Il buon cuore - Anno X, n. 49 - 2 dicembre 1911/Educazione ed Istruzione

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Religione Società Amici del bene
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Lettere del colonnello Fara

In questi giorni, il nome del colonnello Fara è sulle labbra e nel cuore di tutti gl’italiani, e la sua simpatica figura viene riprodotta da molti giornali illustrati, che glorificano il valoroso combattente di Agordat e, più ancora, l’eroe condottiero dell’11° reggimento bersaglieri alla terribile battaglia nell’infernale traditrice oasi di Tripoli.

Il colonnello Fara, ormai maggior generale per merito di guerra, è nato nel 1859 ad Orta Novarese. Egli conta numerose amicizie in Milano, essendosi ammogliato con una distinta milanese, la signora Giulia Mazzoni, sorella di un egregio professionista, il rag. Carlo Mazzoni, che è pure benemerito tesoriere della Pensione Benefica per Giovani Lavoratrici. Fulmine di guerra, il Fara è pure una mente superiore e un nobile cuore, e conta tra i suoi amici uno dei più dotti sacerdoti dell’Archidiocesi milanese, l’ottantenne mons. cav. Antonio Ceruti, dottore da cinquant’anni dell’Ambrosiana.

Pochi giorni prima della dichiarazione di guerra alla Turchia, il valoroso colonnello contava recarsi in licenza nell’Alta Italia e combinava un ritrovo appunto con mons. Ceruti; ma ad un tratto egli veniva richiamato d’urgenza, e allora così scriveva al venerato amico:

«Illustre Monsignore,

«Giunto da Napoli a Roma, mentre sistemavo il bagaglio sul treno che doveva condurmi a Milano, un telegramma mi ha imposto di raggiungere subito il mio reggimento, destinato a far parte del corpo di spedizione. Sono tornato la sera stessa a Napoli, e dopo un giorno di lavoro febbrile, tutto è pronto per salpare verso Tripoli. A quando la partenza? I superiori diranno il giorno e l’ora, ed io imbarcherò il mio bel reggimento che è, come il suo comandante, fiero di far parte di questa rinnovata crociata per riprendere alla Mezzaluna l’antica sua conquista sulla Croce. Le armi sono pronte ed impugnate da mani salde e dirette da cuori forti e generosi. Il Dio della guerra sarà con noi, perchè con noi è il Diritto e la Forza...».

Giunto sulla sponda di Tripoli, il Fara così scriveva a mons. Ceruti:

«....Un’onda di puro entusiasmo ci travolse, e ci trovammo a bordo con un bel reggimento.

«Ora siamo agli avamposti, cioè al posto d’onore, posto ambito e che occupiamo fin dal primo momento in cui abbiamo posto piede, primi tra i primi soldati dell’esercito, sulla nuova terra italiana...».

Mons. Ceruti, dopo la terribile battaglia del 23 ottobre, esprimeva i suoi sentimenti al Fara con un’epigrafe patriottica, inneggiante al Duce impavido e ai valorosi bersaglieri dell’11º reggimento premiato da S. M. il Re con medaglia d’oro.

Colla calma del vero eroe, il colonnello Fara così rispondeva a Mons. Ceruti:

«I veri, buoni e cari amici non si dimenticano anche nei tumulti di Marte, fra il tuono delle artiglierie ed il crepitìo assordante della fucileria. Si rammentano quando la calma, rara avis, ci circonda, e quando imperversa la bufera di piombo, ciò che avviene tutti i giorni e qualche volta anche di notte. Intanto abbiamo da combattere contro un altro nemico molto importuno e molesto, la pioggia tropicale. Da due o tre notti le cateratte del cielo si spalancano e si rinnovano le scene del diluvio universale. Non avendo però noi l’arca di Noè, spesso nelle trincee agli avamposti si guazza in un pantano, o si naviga in un lago improvvisato. Non cessa però un solo istante la vigile osservazione, perchè il nemico si fa forte dell’alleato atmosferico e cerca sempre molestarci. È vita movimentata, faticosa, ma bella....

«Ieri ebbi la bella nuova che S. M. il Re conferì al reggimento la medaglia d’oro al valore militare, ambita e sacra ricompensa per le epiche lotte sostenute nei giorni 23 e 26 ottobre.

«Viva il Re!».

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TRIPOLITANIA



Al Maggior Generale Comm. Gustavo Fara.


Italia! Il fato ti creò regina
Ti fe’ guerriera il petto de’ tuoi figli.
S’inchina il lauro a te, la quercia inchina
Le sue fronde superbe nei vermigli

E volarono i prodi, balenando
Lampi da gli occhi, e fur pietosi e forti.
Come a danza volarono, cantando
L’inno di guerra in un sol voto assorti.

Solchi de la vittoria.
Italia, a te la gloria!

L’inno che audace romba
Con un clangor di tromba.

 

A te la gloria d’un audace voto
Che col ferro tu scrivi su le infide
D’Africa arene. Al gran pensier devoto
De’ figli tuoi lo stuol baldo sorride.

E l’oasi infida al tradimento usata
Li vide fulminar con la baldanza
Di chi l’insidia sdegna che celata
Stassi nell’ombra e silenziosa avanza.

Li avvince un sacro ardore
Li sprona alto valore.

Belli li vide in fronte
E ne fremè a le impronte.

 

Tu a lor dicesti: "Un lungo obbrobrio ha vinto
Un lungo pazientar; or sull’offesa
Scenda il punir e d’un’aureola cinto
Brilli il grande mio fat, e a la contesa

Le fiere impronte di conquista segno
Terror di traditori e di ribelli.
Cadean su quelle, di conquista pegno
Ed eran sposi, figli, eran fratelli...

Alta giustizia arrida.
Italia il turco sfida!"

Ma ’l seppero scordare
Di patria sull’altare.

 

Quanti son morti? In cor tu chiudi il pianto
O madre Italia che donasti i figli!
Ma dei lembi gloriosi del tuo manto
Che tanto caldo sangue fe’ vermigli

 

Vesti le forti salme
All’ombra de le palme!


Myriam Cornelio Massa.


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ECHI DI LOURDES

Siamo lieti di poter offrire ai lettori del Buon Cuore questo grazioso discorso sull’Immacolata, pronunciato a Lourdes l’otto dicembre del 1908; nei festeggiamenti del 500 dell’Apparizione, e ancora inedito per l’Italia.


Non avrà il mio nemico onde
rallegrarsi di me.

(Salmo XI, 11).

«Fra i titoli di gloria che formano l’eredità e il legittimo orgoglio d’una grande città, bisogna mettere senz’altro, ed in prima linea, l’onore di aver sostenuto numerosi e terribili assalti senza mai cadere in poter del nemico. Inutilmente egli diresse contro la valorosa città le sue formidabili batterie; invano egli spiegò miracoli d’audacia, di pazienza, di energia; nè il ferro, nè il fuoco, nè la scaltrezza, nè la violenza, nè il numero degli assedianti, nè la rabbia del cannone valsero ad aprire una breccia nelle mura di difesa. Libera, fiera, vittoriosa, la nobile città vede sventolare il suo stendardo immacolato al di sopra i bastioni, mentre il nemico disanimato per questa indomita resistenza, battendo in ritirata, si allontana confuso.

«Ah, questo è bello! E quando, negli annali della storia antica e contemporanea, noi ci incontriamo in qualche raro caso di così eroica resistenza, nostro malgrado si trasalisce d’entusiasmo e d’ammirazione.

«Ma ahimè! quante possiamo contare di queste città imprendibili, che mai, traverso i secoli, abbiano subìto l’onta d’essere state calpestate dallo stivale d’un insolente vincitore? Quante che, invincibili in passato, devo credere, si potranno lusingare che lo saranno anche in futuro? Dove troveremo noi la città che, senza menzogna e millanteria, possa scrivere nel suo blasone questo motto audace: Non avrà il mio nemico onde rallegrarsi di me?

«Lasciamo tutte le città costruite da mano d’uomo, siano pure fortificate secondo tutte le regole della strategia moderna. È nel mondo delle anime che bisogna cercare la città imprendibile. La città assolutamente vergine di ogni sorta di servaggio straniero, che mai apri le sue porte al nemico, che fu sempre fedele al suo Re, la creatura immacolata insomma, che tutti gli istanti della sua esistenza ha potuto dire: a Siate benedetto, o mio Dio, perchè mai, neppure un istante fuggitivo come il lampo, il vostro nemico ed il mio non ebbe e non avrà mai a trionfare su di me!» O Maria, concepita senza peccato, siete Voi, e Voi sola, la città sempre vittoriosa su cui non cessa mai di sventolare lo stendardo della più inviolabile purità! Non avrà il mio nemico onde rallegrarsi di me!

«D’essere così tutta pura senza tampoco l’ombra d’un’ombra, è il vostro privilegio il più caro, è la gran gioia del vostro cuore, — ma è pure la gran gioia di Colui che ha fatto di Voi il capodopera della sua sapienza e del suo amore infinito.

«I. È a Lourdes che Maria ha voluto rivelarci ella stessa la gloria più cara al suo cuore verginale.

«Sono ormai cinquant’anni, l’11 febbraio 1858 in alto della grotta detta di Massabieille, in una cavità somigliante a rustica nicchia, un’apparizione maravigliosa colpì d’un tratto e tenne in dolce incanto gli occhi d’una fanciulla sui quattordici, modesta e pia, Bernardetta Soubirous... Bernardetta, la cui memoria è sparsa dovunque in questi luoghi, il cui nome un giorno andrà ad unirsi nei sacri distici a quello di Santa Germana di Pibrac (1). Era l’innocenza sublime che si mostrava all’angelico candore.

«Un essere misterioso, un angelo od una donna, stava lassù, in bianca veste e fascia azzurra, col volto coperto d’un velo bianco, tenente nelle dita una corona di madreperla e d’oro, le mani giunte in una dolcezza ineffabile, d’una maestà sovrumana, d’una grazia e freschezza dai quindici ai diciott’anni.

«A tal vista Bernardetta dapprima si spaventò, ma subito dopo, rassicurata dallo sguardo e dal sorriso dell’Apparizione, le fu impossibile distogliere gli occhi rapiti dalla Signora così divinamente bella, e vedendo. la fare il segno di croce e sgranare il rosario, anche lei piamente si segnò e si mise a recitare la corona. Come ebbe finito, la visione sparì.

«Ma Ella ritornò, ritornò spesso: diciotto volte. E diciotto volte Bernardetta la potè vedere e sentire.

« — Era però una voce che udivi, o Bernardetta, una voce esteriore e sensibile?

« — Sì, io udivo colle mie orecchie come odo voi, ma quella voce non somigliava a nessuna voce umana; nessuna ha un timbro simile.

«Noi ti crediamo senza difficoltà, o Bernardetta.

«Senza dubbio tutta la dolcezza del cielo dovea passare dalle labbra della Signora nelle sillabe umane del dialetto guascone ch’Ella degnavasi usare per venire compresa da te!

«Ma il 25 marzo, fatta più ardita, più confidente, più famigliare colla Signora, Bernardetta osava insistere perchè finalmente si nominasse: a Signora, vorreste voi aver la bontà di dirmi chi siete e qual è il vostro nome? «Allora l’Apparizione, disgiungendo le mani, le abbassò dapprima verso terra, poi le riunì sul petto in un gesto di fervore, poi, gli occhi fissati in cielo, Ella disse: Io sono l’Immacolata Concezione.

«E Bernardetta che per la prima volta sentiva questo nome (ella non aveva fatto peranco la prima Comunione, ed a stento conosceva il suo Catechismo), Bernardetta che, non comprendeva punto il senso di ciò che sentiva, decise di portarsi subito alla volta della casa parrocchiale. Ma temendo di dimenticare o di [p. 391 modifica]alterare il nome della Signora, andava ripetendo quasi ad ogni passo: a Immacolata Concezione! Immacolata Concezione!»

«E questo nome, rivelato in tal modo, bastò a dissipare tutti i dubbi. Esso solo parve la prova irrefragabile delle Apparizioni di Lourdes.

«Qui ci domandiamo: perchè mai la SS. Vergine ha scelto questo strano vocabolo, così audace, un tale qualificativo che non ha esempii, una dicitura che Pio IX stesso nella celebre Bolla non sognò tampoco di usare?

«Parrebbe che avrebbe dovuto rispondere: a Io sono Maria, la Vergine Maria! Non è questo il suo nome ufficiale? Et nomen Virginis, Maria? È il nome che le dà il Vangelo, che le danno gli Angeli e gli uomini; che dico? È il nome che ricevette nel consiglio dell’Adorabile Trinità. Che se le abbisognava un nome di dignità, allora non doveva rispondere: Io sono la Madre di Dio! Mater Dei? Innanzi allo splendore della divina Maternità, ogni altra grandezza impallidisce come una scintilla in faccia al sole. Poter dire al Figlio di Din, all’Eterno, all’Onnipotente: W Voi siete mio Piglio, cioè, carne della mia carne, ossa delle mie ossa! II sangue che scorre nelle vostre vene, circolò nelle mie, zampillando tutto dal mio cuore verginale! Aver portato in suo grembo Colui che porta il mondo! Come concepire un nome più sublime, una più alta dignità?

«E tuttavia non è questo il titolo di cui Maria si piace adornarsi. Tutti questi nomi e titoli che la teologia e la pietà le decretarono, pur senza esaurire quanto di sublime e di bello c’è in Lei, Maria li possiede e li giustifica. Ma ce n’è un altro che gode tutte le preferenze e le predilezioni del suo cuore. Ella non disse: «Io sono Maria, la regina del cielo e della terra, la Madre di Dio; no, Ella disse solo: Io sono l’Immacolata Concezione!»

«Ecco il nome che ai suoi occhi supera ogni altro.

«Il cuor di Maria è qui tutto. È qui ch’Ella trova la sua gioia più squisita e la più solida di tutte le sue grandezze. La grazia d’una purità senz’ombra, d’una concezione assolutamente immacolata, ecco, per l’anima che conosce ed ama il suo Dio, il privilegio dei privilegi, la grandezza delle grandezze.

Ed ecco perchè, quando Maria vuol far eco alla parola infallibile di colui che quaggiù è la stessa bocca di Dio, e quando Ella vuol rivelarsi a questo mondo che non conosce se non le gioie del peccato ed il sen• sualismo grossolano della carne, prende a non un nome di dignità, ma un nome di santità n. Esser stata pura e santa fin dal primo suo istante, costituisce per Maria la più squisita delle sue gioie, il più bello dei suoi trionfi. Non avrà il mio nemico onde rallegrarsi di me.

«II. L’Immacolata Concezione è altresì la gioia suprema di Dio. Nulla piace tanto a Dio quanto la purità. Non è difficile a capirlo; interroghiamo il nostro cuore.

«L’uomo ha bel essere cattivo e corrotto; una cosa sopravvive in lui pure nei più tristi naufragi e nelle più lamentevoli catastrofi: l’amore istintivo di ciò che è puro, l’orrore innato di ciò che è infangato, sudicio.

«Il bruto si avvoltola nella lordura e non ne arrossisce. L’uomo potrà farsi torto sino al punto di trascinare l’anima sua nel fango del vizio, ma a condizione di subirne la vergogna, d ’esserne segnato in fronte come da un ferro rovente, d’esserne morso al cuore come da vipere, da rimorsi cocenti che le stesse lagrime del pentimento non riescono che incompletamente a placare, a guarire. Che volete? È il tormento, ma altresì la gloria dell’uomo quella di amare la purità, pur dopo averla perduta. Quand’egli non può più ritrovarla in sè, la cerca ancora, e non sa trattenersi dall’ammirarla in altri. Tutto ciò che ha impronta di candore e di purità, l’attrae e l’affascina irresistibilmente: l’azzurro d’un cielo senza nubi, il fresco calice d’un fiore pur mo’ sbocciato, il viso innocente e lo sguardo ingenuo d’un bambino. E per dirla di passaggio, c’è in questo un segno indelebile della nostra origine celeste e la prova palpabile che, ad onta dei verdetti d’una scienza adulterata, noi non siamo punto i discendenti d’una scimmia e d’un gorilla! Questa sete di purità che forse è il nostro tormento, ma anche il nostro vanto, è il tratto più sensibile della nostra somiglianza con Dio. È un riflesso della stessa divinità cristallizzato nell’anima nostra.

«Ed in effetto, se fosse lecito dire che Dio abbia passioni, bisognerebbe affermare che la prima delle passioni divine, la più ardente ed insaziabile è la passione della purità. Dio è atto eminentemente puro: a Santo, Santo è il Signore, Dio degli eserciti 12, è il grido sublime che le celesti schiere si trasmettono a vicenda. Dio è santo; la santità è la base del suo Essere, il principio di tutti i suoi atti e voleri. Dio creò il mondo per avervi dei santi. Formare dei santi è lo scopo finale, la ragione di tutte le rivoluzioni del tempo, degli avvenimenti che vi si svolgono, della durata e della trasformazione delle società umane. E’ l’ultima parola di tutti i disegni, conosciuti o meno, della Provvidenza. Questa è la volontà di Dio: la vostra santificazione (I. Tessal. IV, 3). Fare dei santi! Dio non ha altra politica. S’Egli spiega il vasto piano della creazione, se vi getta a piene mani il seme di esseri liberi ed intelligenti, se li inaffia dei sudori e del sangue del suo Figlio, se feconda con torrenti di grazia i campi della sua Chiesa immortale, è allo scopo di farvi germogliare e raccogliervi la messe tanto desiderata di anime sante e cuori puri.

«Ci ha degli scienziati i quali si tengono abbastanza ripagati di mille pene e fatiche, quando abbiano potuto mettere alla luce qualche capo d’opera antico sepolto in grembo alla terra, scoprire un’antica pergamena o qualche cimelio molto raro. La suprema ambizione di Dio, quando opera al di fuori di Sè ove tutto è purezza e splendore, dirò anzi il suo sogno eterno se questo vocabolo può convenire a Dio, è di incontrarsi in un’anima stata sempre e perfettamente santa, un fiore di purità di cui, nulla, tampoco l’alito píù leggero abbia potuto appannare la lucentezza, la freschezza, la grazia».

(Continua). Can Andrea Durand.


Trad. di L. Meregalli.

Note

  1. Innanzi al tribunale ecclesiastico diocesano di Nevers si sta istruendo (è la prima fase del processo canonico) la causa di Bernardetta Soubirous, al chiostro suor Maria Bernardo. Ora il tribunale ha fatto aprire per le constatazioni occorrenti, la tomba di lei, posta nel convento delle Suore della Carità di Nevers dove la salma era stata collocata nel 1877, epoca della sua morte. La salma venne trovata intatta, pienamente conservata. Fu messa in nuova bara sigillata.