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196 IL BUON CUORE


cessarie. È un problema serio, problema che meritava le parole di Cristo, quando vediamo intorno a questo affaticarsi gli uomini della scienza, insigni statisti, quando vediamo turbe d’uomini staccarsi dalla Chiesa col solo pretesto della libertà e del miglioramento economico. Una sola parola contro scuole diverse, scuole che — unilaterali — credono il giusto stare nel fatto creato come risultato di due forze contrarie ed in lotta, scuole ugualmente errate perchè viventi del proprio io sopra e contro il diritto vero e reale della collettività intera.

La ricchezza — diciamo noi — è un bene: è la più larga partecipazione di mezzi idonei e sufficienti alla nostra coltura scientifica, morale, all’umana perfezione: l’uso di questa forza, il suo piacere, il diletto — purchè ragionevole e limitato — è cosa buona e santa: uso che vieta e condanna il diritto nel ricco d’usare ed abusare dei suoi tesori per fini meno nobili, indegni. Il diritto d’usare ed abusare non si trova nel senso cristiano, poichè Dio volle nella creazione dare l’uso agli uomini delle cose create — in usum hominum — proibì d’ogni e qualsiasi cosa l’abuso.

Facile si vede la conclusione circa il dovere della ricchezza. Logica, conseguente, santo, più che il consiglio, il precetto divino: ciò che vi sopravanza distribuitelo ai poveri: non nel senso di trascurare le briciole che cadono dalla mensa a favore dei poveri, ma nel senso d’un obbligo preciso, che — usato di tutto quanto è necessario a noi, alla nostra sicurezza, di quanto occorra alla nostra perfezione completa — il resto, il superfluo debba usarsi a favore della perfezione altrui, questo che il Vangelo chiama i poveri.

Dove è adunque la colpa dell’Epulone? Non può essere certo nel ragionevole piacere provato alla vista del largo ed abbondante raccolto, no, non già: sta in ciò che mentre era suo obbligo — ringraziato Dio — pensare alle miserie che l’assediavano alla porta, egli pensa a distruggere gli angusti granai antecedenti, pensa ed invita l’anima sua non allo sforzo generoso d’una miglior coltura morale, ma pensa e l’invita a banchettare, darsi bel tempo ad abusare, dirò così, del dono di Dio: quel dono, quella munificenza largitagli dal Signore veniva meno al suo scopo, deviava dal retto fine, veniva ad essere in mano di quello sciagurato un’offesa del donatore celeste.

Non era ingiuria la spensieratezza di quel signore, la sua esagerata ed egoistica preoccupazione, quando a pochi passi da lui, alla sua porta gemeva il povero Lazzaro? Non era ingiuria il byssino di cui si vestiva l’Epulone innanzi al corpo ignudo di Lazzaro martoriato dal freddo? Non era ingiuria il lauto e suntuoso banchetto quotidiano di lui, mentre Lazzaro chiedeva le miche che cadevano dalla tavola, mentre le contendeva ai cani, mentre l’urla della fame, lo strazio delle piaghe venivano soffocate dalle grasse risa dei banchettanti e le piaghe alleviate solo dalla pietà dei cani? Era uso lecito questo delle sue ricchezze? Non è il criterio mondano una simile vita? Non è l’abuso ingiuria a Dio un simile sperpero, non è provocazione,
grave villania verso chi geme e soffre, dei fratelli indigenti?

Cristo lo condanna all’inferno: Gesù reputa un delitto grave, degno d’una eternità di pene, tale abuso dei doni di Dio.

Dovrei passarmela assai breve in questa parte ultima. Non è il caso di passarli in rassegna i molti Lazzari, troppi di numero e di grave miseria che — più che d’attorno — ci stringono e ci soffocano. Ma non parlo solo della miseria che consiste nella mancanza del necessario, no, no. Ognuno che ha cuore maledice — senz’essere dei cosidetti partiti-monopolio della carità — una società come l’attuale, che tollera bassezze tali e indigenze spaventevoli, alle quali insufficientemente soccorre la carità cristiana delle conferenze, le pie istituzioni: alle quali insulta la filantropia pettegola e rumorosa. No! intorno a noi infinite sono le miserie morali nella nostra società.

Il poco oro affluito in poche privilegiate mani ha lasciato la gran parte degli uomini desiderosi di lui... ma se non l’oro — mezzo di assai limitata potenza — Dio ci ha dato la gran ricchezza della scienza, della virtù, della mente, del cuore. Alle nostre porte, innanzi a noi — fortunati sotto questa assai miglior ricchezza, si stendono milioni di mendici assetati di vero, di virtù, di bontà...., sono Lazzari sgraziati che maledicono il vero, la virtù, la bontà che mai conobbero, maledicono il Cristo — solo grande ricchezza — perchè noi mai l’abbiamo mostrato qual’Egli è. L’hanno visto attraverso e solo pei nostri difetti, con questi lo confusero, lo maledicono per questo. Quegli sgraziati non l’amarono perchè non lo conobbero: verso di loro, delle loro piaghe mai si curarono gli Epuloni odierni...., solo di loro presero pietà i cani, quella falsa carità mondana che lambisce ma non guarisce le piaghe dolorose. E noi?

B. R.

La nuova Chiesa dei PP. Camilliani

Queste antiche conoscenze, questi vecchi amici di Milano nostra, stanno per farci la gradita sorpresa di una Chiesa nuova — regalo tanto più prezioso in quanto ha un valore intrinseco artistico non comune, ed in quanto anche la detta Chiesa fu costruita in una località che ne abbisognava, in Via R. Boscovich, 25, oltre la stazione centrale.

Tornati fra noi nel 1895, dopo quasi una secolare interruzione di convivenza — furono allontanati nel 1779 dalla nota soppressione delle leggi cisalpine — ripresero a sviluppare il loro così umanitario programma di ministri degli infermi, con tale pacata naturalezza, come se fossero stati assenti per pochi giorni per correre ad esercitare opere più urgenti di carità altrove. E ci vennero da Verona copo-luogo della loro provincia Lombardo-Veneta, essa pure di recente ri-