non è quindi da meravigliarsi se, con metodi sì vaghi non si ottiene alcun risultato soddisfacente, se si producono esuberanze di mano d’opera in qualche regione, e se degli emigranti che la direzione di immigrazione di Bahia Blanca istituita a tale scopo, indirizza nei territori del Sud, quasi nessuno vi si stabilisce. In quanto poi ai nostri Patronati e Segretariati, possiamo in linea generale affermare che, specialmente quelli Governativi, non hanno per la collocazione al lavoro, grande fortuna tanto in Nord come in Sud America.

Movimenti migratori successivi..

Lo studio della distribuzione e collocazione al lavoro dei nostri emigranti non può limitarsi a vedere come essi si collocano al loro arrivare nel paese di immigrazione; ma devesi pure tener conto dei continui movimenti e spostamenti di vario genere che si hanno nella mano d’opera già da tempo residente in America. In questi ulteriori movimenti migratori interni i lavoratori si trovano generalmente in condizioni meno difficili per la collocazione, che non quando arrivano: pertanto in molti casi entra sempre in giuoco la mediazione. Anche coloro che furon chiamati dai parenti non sempre si fermano definitivamente presso di loro, ma, ricevuto l’aiuto prezioso dell’avviamento nei primi tempi, cercano come collocarsi più vantaggiosamente. E’ continuo il movimento dei nostri operai negli Stati Uniti e dovunque, da lavoro a lavoro, tanto nelle industrie come nell’agricoltura: nei paesi poì ove i nostri emigranti temporanei si recano pel raccolto, per tutto il tempo che vi ’si trattengono non fanno altro che passare da un luogo all’altro: così è noto come in Argentina essi vadano dal Nord al Sud raccogliendo i prodotti che in tal senso vanno gradualmente maturando. In certe nostre colonie si hanno esempi di emigrazioni temporanee stazionali; ad es.: dalle colonie agricole italiane dello Stato di Santa Caterina ogni anno nei mesi d’inverno emigra la maggior parte dei giovani figli dei coloni, i quali si recano a [p. 133 modifica]lavorare nelle costruzioni di strade ferroviarie più prossime; qualche anno fa andavano alla ferrovia in costruzione lungo il Rio do Peixe, che va dal Rio Grande del. Sud a S. Paolo, ora si recano a lavorare in bracci di una ferrovia che si costruisce oltre Rio Negro fra gli Stati del Paranà e di Santa Caterina. Tale emigrazione è dovuta alla povertà di quelle colonie, nelle quali se il vitto è abbondante, manca tutto il resto, e circola poco denaro.