Nato il 22 settembre del 1843, entrava nel Seminario Pio il 23 dicembre del 1863 e offriva a Dio le
speranze tutte della sua giovinezza vigorosa. I sette
anni di permanenza a’ Roma, ove attese agli studi
giuridici e teologici valsero a sviluppare in lui le
energie potenti della sua vocazione spirituale e a cementare, mirabilmente, e a rendere feconda e consapevole quella semplicità schietta, quel senso lucido
di dirittura e di sincerità, quella straordinaria capacità di disciplina interiore che erano i doni più
caratteristici della sua natura.
Compiuto il corso degli studi teologici e giuridici,
fu ordinato suddiacono nel 1864, sacerdote e dottore
in teologia nel 1867, dottore in ambe le leggi nel
1870, e ritornava il 22 agosto alla sua città nativa.
Le memorie famigliari del Seminario Pio così segnano, con concisa semplicità, il suo congedo: «La
sera di questo giorno — esse dicono — compiuto
interamente il corso degli studi, e partito per Bologna, sua diocesi; la quale acquista in lui un sacerdote veramente stimabile per l’ingegno, per la soda
dottrina, per la specchiata virtù dell’animo». Ed
è certo — conclude auguralmente il diarista — che
com’egli fu tra noi un utile prefetto di camerata, così
potrà essere, neI campo del suo la.roro utilissimo ministro di verità.
L’augurio doveva avverarsi: i germi di operosità
e di vigoria che la Provvidenza aveva gettato nell’anima generosa, e che pazienza di studio e luce d’amore avevano meravigliosamente fecondato negli anni di Seminario, ebbero a prodigare ben presto frutti
maturi di saggezza e di carità.
Perchè la sua via era segnata, il suo apostolato
ritrovava piena ed intatta la sua propria legge interiore: e tutto in lui doveva contribuire a moltiplicare i particolari talenti che il Signore aveva voluto
affidargli: gli ardori del cuore, l’assiduità allo studio, i desideri dell’apostolato, tutto doveva contribuire a rendere sempre più feconde e sempre più attive le particolari doti dell’animo di lui, lo spirito
della, serenità, cioè, e della semplicità evangelica, il
senso vigile della rettitudine e della giustizia, la capacità squisita della commozione umana congiunta
alla sicura prontezza della disciplina e della signoria
di se medesimo.
Tali le peculiari ricchezze dello spirito suo: tali
le caratteristiche del suo temperamento che egli mai
ebbe a rinnegare ma che, anzi, colla sincerità fervida
della vita cristiana, contribuì a rendere più belle
più generose di illuminata bontà.
Caratteristiche queste che nel sacerdote promettevano il pastore eminente e l’uomo di governo. E alla
promessa corrispose tutta la sua vita dagli anni primi della parrocchia della Pieve di Budrio ai tredici
anni del Vicariato di Roma.
Il cardinal Respighi amava rammentare con animo commosso i giorni del suo umile apostolato parrocchiale nella forte e bella terra della patria emiliana: e aveva sempre vivi nel cuore e nella memoria i ricordi, gli aneddoti, gli episodi, le rievocazio
ni dell’umile e spesso sì dolorosa vita dei suoi parrocchiani: sulla quale egli sapeva colla rapida virtù
intuitiva della sua anima, spendere tesori di carità e
di saggezza squisita. E gli era caro ricordare questi
primi anni di sacerdozio nei quali aveva provato le
prime indimenticabili gioie del ministero, e aveva sperimentato quel senso alto e religioso della responsabilità e del dovere che in lui apparve straordinario.
Il 20 dicembre 1891 il cardinal Lucido Maria Parocchi lo consacrava vescovo di Guastalla nella cappella delle Dame del S. Cuore, a Villa Lante, alle
falde del Gianicolo. Destinato all’Arcivescovado di
Ferrara, egli seppe adempiere degnamente alle funzioni del suo ufficio pastorale e volle anche, con la
sua virtù- d’animatore e disciplinatrice, assecondare
largamente la rigorosa azione cattolica di quella diocesi.
Nel giugno del 1899 dal Santo Padre Leone XIII
veniva creato Cardinale, e il 2 luglio prendeva solennemente possesso del titolo dei Santi Quattro Coronati.
Non era passato neanche un anno che la augusta
fiducia del Pontefice lo chiamava a succedere al cardinale Domenico Jacobini nel Vicariato di Roma.
In quest’alta dignità, nella difficile complessità degli uffici che essa comprende, il card. Respighi portò
intatta, genuina, inesauribile la generosità del suo
cuorè, la schiettezza della sua energia..
Non ci è acconsentito di rievocare, anche brevemente in quest’ora, le vicende del suo governo, ma
la storia dei suoi tredici anni di ministero pastorale
appare, nella semplice struttura della sua coerenza,
sì viva e sì, presente, che non si può anche, oggi, non
riassumere in tutti i suoi aspetti molteplici.
La disciplina del clero, il decoro del culto e del
costume cristiano, la organizzazione dell’insegnamento popolare, l’attuazione pronta ed efficace delle
riforme pontificie, tali furono i capisaldi del programma che egli fece suo; all’attuazione di esso egli
amò di vedere congiunta colla sua propria sperimentata e prudente energia, la volontà giovanilmente
operosa di mons. Faberi; all’attuazione di esso spese,
colla visita pastorale, col quotidiano lavoro scrupolosamente adempiuto, quegli anni di piena maturità
che dovevano essere, sventuratamente, gli ultimi della sua vita. Un male insidioso consumava sottilmente
l’intima vitalità della fibra che pure era, naturalmente, fortissima e che pure soleva apparire, fino
agli ultimi tempi, vigorosa e fiorente.
Ma una cosa sopratutte egli seppe prodigare largamente nel buon cammino del suo ministero di pace:
la cosa più bella del suo spirito, il più ricco fra i
suoi doni: la bontà: la bontà grande, quella che non
è pietà di deboli ma virtù di forti: la magnanimità.
Il cardinal Respighi conobbe della magnanimità
tutti i segreti’, tutte le dolcezze, ed anche, tutti i dolori: chi lo avesse osservato superficialmente non avrebbe compreso che un frammento dell’anima sua:
la sensibilità squisita del cuore era custodita, gelosamente, dal cerchio aureo di una austerità severa, di