Il buon cuore - Anno XI, n. 25 - 22 giugno 1912/Educazione ed Istruzione

Educazione ed Istruzione

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Religione Società Amici del bene

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Carteggio di Alessandro Manzoni

a cura di

Giovanni Sforza e di Giuseppe Gallavresi

Lungamente attesa, quest’edizione costituisce un vero avvenimento. Per gran tempo era invalsa l’erronea credenza che il Manzoni avesse scritto poche lettere e che quelle poche fossero di ben scarsa rilevanza agli occhi del critico. Tale opinione non poteva essere efficacemente smentita coi fatti finchè la miglior parte delle lettere manzoniane rimaneva sconosciuta. Il Bonghi aveva bensì annunciato, tosto dopo la morte del suo grande Maestro, ch’ei si sarebbe accinto alla pia e cara fatica di raccoglierne il carteggio.

Al Bonghi, distratto da altre molteplici cure, si era sostituito Giovanni Sforza, che si provò nel 1875 e nel 1882 a darci un saggio del prezioso epistolario. A sua volta lo Sforza, chiamato all’alto e geloso ufficio di Sovrintendente dei reali archivi del Piemonte, affidò il materiale ch’era venuto adunando, al prof. Giuseppe Gallavresi. Questi si è proposto di offrire, riprendendo e completando l’opera del provetto collaboratore, una edizione del Carteggio, condotta, quando appena fosse possibile, sugli autografi, o almeno su copie sicure. Il testo fu oggetto pertanto delle maggiori sollecitudini, essendo stato riveduto e collazionato per intero, ed indicandosene via via le fonti. L’annotazione, lungi dal pretendere a commenti morali ed estetici, non si prefisse che l’interpretazione delle lettere, mirando sopratutto ed identificare i luoghi e le persone citate.

La prima parte del Carteggio abbraccia si può dire l’intera giovinezza di Alessandro Manzoni, sino al 1821 e comprende ben 285 lettere. Nella serie ebbero luogo alcune poche reciproche di Vincenzo Monti, di Claudio Fauriel, di Ermes Visconti, della marchesa di Condorcet, del marchese Cesare d’Azeglio, di Charles Loyson, degli zii del Manzoni don Michele De Blasco e marchese Giulio Beccaria. Alquanto più numerose, e contraddistinte anch’esse da diverso carattere, sono lettere collaterali scambiate tra gli amici ed i congiunti del Manzoni e tali da irradiare nuova luce su moltissimi punti della vita di lui per i quali non soccorrono le sue stesse lettere.

Al primo manipolo della corrispondenza del Manzoni col Fauriel edito primieramente dal De Gubernatis, un nuovo preziosissimo fascio fu potuto aggiungere dal Gallavresi in seguito a fortunate ricerche nella Biblioteca dell’Istituto di Francia. Nella capitale francese gli fu dato di porre le mani su documenti rivelatori di mal note fasi della conversione del Manzoni alla vita cattolica, che avvenne sotto gli auspici dei Giansenisti.

Or è appunto dalle carte di uno dei maggiori rappresentanti di quel cenacolo religioso, don Eustachio Degola, che a questa prima vera edizione del Carteggio vennero utilissimi contributi. Si dischiusero del pari per la prima volta i preziosi depositi conservati dalle nipoti del Manzoni a Brusuglio, dai cugini di donna Enrichetta Manzoni Biondi e da parecchi privati raccoglitori. Altre porte, già appena dischiuse, come quelle della Raccolta Manzoniana di Brera, della Queriniana di Brescia, della Comunale di Zurigo, della Biblioteca della Sorbona, si spalancarono ormai di fronte alle metodiche indagini, dalle quali deriva quest’edizione definitiva, veramente interessante.

L’accennar così alle origini varie ed inattese dei tesori contenuti nella prima parte del Carteggio, basta a far comprendere ad ogni persona colta il grande valore della presente pubblicazione per la storia delle lettere italiane. Il Manzoni, vieppiù riservato nel tenor di vita e schivo da ogni contatto col gran pubblico, si rivela qui nelle sue più immediate, spontanee e libere manifestazioni. È una inestimabile materia ad osservazioni psicologiche.

Il volume, molto accuratamente stampato, va adorno di due fac-simili di lettere conservate nella Biblioteca Ambrosiana, e di una dozzina di ritratti dei principali corrispondenti, che figurano in questa prima parte del Carteggio. Un minutissimo indice alfabetico ed analitico agevola agli studiosi l’uso di un’opera destinata a divenire rapidamente un testo di lingua che non potrà mancare in alcuna biblioteca italiana.

Il complesso e i particolari di questa importantissima raccolta devono suscitare l’ammirazione di tutti gli studiosi, i quali apprezzeranno specialmente l’immane lavoro compiuto con intelligenza, pazienza e perseveranza dal prof. cav. Giuseppe Gallavresi, giovane dotto quant’altri mai e sospinto dalle più nobili energie.

L’editore Hoepli può compiacersi di questa sua edizione, che avrà una continuazione sempre più interessante.


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RITAGLI DI STORIA

Le carte da giuoco.

Chi sia stato l’inventore della carta da giuoco è impossibile il precisarlo. Certo è che in Italia comparvero nel sec. XIV importate a Venezia e Firenze dai profughi di Costantinopoli. In Francia non si diffusero che due secoli dopo sotto il regno di Carlo VI per opera del celebre pittore Saquemin Gringonneur, il quale ne dipinse un giuoco allo scopo di ricreare i lucidi intervalli nella demenza del suo sovrano, il che gli fruttò dall’erario francese un lauto compenso.

Quantunque il Saquemin Gringonneur, non sia stato l’inventore, come per lungo tempo si credette, fu tuttavia un innovatore geniale che diede l’impronta sistematica al giuoco, quale lo si conserva oggidì, variando sostanzialmente le carte dagli esemplari che prima di lui esistevano.

Il giuoco doveva raffigurare la guerra, i suoi tarocchi portavano quindi l’impronta di quattro re, raffiguranti le grandi monarchie: Alessandro Magno, Cesare Augusto, Carlo Magno, Davide (raffigurante però Carlo VII il re di Francia). Le quattro dame raffiguravano quella da fiori, la sposa di Carlo VII Maria Pia; quella di picche, la Pulzella d’Orleans; quella di quadri, Agnese Sorel; di cuori Isabella di Baviera. I quattro fanti o valletti raffiguravano quattro guerrieri: Oggero e Lancilotto della leggenda antica; Ettore di Gallard e La Hire della storia contemporanea. Delle altre figure il valore era fittizio e vario, fermo però sempre il senso allegorico di bravura, nei cuori; armi, nelle picche e nei quadri; viveri, nei fiori e danaro (fattore principale in guerra) nell’asse.

Così si conservano le carte da giuoco in Alemagna, e con poche modifiche quasi dappertutto. La moda delle due teste una all’insù l’altra all’ingiù dei re, regine, fanti, ecc. non fu introdotta che per comodità del giocatore, per non costringerlo a voltare la carta quando si trovasse in mano la figura rovesciata.

Come fa il giornale americano

per informare rapidamente i suoi lettori

Uno dei fatti e non dei meno interessanti, avvenuti al momento dell’assassinio di Mac Kinley, fu la rapidità vertiginosa con la quale il pubblico americano fu tenuto informato. Non era ancora trascorsa un’ora da quando i due colpi di revolver di Buffalo erano stati sparati, che già l’ultimo dei commercianti e dei businesmen di Nuova York e di Brooklin conosceva, per mezzo dei giornali, il dramma in tutti i suoi particolari.

A spiegare mediante quali miracoli di attività si sia potuto ottenere un simile grandioso risultato, il Matin racconta, sulla scorta di un testimonio oculare, la scena che avvenne, al 6 settembre, presso uno dei grandi giornali di Nuova York.

Erano esattamente le ore 4,29 della sera e l’assistant-éditor (redattore capo aggiunto) stava scrivendo una lettera nel suo ufficio, quando squillò il campanello del telefono.

― Pronto!

― Pronto! Il presidente Mac Kinley ha ricevuto due colpi di revolver nel petto a Buffalo ed è mortalmente ferito....

― Chi siete?

― La Press Association!

― Non sapete altro?

― Null’altro!

― Grazie.

Il giornalista interruppe la comunicazione telefonica, avvicinò alla bocca un tubo acustico e ordinò:

― Dite alla composizione di preparare una intestazione: Mac Kinley assassinato. I caratteri più grandi. L’inchiostro più rosso.... Ecco il testo: Il presidente ha ricevuto due colpi di revolver nel petto a Biffalo. Egli è mortalmente ferito.

Sette minuti più tardi, e cioè alle 4,36 duecento newbooks si precipitavano nelle strade con grossi pacchi del giornale sotto le braccia, portanti l’intestazione rossa e l’annuncio listato a nero.

Nel frattempo l’assistant-editor aveva mandato a chiamare il redattore capo, titolare del giornale e il proprietario. Il redattore capo era poco distante, presso un barbiere, ed arrivò con una gota rasata e l’altra no; il proprietario era al club; sei minuti più tardi discendeva dal cab davanti al giornale. Il redattore capo andò diritto al telefono:

― Pronto! Mettetemi in comunicazione con un giornale di Buffalo, qualsiasi. Il primo che è libero.

― Pronto! Parlo col Buffalo Herald? Va bene. Vi dò cento dollari ogni minuto di conversazione. Ditemi ciò che sapete.

«Fu nel salone della Musica che Mac Kinley è stato colpito.... L’assassino teneva un fazzoletto nella mano sinistra», ecc., ecc.

Dodici minuti dopo il primo avvertimento, alle 4,48, una nuova edizione usciva dagli uffici del giornale; portava come intestazione: Mac Kinley Extra - N. 2 dava una mezza colonna di particolari sull’assassinio, il ritratto del presidente e un piano dell’Esposizione di Buffalo. Da parte sua il proprietario telefonava:

Parlo col direttore del.... Railroad? Sono il proprietario del News. Potete darmi un treno speciale per Buffalo?... in quanto tempo?... Quanto?... All right.

E venticinque minuti più tardi un treno speciale filava per Buffalo, con due fotografi, tre disegnatori, cinque redattori. Uno di essi, il descriptive reporter, ossia reporter incaricato specialmente della descrizione, era in maniche di camicia. L’ordine della partenza era giunto all’improvviso; aveva dovuto gettarsi senza perdere un secondo in un cab, e non aveva avuto tempo di prendere la sua giacca, che era rimasta a un altro piano del palazzo del giornale.

Frattanto il supplemento n. 4 aveva già da qualche tempo sostituito il n. 3 e alle 5,25, cioè dopo un’ora che la terribile notizia era stata telefonata al giornale, il supplemento n. 5 veniva venduto per le strade.

Conteneva due pagine intere di particolari sull’assassinio; una colonna di messaggi telefonici; una colonna di biografia; due colonne di ritratti, piani e disegni; interviste con senatori, governatori, membri del corpo diplomatico e consolare, uomini politici, ecc.; quindici liste di protesta, firmate ognuna da un centinaio di nomi, due o trecento dispacci e messaggi di condoglianza, di indignazione e di simpatia; le opinioni mediche di due o tre più celebri chirurghi di New York; una colonna di impressioni generali; la reazione dei principali valori del mercato di Wall Street alla notizia dell’attentato; una biografia di Roesevelt, ecc. E tutto ciò si era compiuto in sessanta minuti!



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