Il buon cuore - Anno XI, n. 25 - 22 giugno 1912/Religione

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Beneficenza Educazione ed Istruzione

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Vangelo della domenica quarta dopo Pentecoste


Testo del Vangelo.

Il Signore Gesù disse ai Farisei: Eravi un certo uomo ricco, il quale si vestiva di porpora e di bisso, e faceva ogni giorno sontuosi banchetti; ed travi un certo mendico, per nome Lazzaro, il quale pieno di piaghe, giaceva alla porta di lui, bramoso di satollarsi dei minuzzoli che cadevano dalla mensa del ricco, e niuno gliene dava; ma i cani andavano a leccargli le sue piaghe. Ora avvenne che il mendico morì, e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo. Morì anche il ricco, e fu sepolto nell’inferno. E alzando gli occhi suoi, essendo nei tormenti, vide da lungi Abramo, e Lazzaro nel suo seno, esclamò e disse: Padre Abramo, abbi misericordia di me, e manda Lazzaro che intinga la punta del suo dito nell’acqua per rinfrescare la mia lingua, imperocchè io sono tormentato in questa fiamma. E Abramo gli disse: Figliuolo, ricordati che tu hai ricevuto del bene nella tua vita, e Lazzaro similmente del male: adesso egli è consolato, e tu sei tormentato. E oltre tutto questo un grande abisso è posto tra noi e voi: onde chi vuol passare di qua a voi, nol può, nè da cotesto lungo tragittar fin qua. Egli gli disse: Io ti prego dunque, o padre, che tu lo mandi a casa di mio padre, imperocchè io ho cinque fratelli, perchè gli avverta di questo, acciocchè non vengano anch’essi in questo luogo di tormenti. E Abramo gli disse: Eglino hanno Mosè e i profeti; ascoltino quelli. Ma disse egli: No, Padre Abramo, ma se alcuno morto anderà ad essi faranno penitenza. Ed egli gli disse: Se non ascoltano Mosè e i profeti, nemmeno, se risuscitasse uno da morte, non crederanno.

S. LUCA, II, 16.


Pensieri.

In questa — che molti scrittori ritengono un fatto reale più che una parabola — Gesù non intese di darci delle idee nella questione economica: Egli ha sempre per primo l’insegnamento morale. Ciò non vieta di indovinare l’idee di Gesù riguardo al problema economico, problema che, senz’essere dei materialisti storici, è pur degno di considerazione, essendo nella vita dell’uomo e della società umana una delle parti più [p. 196 modifica]necessarie. È un problema serio, problema che meritava le parole di Cristo, quando vediamo intorno a questo affaticarsi gli uomini della scienza, insigni statisti, quando vediamo turbe d’uomini staccarsi dalla Chiesa col solo pretesto della libertà e del miglioramento economico. Una sola parola contro scuole diverse, scuole che — unilaterali — credono il giusto stare nel fatto creato come risultato di due forze contrarie ed in lotta, scuole ugualmente errate perchè viventi del proprio io sopra e contro il diritto vero e reale della collettività intera.

La ricchezza — diciamo noi — è un bene: è la più larga partecipazione di mezzi idonei e sufficienti alla nostra coltura scientifica, morale, all’umana perfezione: l’uso di questa forza, il suo piacere, il diletto — purchè ragionevole e limitato — è cosa buona e santa: uso che vieta e condanna il diritto nel ricco d’usare ed abusare dei suoi tesori per fini meno nobili, indegni. Il diritto d’usare ed abusare non si trova nel senso cristiano, poichè Dio volle nella creazione dare l’uso agli uomini delle cose create — in usum hominum — proibì d’ogni e qualsiasi cosa l’abuso.

Facile si vede la conclusione circa il dovere della ricchezza. Logica, conseguente, santo, più che il consiglio, il precetto divino: ciò che vi sopravanza distribuitelo ai poveri: non nel senso di trascurare le briciole che cadono dalla mensa a favore dei poveri, ma nel senso d’un obbligo preciso, che — usato di tutto quanto è necessario a noi, alla nostra sicurezza, di quanto occorra alla nostra perfezione completa — il resto, il superfluo debba usarsi a favore della perfezione altrui, questo che il Vangelo chiama i poveri.

Dove è adunque la colpa dell’Epulone? Non può essere certo nel ragionevole piacere provato alla vista del largo ed abbondante raccolto, no, non già: sta in ciò che mentre era suo obbligo — ringraziato Dio — pensare alle miserie che l’assediavano alla porta, egli pensa a distruggere gli angusti granai antecedenti, pensa ed invita l’anima sua non allo sforzo generoso d’una miglior coltura morale, ma pensa e l’invita a banchettare, darsi bel tempo ad abusare, dirò così, del dono di Dio: quel dono, quella munificenza largitagli dal Signore veniva meno al suo scopo, deviava dal retto fine, veniva ad essere in mano di quello sciagurato un’offesa del donatore celeste.

Non era ingiuria la spensieratezza di quel signore, la sua esagerata ed egoistica preoccupazione, quando a pochi passi da lui, alla sua porta gemeva il povero Lazzaro? Non era ingiuria il byssino di cui si vestiva l’Epulone innanzi al corpo ignudo di Lazzaro martoriato dal freddo? Non era ingiuria il lauto e suntuoso banchetto quotidiano di lui, mentre Lazzaro chiedeva le miche che cadevano dalla tavola, mentre le contendeva ai cani, mentre l’urla della fame, lo strazio delle piaghe venivano soffocate dalle grasse risa dei banchettanti e le piaghe alleviate solo dalla pietà dei cani? Era uso lecito questo delle sue ricchezze? Non è il criterio mondano una simile vita? Non è l’abuso ingiuria a Dio un simile sperpero, non è provocazione, grave villania verso chi geme e soffre, dei fratelli indigenti?

Cristo lo condanna all’inferno: Gesù reputa un delitto grave, degno d’una eternità di pene, tale abuso dei doni di Dio.

Dovrei passarmela assai breve in questa parte ultima. Non è il caso di passarli in rassegna i molti Lazzari, troppi di numero e di grave miseria che — più che d’attorno — ci stringono e ci soffocano. Ma non parlo solo della miseria che consiste nella mancanza del necessario, no, no. Ognuno che ha cuore maledice — senz’essere dei cosiddetti partiti-monopolio della carità — una società come l’attuale, che tollera bassezze tali e indigenze spaventevoli, alle quali insufficientemente soccorre la carità cristiana delle conferenze, le pie istituzioni: alle quali insulta la filantropia pettegola e rumorosa. No! intorno a noi infinite sono le miserie morali nella nostra società.

Il poco oro affluito in poche privilegiate mani ha lasciato la gran parte degli uomini desiderosi di lui... ma se non l’oro — mezzo di assai limitata potenza — Dio ci ha dato la gran ricchezza della scienza, della virtù, della mente, del cuore. Alle nostre porte, innanzi a noi — fortunati sotto questa assai miglior ricchezza, si stendono milioni di mendici assetati di vero, di virtù, di bontà...., sono Lazzari sgraziati che maledicono il vero, la virtù, la bontà che mai conobbero, maledicono il Cristo — solo grande ricchezza — perchè noi mai l’abbiamo mostrato qual’Egli è. L’hanno visto attraverso e solo pei nostri difetti, con questi lo confusero, lo maledicono per questo. Quegli sgraziati non l’amarono perchè non lo conobbero: verso di loro, delle loro piaghe mai si curarono gli Epuloni odierni...., solo di loro presero pietà i cani, quella falsa carità mondana che lambisce ma non guarisce le piaghe dolorose. E noi?

B. R.

La nuova Chiesa dei PP. Camilliani

Queste antiche conoscenze, questi vecchi amici di Milano nostra, stanno per farci la gradita sorpresa di una Chiesa nuova — regalo tanto più prezioso in quanto ha un valore intrinseco artistico non comune, ed in quanto anche la detta Chiesa fu costruita in una località che ne abbisognava, in Via R. Boscovich, 25, oltre la stazione centrale.

Tornati fra noi nel 1895, dopo quasi una secolare interruzione di convivenza — furono allontanati nel 1779 dalla nota soppressione delle leggi cisalpine — ripresero a sviluppare il loro così umanitario programma di ministri degli infermi, con tale pacata naturalezza, come se fossero stati assenti per pochi giorni per correre ad esercitare opere più urgenti di carità altrove. E ci vennero da Verona capo-luogo della loro provincia Lombardo-Veneta, essa pure di recente [p. 197 modifica]risurrezione, come quella che venne fondata dal sacerdote Cesare Bresciani nel 1842.

Come dicemmo, i PP. Camilliani sono nostri vecchi amici dell’ora più critica. Istituiti da S. Camillo de Lellis (nato a Bucchianico «Chieti» nel 1550) col consiglio e favore di S. Filippo Neri, da Roma passarono presto a Milano inviativi dello stesso Fondatore che indi a non molto li raggiungeva, venendovi egli in persona.

«Con santa simplicità e modestia — narra Domenico Regi nelle «Memorie Istoriche» di questa sua Religione — si insinuarono così da sè a consolare, ed a servire i molti Infermi, che sempre in quello Spedale Maggiore si trovano, senza ombra veruna d’interesse, rifacendone i letti, aiutandoli a ben morire, pregando per essi, ed in quello tutto che vedevano poterli giovare; ciò finito, si ritiravano fuori all’albergo, dove si reficiavano essi e riposavano alquanto. Questo loro pro. cedere, ed ogni altro loro buon esempio che vennero a dare, ben presto colla edificazione tirando gli occhi a sè, ne guadagnò l’affetto dei Signori Deputati i quali, conoscendo molto profiquo alle anime ed al servizio degli Infermi il ministerio di questi Padri, vollero ad ogni modo che si trasferissero a stanziare continuamente nel detto sacro loco in comodo appartamento.

Ed acciocchè non avessero occasione di distraersi dal ministrare ai poveri con dover andar mendicando il vitto per sostentarsi, detti Signori quotidianamente cominciarono a dare le sufficienti limosine al loro mantenimento. Indi a poco vennero pur benignamente accolti e canonicamente ricevuti in questo primario Arcivescovado d’Italia dal degnissimo successore del Cardinale S. Carlo Borromeo, Monsignor Gasparo Visconti, ed allora (verso il 1594) fu assegnata una piccola Chiesa ai Padri in Porta Vercellina per quelli che non stanziavano nello Spedale, acciocchè ivi uffiziando, potessero poi accorrere a raccomandare al Signore le anime dei fedeli agonizzanti, dove fu lasciato dal Ven. P. Fondatore il P. Francesco Antonio Nigli. Fu pertanto a questi Padri assegnata la Chiesa di S. Maria Annunziata posta in Porta Vercellina sopra la piazza Borromea, contigua alla Chiesa Parrocchiale, ora Collegiata di S. Maria Podone.

Fu pure data loro in possesso un’altra assai comoda casa dall’altro lato della strada dai Deputati dello Spedale per benemerenze di assistenza agli ammalati. Dal Card. Federico Borromeo avocato a sè l’uso della Chiesa dell’Annunziata, i Camilliani si trasferirono nell’altra casa oltre la strada, ed avendovi disposta una assai ampia stanza ad uso Oratorio, vi si posero ad uffiziare. Fecero poi istanza presso Urbano VIII, a mezzo del nipote Card. Francesco Barberino, per aprire una Chiesa pubblica in Milano, che finirono di aprire in Via Durini, presso il palazzo ivi compratovi per 60.000 lire. Si amplificò alquanto la detta Chiesa. Nella peste del 1630 servirono gli appestati nel Lazzaretto e a domicilio. Dopo quest’epoca si ritirarono dall’Ospedale essendo entrati invece loro i Cappuccini. Nel 1708 cominciarono a far alzare una nuova Chiesa per sostituire l’antica troppo angusta; assai vasta, di forma ovale con facciata a mattone scoperto, l’attuale Chiesa dei Crociferi, con pitture del Maggi nel centro della volta»1. Ma anche di qui, come sopra si è detto, sloggiarono nel 1799 per restare assenti da Milano fino al 1895.

Ma dacchè tornarono fra noi, or fa diciasette anni, i PP. Camilliani poterono talmente affermarsi che una statistica dello scorso anno ci dà: 820 assistenze a domicilio giorno e notte; 1100 assistenze notturne; 540 assistenze diurne; e 150 assistenze con Messa nella stanza degli infermi celebrata da sacerdoti membri dell’Ordine per il raro privilegio dell’Altare portatile concesso loro da Pio X nel 1905. Poterono talmente affermarsi da sentire imperioso il bisogno di lasciare la Cappella pubblica annessa alla loro casa in via Boscovich, 25, ed erigere la Chiesa ampia, artistica e pubblica che verrà inaugurata il mese venturo.

Questa Chiesa, incominciata nel 1900 dal benemerito Superiore d’allora P. Matteo Sommavilla, è su disegno dell’ormai distinto architetto Spirito Maria Chiappetta (ma ostinato a tenersi rigido in una modestia troppo timida, quasi di fanciulla! — è la collera dell’amicizia dell’amore che mi fa parlare). Esso già si era attirato entusiastica ammirazione colla sua Cappella dell’Istituto Grimm in stile gotico, tutta un magico ricamo, un merletto di fata, tanto in armonia coll’elemento gentile che la possiede.

Della Chiesa dei PP. Camilliani erano stati preparati, da diversi architetti, tre progetti, e sottoposti a Pio X; che personalmente fece cadere le sue preferenze su quello dell’architetto Chiappetta, raccomandandolo, benedicendolo con speciale effusione.

È in stile gotico, ma lavorato colla genialità italiana, col segreto eccezionalissimo che il Chiappetta possiede nel trattare questo genere di stile architettonico.

Ed è presto detto in che consiste: nel dare cioè il massimo di eleganza, di slancio, di leggerezza, di sfogo, di vaporosità trasparente ad una costruzione che per se stessa è cupa, pesante, parlante un misticismo che schiaccia.

Per quanto le finestre debbano essere chiuse da invetriate a colori rappresentanti un esercito di santi che concorreranno a popolare quel sacro ambiente insieme alle 2500 persone di cui è capace, tuttavia, sono e così numerose e tanto slanciate ed esili, in una gara di fuga verso il cielo assieme ai pilastri a fascio, tutto un miracolo di sottigliezza da dare un senso di vertigine di paura. I capitelli del doppio colonnato sostenente i matronei, le balaustre che proteggono, e l’ornamentazione a svolazzi di fantasia complessa, esuberante che appare nel vano d’ogni arco acuto, le ardite nervature della volta, che dal centro si slanciano in fuga fino alla sua estremità, sono quanto di più ricco, di più fantasioso ed elegante e leggero può darsi in fatto di tali elementi architettonici. C’è da trattenere il respiro per contemplare e bearsi in tante forme di bellezza. È facile rilevare che una mano appassionata di artista vi vegliò [p. 198 modifica]a lungo, l’accarezzò in uno spasimo creatore, vi si indugiò e compiacque come in una di quelle supreme voluttà che fanno dimenticare ogni altro piacere e gioia. L’abside sarà naturalmente il punto centrale ove convergano occhi è cuore. Al piano della Chiesa sorgerà un modesto altare; ma più in alto, e sempre entro l’abside, si aprirà una nicchia ampia ad accogliere un artistico altare in stile gotico, d’una stupefacente ricchezza recante nel centro l’immagine della Madonna della Salute che il pittore Cisterna andò appositamente a copiare a Roma dall’originale della Casa Madre.

La torre delle campane sorgerà sopra la facciata principale, alla maniera francese.

Originalissima la cupola della Chiesa, il cui cielo sarà un’ampia vetrata a colori da potersi illuminare a luce elettrica.

La forma della Chiesa è quella a croce latina, ma la periferia non è un rettilineo perfetto, sibbene poligonale; è lunga metri 39, larga all’incrocio 25, alta 15.

Per essere un dono di privati, Milano può ben ralgrarsi di avere una tal Chiesa di più....

  1. V. Memorie Storiche dei Camilliani del P. Domenico Regi. V. pure F. Valente: I. PP. Camilliani a Milano e M. Endrizzi: Memorie edificanti dei PP. Camilliani in Milano.