Il buon cuore - Anno XII, n. 13 - 29 marzo 1913/Religione

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Vangelo della 1a Domenica dopo Pasqua

Testo del Vangelo.

Giunta la sera di quel giorno, il primo della settimana, ed essendo chiuse le porte, dove erano congregati i discepoli per aura dei Giudei, venne Gesù e si stette in mezzo, e disse loro: Pace a voi, e detto questo, mostrò loro le sue mani e il costato. Si rallegrarono pertanto i discepoli al vedere il Signore. Disse loro di nuovo Gesù: Pace a voi: come mandò me il Padre, anch’io mando voi. E detto questo soffiò sopra di essi, e disse: Ricevete lo Spirito Santo: saranno rimessi i.peccati a chi li rimetterete; e saranno ritenuti a chi li riterrete. Ma Tommaso, uno dei dodici soprannominato Didimo, non si trovò con essi al venire di Gesù. Gli dissero però gli altri discepoli: Abbiamo veduto il Signore. Ma egli disse loro: Se non veggo nelle mani di lui la fessura dei chiodi, e non metto la mia mano nel suo costato, non credo. Otto giorni dopo di nuovo erano i discepoli in casa, e Tommaso con essi, ed entrò Gesù, essendo chiuse le porte, e si pose in mezzo e disse [p. 101 modifica]loro: Pace a voi. Quindi disse a Tommaso: Metti qua il tuo dito e osserva le mani mie, accosta la tua mano e mettila nel mio costanto: e non essere incredulo, ma fedele. Rispose Tommaso e dissegli: Signore mio, e Dio mio. Gli disse Gesù: Perchè tu hai veduto, o Tommaso, hai creduto: beati coloro che non hanno veduto, e hanno creduto. Gesù fece poi molti altri miracoli in presenza dèi suoi discepoli, che non sono registrati in questo libro. Questi poi sono stati registrati, affinchè crediate che Gesù è il Cristo Figliuolo di Dio, e affinchè credendo ottenghiate la vita nel nome di Lui.

— a non molte ore, giorni da quei moti generosi e gagliardi, il mondo, le passioni, i pregiudizi, l’ambiente, le colpe ci han tolto Cristo... Llian confinato giù giù nel penetrale più riposto del cuore, insieme fra i mille fremiti dello spirito. L’ideale buono, santo, così bello ha perso l’antica poesia, ha perso la suggestione, ci siamo indugiati, infiacchiti innanzi ad altre figure, allettamento, ideali e noi pure a Cristo — fatto peregrino ormai e forastiero al nostro spirito — gridiamo dolorosi... «Noi speravamo... D.

S. GIOVANNI, cap 20.

Pensieri.

Da notarsi la parola dolorosa dei due discepoli. Noi speriamo di quanto dolore nelle sante promesse del Redentore, quanto dolore in quelle anime buone desiderose di raggiungere quell’ideale che essi avevano conosciuto ed amato, e di cui ormai s’era fatto sera e tramonto completo. E lo sentono sì vivo il dolore, ne provano così acuta le spine che a tutto si confidano, a tutto lo van manifestando e si meravigliano come lui solo a Cristo sia e si trovi così peregrino e forastiero in Gerusalemme, da non essersi accorto nè di Cristo, nè dell’opere sue meravigliose, nè della bellezza della sua dottrina. Hanno dolore per lui che non ha goduto di Gesù, ma quasi l’invidiano perchè il loro amico non ha provato una grande disillusione... è così doloroso aver amato, aver vissuto un momento innanzi ad un ideale sublime, aver pianto sui trascorsi propri, aver gustato un sorso di vita buona, di vita santa di paradiso, di ciò che non è terra, umiliante, basso e... dover assistere al tramonto di tutto questo: rinunciare alla bellezza dopo aver intravvisto il raggio fulgente, rinunciare alla gloria dopo l’ebbrezza della sua onda festiva; rinunciare alla vita appena sorseggiatal... Così i discepoli d’Emmans ci riflettono assai bene. Jeri abbiamo fatto i nostri propositi. Innanzi ai dolori di Cristo, allo strazio della mamma sua, al freddo della sua tomba, alla gloria di lui risorto, quanto non abbiamo gioito! con qual premura frettolosa, con quanta facilità festosa fra i movimenti dello spirito uno, più ne spuntarono buoni e santi... come nei primi fenori si correva spediti, facili contro le armonie varie della fede, come era radiosa la speranza, come avressimo voluto negli slanci generbsi della carità perdonare, dimenticare, raccogliere, abbandonare tutto, tutto, tutto quanto era buono, era bello, era santo quaggiù... ma — forse oggi stesso

Santo •ed utile loro dolore, che muove a compassione Gesù, che non li lascia, che li istruisce cogli argomenti della fede, coi passi della scrittura, che loro mostra la strana diversità d’idee fra lui ed il mondo: Gesù che — mentre parla — tocca il loro cuore, da loro emozioni, sazia di carità, che li stanca del mondo, che li annoia del rumore assordante di Gerusalemme, che fa loro odiosa la prepotenza di sacerdoti indegni... Il loro cuore ardeva — ardens erat in no bis — ma i loro occhi erano ancora oculi eorum tenebantur: non conoscevano chiusi: Cristo, ne lo potevano gravati così di umanesimo che impediva il volo lassù. Ma quando Cristo spezza il pane benedetto, lo dà a mangiare, l’hanno gustato essi, lo riconoscono Gesù, Gesù di cui fan meraviglia nel riconoscerlo tanto tardi, che essi vogliono trattenere, voglion adorare, baciare, non staccarsi mai più. Anime di Cristo appassionato, che nei di scorsi avete pianto,addolorato alla sua tomba, gioito del suo trionfo, scioglietevi di quanto vi trattiene qui giù... Pascetevi di lui, dei suoi misteri, della sua Carne, del suo Sangue nei suoi Sacramenti... -anime, che gemete, conoscerete Gesù, non permetterete maí più che da noi si stacchi, da noi a cui la vita nón regala gioie e luce, ma illusioni, dolori e tenebre. Adresperaxit! B. R.

Il Cardinal RESPIGHI

L’uomo venerando che è spirato nella serenità augusta che sa conferire la fede, era una nobile ed esemplare figura di sacerdote e di Pastore cristiano. A Roma — che egli sapeva amare come una seconda. patria — aveva passato le ore più belle della giovinezza, quando dalla nativa Bologna era venuto al Seminario Pio per prepararsi degnamente all’esercizio del ministero sacerdotale. [p. 102 modifica]Nato il 22 settembre del 1843, entrava nel Seminario Pio il 23 dicembre del 1863 e offriva a Dio le speranze tutte della sua giovinezza vigorosa. I sette anni di permanenza a’ Roma, ove attese agli studi giuridici e teologici valsero a sviluppare in lui le energie potenti della sua vocazione spirituale e a cementare, mirabilmente, e a rendere feconda e consapevole quella semplicità schietta, quel senso lucido di dirittura e di sincerità, quella straordinaria capacità di disciplina interiore che erano i doni più caratteristici della sua natura. Compiuto il corso degli studi teologici e giuridici, fu ordinato suddiacono nel 1864, sacerdote e dottore in teologia nel 1867, dottore in ambe le leggi nel 1870, e ritornava il 22 agosto alla sua città nativa. Le memorie famigliari del Seminario Pio così segnano, con concisa semplicità, il suo congedo: «La sera di questo giorno — esse dicono — compiuto interamente il corso degli studi, e partito per Bologna, sua diocesi; la quale acquista in lui un sacerdote veramente stimabile per l’ingegno, per la soda dottrina, per la specchiata virtù dell’animo». Ed è certo — conclude auguralmente il diarista — che com’egli fu tra noi un utile prefetto di camerata, così potrà essere, neI campo del suo la.roro utilissimo ministro di verità. L’augurio doveva avverarsi: i germi di operosità e di vigoria che la Provvidenza aveva gettato nell’anima generosa, e che pazienza di studio e luce d’amore avevano meravigliosamente fecondato negli anni di Seminario, ebbero a prodigare ben presto frutti maturi di saggezza e di carità. Perchè la sua via era segnata, il suo apostolato ritrovava piena ed intatta la sua propria legge interiore: e tutto in lui doveva contribuire a moltiplicare i particolari talenti che il Signore aveva voluto affidargli: gli ardori del cuore, l’assiduità allo studio, i desideri dell’apostolato, tutto doveva contribuire a rendere sempre più feconde e sempre più attive le particolari doti dell’animo di lui, lo spirito della, serenità, cioè, e della semplicità evangelica, il senso vigile della rettitudine e della giustizia, la capacità squisita della commozione umana congiunta alla sicura prontezza della disciplina e della signoria di se medesimo. Tali le peculiari ricchezze dello spirito suo: tali le caratteristiche del suo temperamento che egli mai ebbe a rinnegare ma che, anzi, colla sincerità fervida della vita cristiana, contribuì a rendere più belle più generose di illuminata bontà. Caratteristiche queste che nel sacerdote promettevano il pastore eminente e l’uomo di governo. E alla promessa corrispose tutta la sua vita dagli anni primi della parrocchia della Pieve di Budrio ai tredici anni del Vicariato di Roma. Il cardinal Respighi amava rammentare con animo commosso i giorni del suo umile apostolato parrocchiale nella forte e bella terra della patria emiliana: e aveva sempre vivi nel cuore e nella memoria i ricordi, gli aneddoti, gli episodi, le rievocazio ni dell’umile e spesso sì dolorosa vita dei suoi parrocchiani: sulla quale egli sapeva colla rapida virtù intuitiva della sua anima, spendere tesori di carità e di saggezza squisita. E gli era caro ricordare questi primi anni di sacerdozio nei quali aveva provato le prime indimenticabili gioie del ministero, e aveva sperimentato quel senso alto e religioso della responsabilità e del dovere che in lui apparve straordinario. Il 20 dicembre 1891 il cardinal Lucido Maria Parocchi lo consacrava vescovo di Guastalla nella cappella delle Dame del S. Cuore, a Villa Lante, alle falde del Gianicolo. Destinato all’Arcivescovado di Ferrara, egli seppe adempiere degnamente alle funzioni del suo ufficio pastorale e volle anche, con la sua virtù- d’animatore e disciplinatrice, assecondare largamente la rigorosa azione cattolica di quella diocesi. Nel giugno del 1899 dal Santo Padre Leone XIII veniva creato Cardinale, e il 2 luglio prendeva solennemente possesso del titolo dei Santi Quattro Coronati. Non era passato neanche un anno che la augusta fiducia del Pontefice lo chiamava a succedere al cardinale Domenico Jacobini nel Vicariato di Roma. In quest’alta dignità, nella difficile complessità degli uffici che essa comprende, il card. Respighi portò intatta, genuina, inesauribile la generosità del suo cuorè, la schiettezza della sua energia.. Non ci è acconsentito di rievocare, anche brevemente in quest’ora, le vicende del suo governo, ma la storia dei suoi tredici anni di ministero pastorale appare, nella semplice struttura della sua coerenza, sì viva e sì, presente, che non si può anche, oggi, non riassumere in tutti i suoi aspetti molteplici. La disciplina del clero, il decoro del culto e del costume cristiano, la organizzazione dell’insegnamento popolare, l’attuazione pronta ed efficace delle riforme pontificie, tali furono i capisaldi del programma che egli fece suo; all’attuazione di esso egli amò di vedere congiunta colla sua propria sperimentata e prudente energia, la volontà giovanilmente operosa di mons. Faberi; all’attuazione di esso spese, colla visita pastorale, col quotidiano lavoro scrupolosamente adempiuto, quegli anni di piena maturità che dovevano essere, sventuratamente, gli ultimi della sua vita. Un male insidioso consumava sottilmente l’intima vitalità della fibra che pure era, naturalmente, fortissima e che pure soleva apparire, fino agli ultimi tempi, vigorosa e fiorente. Ma una cosa sopratutte egli seppe prodigare largamente nel buon cammino del suo ministero di pace: la cosa più bella del suo spirito, il più ricco fra i suoi doni: la bontà: la bontà grande, quella che non è pietà di deboli ma virtù di forti: la magnanimità. Il cardinal Respighi conobbe della magnanimità tutti i segreti’, tutte le dolcezze, ed anche, tutti i dolori: chi lo avesse osservato superficialmente non avrebbe compreso che un frammento dell’anima sua: la sensibilità squisita del cuore era custodita, gelosamente, dal cerchio aureo di una austerità severa, di [p. 103 modifica]un senso straordinario delle proprie responsabilità, di una capacità eccezionale di dominare se stesso, di temperare le espressioni visibili delle proprie commozioni interiori, di disciplinare, saldamente, militarmente — diremmo — l’attività dei propri sentimenti e della propria volontà. E davvero egli accettò come una milizia le fatiche del suo ministero e come un soldato visse la sua giornata mortale: del soldato ebbe, anzi, la semplicità, la rettitudine inflessibile e la inesausta, eppure segreta e quasi dissimulata dolcezza. Non è improbabile che alcune recenti sventure domestiche abbiano affrettato la morte di lui: eppure egli, nell’ora del dolore, apparve a tutti e per, tutti maestro di virile conforto: chi non ne avesse conosciuto l’affettuosa tenerezza che. gli si raccoglieva nel cuore, l’avrebbe giudicato insensibile. Tale il pastore buono oggi scomparso: tali i ricordi di cristiana bontà che, attorno alla sua salma, fioriscono rigogliosi, alimentati dalla unanime preghiera propiziatrice.