Il buon cuore - Anno X, n. 39 - 23 settembre 1911/Educazione ed Istruzione

Educazione ed Istruzione

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Religione Società Amici del bene

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secondo un epistolario intimo


(Continuazione e fine, vedi n. 37).


Confidenze...

16 luglio.... La vostra lettera è assai triste, mia povera Coco. Vi comprendo perfettamente. E voi stessa dovete indovinare quel che penso e quel che prova il mio cuore. Dite le cose più affettuose a vostro fratello Carlo: comprendo il dolore che ha d’aver lasciato tutto quanto amava. Non posso che lodarlo con tutto il cuore d’aver avuto il coraggio di rinunciare ad una carriera che gli piaceva e ad un brillante avvenire per certe idee che, disgraziatamente, sono presto dimenticate ai tempi, in cui viviamo.

3 gennaio 1861 — ... La notizia che mi date del vostro prossimo matrimonio mi fa molto piacere; a chi vi ama come vi amo io, tutto ciò che vi riguarda, riesce interessante: sono contenta al pensiero che sarete felice.... Voglio però che nulla sia cambiato nelle nostre buone abitudini e che Cocò e la signora de Surigny siano assolutamente la stessa persona.... Continuerete ad amarmi come per il passato: io farò lo stesso. Le vostre lettere mi fanno sempre tanto piacere e tanto bene. Non dimenticate di farmi di tanto in tanto qualche sermoncino, come sapete fare voi: ricordatevi il vostro ufficio, di sottogovernante. Insomma, fate in modo che tutti i buoni ricordi che ci uniscono non si cancellino mai....

I nostri mesi di lutto stretto sono finiti, non so cosa vorrà fare mio marito: quello che converrà a lui sarà gradito per me. Gli piace poco la vita di società e questo a rue non rincresce. Se esso, lo farò con lui e per lui. Da qualche giorno ho cambiato appartamento mi trovo adesso in quello che occupava il mio caro suocero e che mi piace assai....

Sull’Oceano.

Yacht «Gerolamo Napoleone» in mare, tra le isole Azorre e gli Stati Uniti, 15 luglio 1861 — Saprete sicuramente che, da più di un mese, siamo in viaggio. Sono così felice d’aver potuto seguire completamente mio marito questa volta. Dapprima, dovevo fare soltanto una parte del viaggio, sino a Lisbona, e quindi ritornare in Francia per prendere i bagni di mare, durante il viaggio di Napoleone. Ma, arrivata a Lisbona, era troppo addolorata al pensiero di doverlo lasciare, ed ho insistito tanto che, con l’aiuto del buon Dio, ho guadagnato completamente la mia causa....

Eccomi partita per tutto il viaggio, il quale non finirà, credo, prima del quindici settembre. Sono felicissima: mi pareva, che il mio posto fosse assolutamente questo e perciò ho insistito senza misericordia. Napoleone temeva che il viaggio non mi avesse stancata. Certi sacrifici sono inevitabili; ma quale esistenza ne è priva? Bisogna cercare di trarne profitto.... Il nostro viaggio è incantevole e m’interessa assai, ma io ne godo di più perchè sono con mio marito. In questo momento voghiamo verso il banco di Terranova, quindi, se non vi saranno cambiamenti, andremo ad Halifax. Il tempo è superbo ed il mare magnifico. Ho visitato Ippona, la città di Sant’Agostino, ed a Cartagine ho pregato nella cappella di San Luigi, eretta, si crede, sul luogo dove si spense il santo re. Questi due pellegrinaggi mi hanno fatto gran piacere, Voi lo comprenderete....

Parigi, 20 giugno, 1862 — Pregherò per la vostra figliuoletta; un vincolo di più ci unirà poichè i nostri bambini sono a un dipresso coetanei. Pensate voi pure al mio, l’aspetto tra un mese. La mia salute continua ad essere eccellente, e poichè Dio me l’ha conservata così buona, cerco di metterla a profitto. Vi assicuro che attendo il momento decisivo senza nessuna apprensione. La signora de Ronciere vi scriverà subito.

Le nozze di Maria Pia.

8 luglio — Ho ricevuto questa mattina notizie da Torino: il matrimonio di Maria col Re di Portogallo è deciso. Maria pare contentissima e tranquilla. La contessa mi dice che mia sorella s’è condotta in questa faccenda, con una ragione superiore alla sua età. Napoleone sarà tra giorni di ritorno dal suo viaggio in Inghilterra. Nè sono contentissima: me ne rallegro in anticipo.

Parigi, 4 novembre 1862 — Eccoci di ritorno a Parigi: siamo giunti domenica sera. Ho di nuovo accanto [p. 308 modifica]a me il mio bambino: ne sono lietissima, perchè avevo dovuto lasciarlo qui durante tutto il tempo del mio viaggio.

Ho fatto molte cose in questi ultimi giorni, ed ho provato la grande consolazione di rivedere tutti i miei. Umberto è cambiato più di tutti gli altri: s’è fatto alto ed ha aspetto d’uomo. Amedeo e Maria si sono fatti grandi anch’essi, sovratutto Maria; ma il viso non è mutato. Ho trovato Oddone in condizioni infinitamente migliori: cammina da solo, senza bastone, senza bisogno d’aiuto. Papà è ingrassato, malgrado le febbri che egli non cura.... Come mi sentivo felice di ritrovarmi in mezzo a tutta la mia famiglia! Sono stata al Santo Sudario ed ho avuto la gioia di fare la santa comunione alla Consolata insieme con Maria il giorno del suo matrimonio, sabato 27 settembre. Ci sono state molte feste, di cui avrei fatto volentieri a meno, perchè mi toglievano tutto il mio tempo, e quanto se ne ha così poco, si preferirebbe riservarlo per la propria famiglia e per gli amici. Forse amereste leggere il discorso di monsignor Charvaz per il matrimonio di Maria; ditemelo, e ve lo manderò.

Profitterò della stessa accasione per mandarvi un opuscoletto sulla frequente comunione, opera di monsignor de Ségur, interessantissima: parla veramente al cuore, mi ha fatto e mi fa sempre un gran bene: Io mi permetto di farvi partecipare al godimento dell’anima mia. Voi siete così buona ed io vi amo tanto che vi dico tutto. Come sono felice di avervi e di poter parlarvi così col cuore. Mi fa tanto bene. Ma bisogna che continui la storia del mio viaggio perchè siate al corrente di tutto. Partiti da Parigi il lunedì 22 settembre, arrivammo mercoledì sera a Torino. Bellissimo ricevimento. Umberto ed Amedeo ci aspettavano a Genova; papà, Maria e mio zio Eugenio, alla stazione di Torino. Rimasi a Torino sino a domenica mattina; poi siamo partiti per Genova e di là, il lunedì, ci siamo separati. Maria, che mio zio Eugenio aveva sposato per procura prese il cammino, del Portogallo accompagnata da Umberto, e noi abbiamo preso la via di Francia.

....A Londra, abbiamo visitato l’esposizione, che è superba: ma la città, malgrado tutte le belle cose che racchiude, mi ha lasciato una impressione piuttosto cattiva. E’ triste, fredda alla vista e così sporca. Ne sono poco entusiasmata, e poi trovo che la religione degli Inglesi opprime, per così dire, le loro città dove si vedono poche cose che facciano bene all’anima. Siamo però stati in una deliziosa chiesa cattolica. Oh i bei momenti che vi ho passati! Ed Eccoci di ritorno dal 2 novembre: vi assicuro che ne sono contenta. Ho ritrovato il mio piccino superbo. Egli è qui, vicino a me, che si trastulla nella sua culla: vi mando un bacio da parte sua. Datemi qualche particolare sulla vostra figliuoletta: il buon Dio vi ha accordato la grazia suprema di poterla allattare: io non l’ho avuta per l’angiolo mio.

Meudon, 29 settembre 1863 — Comincerò con una grande notizia. La nostra cara Maria, ieri all’una e mezzo, ha messo felicemente al mondo un maschio. Ne sono madrina io insieme col re Ferdinando, suocero di Maria: il bimbo si chiamerà Carlo Ferdinando. Che felicità che tutto si sia svolto bene e che tutto sia finito! Vi assicuro che la notizia mi ha commossa profondamente; amo tanto Mrria che nulla di lei può lasciarmi indifferente. Mi pare di vivere un sogno, al saperla madre così giovane. Luigi è stato molto cortese, e si è affrettato a mandarmi notizie: Egli è eccellente, ed ama molto Maria.... Il mio Vittorio cresce a meraviglia, vi mando la sua fotografia: me ne occupo il più che sia possibile. Egli è tanto gentile; non cammina ancora da solo, ma aggrappandosi ai mobili fa qualche passo. Dice: papà, mamma, sì, e zia. E’ molto carino, l’abbiamo misurato qualche giorno fa; aveva 82 centimetri. Ha cinque denti, il sesto sta per spuntare: è piuttosto in ritardo, lo so ma pazienza, Dio vuole così. Mi trovo da due mesi e mi ci sento così bene, così tranquilla, così in pace: meno una vita che è proprio quella che mi piace. Il mio tempo è diviso tra il buon Dio, le mie occupazioni, mio marito, quando è con me, Vittorio, e poi leggo, scrivo, passeggio. La sera, al salotto, lavoro; insomma cerco di occuparmi come meglio posso, e vi assicuro che sono sempre molto felice.

Parigi, 3 giugno 1864 — Quale gioia quando non si vuole altro, che quello che Dio vuole, che riposo, che pace.... Quando si ama Gesù, si trova tutto: vi assicuro che sento questa verità per esperienza; nulla è desiderabile fuor che Lui solo. Più vado innanzi con gli anni e più amo il divino Maestro. E se voi sapeste come sono lieta, calma è tranquilla! Mi sembra che i peggiori eventi non potrebbero distruggere la mia felicità... La mia salute è, grazie a Dio, eccellente, purchè non mi stanchi troppo. Attendo il mio secondo figlio pel mese di luglio, e mi preparo come meglio posso cercando d’essere saggia. Non ho la minima paura. Vittorio sta bene, è buono, gentile ed obbediente.

Prangins, 9 dicembre 1865 — Eccomi di ritorno dal mio bel viaggio già da alcuni giorni. Provo il bisogno di scrivervi. Il nostro viaggio si è svolto benissimo sotto tutti i punti di vista: ho riveduto i miei e la mia cara Torino con gran gioia. Giunta il 25 ottobre, sono ripartita per Genova il 21 novembre. Ho dunque, passato un mese circa in questo paese ed in questa casa, così cara pei ricordi; ma se la mia Cocò ci fosse stata la gioia sarebbe stata ancora più grande. Ho visto quasi tutte le persone che conosco, voglio dire le più intime; insomma vi assicuro, che sono stata felicissima e molto dal lato della pietà. Ho trovato Maria quasi punto cambiata; sebbene non l’avessi rivista da tre anni. Ella è ancora più alta, magrissima, ma ha sempre lo stesso viso. E’ stata gentilissima con me; a sentirla discorrere di questo e di quell’altro, non le si darebbe molto di più dell’età ch’ella ha. Si occupa molto e nella maniera più commovente del suo bimbo: l’ho vista con il maggiore che è carino, e somiglia molto a suo padre.

Oddone muore....

Mio fratello Oddone è stato seriamente ammalato al tempo della sua dimora a Torino: di ritorno a Genova ha migliorato; ma ha preso freddo è di nuovo è [p. 309 modifica]caduto ammalato. Non posso nascondervi, mia buona amica, ch’egli è in gravi condizioni, e che dobbiamo aspettarci di perderlo.... Sarebbe per lui una vera liberazione se Dio lo volesse chiamare a sè. Nutre buone idee ed ha sempre osservato i suoi doveri di pietà: per la sua festa, il 18 novembre, s’è confessato; ed ha fatto la santa comunione. Possiamo essere tranquilli da questo lato. Egli è così triste però: insomma il buon Dio faccia quello che crederà sia meglio per la sua gloria e per il bene del mio caro fratello.

A Genova ho passato quasi otto giorni con Oddone, e me ne son sentita assai lieta: è dolce essere con qualcuno che vi comprenda, cui si possa dire liberaniente tutto quello che si pensa. Avevo lasciato Luigi a Prangins e condotto meco Vittorio soltanto. Egli è stato al Santo Sudario, a San Giovanni per la benedizione; e da per tutto è stato tranquillo. Come mi sentivo contenta di poterlo condurre lassù dove ero stata ed al posto dove i miei genitori mi accompagnavano quando era bambina.

La contessa V... è sempre stata con me, il re me l’aveva data per accompagnarmi: pensate se ne fossi soddisfatta. L’ho avuta dal 25 ottobre al 29 novembre. Poi venuta a Genova mi ha lasciato a poca distanza che dalla frontiera. Siamo ritornati per la «Corniche» nè mio marito, nè io conoscevamo. Se volete altri particolari, interrogatemi.

Parigi, 30 gennaio 1866 — Torno a voi col cuore angosciato: grazie del vostro affetto e di tutto quello che mi dite. Sono profondamente afflitta: il pensiero della felicità eterna del mio caro Oddone può solo consolarmi, sostenermi in questa prova. Sono persuasa che abbiamo in cielo un protettore di più. Ho la dolce fiducia ch’egli goda già della vista di Dio: il giorno della sua morte ne fui intimamente convinta davanti al Santo Sacramento. Don Anzino ha detto al generale di Franconnière, che mio marito ha mandato per noi laggiù, che Oddone era un angelo del cielo. Ha enormemente sofferto negli ultimi mesi della sua vita, a tal punto che non poteva più distendersi sul letto. Se aveste ve duto in quale stato penoso era la sua schiena da gran tempo. Ma tutta la sofferenza è cessata prima della sua morte di modo che rese l’ultimo sospiro senza alcun dolore. Si è assolutamente addormentato appella appena gli altri si sono accorti che trapassava. Mio zio Eugenio era vicino a lui. Oddone è morto coi sacramenti e con tutti i soccorsi della nostra santa religione. Conosceva il suo stato ed era pieno di rassegnazione. Ha parlato molto di me. Il 20 ricevette la benedizione papale da monsignor Charvaz e monsignore stesso e don Anzino l’anno assistito ammirevolmente. E’ andato a ritrovare mamma, ad undici anni e due giorni d’intervallo: sono sicura che la nostra santa madre l’avrà aiutato. E’ una grande perdita per noi, un vuoto immenso, il buon Dio l’ha volto. Fiat, non è vero? sempre e per tutto.... Ora siamo noi da compiangere, e non lui. Papà l’ha veduto il 20 ed egli è morto il 22, a mezzanotte e 25 minuti. Papà ha pianto molto, uscendo dalla camera funeraria: egli è assai triste.

Parigi, 3 aprile 1866 — Faccio la maestra di scuola a Vittorio, gl’insegno il catechismo, gli insegno a leggere, egli sa tutte le lettere maiuscole. Che fate voi per vostra figlia? Aiutatemi con la vostra esperienza. Parla italiano e ho da poco una domestica inglese cattolica di nascita, che mi pare ottima. Vi è sempre la francese. Mio marito è ritornato in Italia ed io rimango qui: forse, tra poco, secondo il tempo che farà, andrò a Meudon, e questa villeggiatura farà molto bene ai ragazzi.

Parigi, 30 aprile 1867 — Attendo mia sorella per la settimana ventura; ella viene senza suo marito. Ha bisogno assoluto di cambiar aria per ordine dei medici. Sembra che non stia troppo bene: non conduce con sè i ragazzi, credo che non avrebbe la forza di occuparsene. Povera piccina. Ha fatto tutto quello che ha potuto, anche a spese della propria salute, per non lasciar suo marito ed i suoi figli, ma credo che non abbia potuto ritardare più a lungo il suo viaggio.

Pochi giorni dopo quest’ultima lettera, l’amica fedele, l’ex-damigella di compagnia di Moncalieri, moriva. E la sposa di Gerolamo Napoleone aggiunse una preghiera dolorosa al suo salterio quotidiano, una nuova pagina lacrimosa al piccolo manoscritto di meditazioni pei suoi morti, ritrovato là in un cassetto della camera nuda del vecchio castello dei suoi padri, dove ella spirò, ora è due mesi.

Domenico Russo.




Ricordatevi di comperare il 32.mo fascicolo dell’ENCICLOPEDIA DEI RAGAZZI che usci nella scorsa settimana.




Storia breve di un’anima penitente


(Continuazione, vedi n. 37)


Nella sua conversione ella ricordò d’essere scampata al naufragio perchè Gesù Cristo l’aspettava al ritorno. Ella era troppo tormentata dalla sua voce.

Il mattino si svegliò signora nel Castello, mendicante pace da tutti. I primi mesi passarono ingannando i rimorsi coi preparativi delle nozze, che non vennero mai.

— Sposami, sposami — diceva al compagno, e piangeva. Si vide tradita, avvilita. Guardò a Dio che non l’aveva tradita mai, che anche allora la chiamava. Ma la vanità era troppo forte e la casa lontana era troppo vuota, troppo fredda. Si diede allora alla carità; le sue virtù di fanciulla ritornarono a galla di quella palude; ma il rimorso sorgeva con esse perché Dio non parla d’amore se non quando taciono le passioni; e il suo cuore era in tempesta.

A 17 anni fu madre! Ah sacra missione della donna che con l’uomo serve a Dio di causa seconda della creazione! O santo nome di madre, il più santo dopo quello di Dio! Le profanazioni di questa dignità sono [p. 310 modifica]profonde come alte le cime de’ suoi puri onori. Il rimorso, il pianto, l’amaro pianto, sorgono dagli ultimi recessi della natura, e nel fare la loro via per giungere alla gola e agli occhi, mettono tutto in ischianto. Ella guardò il suo bambino e lo pianse!

— No no, — gridava ella traboccandole il cuore quando scendeva da cavallo tra i campi ad accarezzare i bambini — non vogliate ammirarmi, nè invidiare il mio stato — compiangetemi piuttosto e compatitemi perchè non sono che una infelice, degna d’essere abbandonata da tutti, in guerra con Dio, con me stessa, con gli uomini.

Questi sfoghi confidò ella al suo confessore che li segnò al cap. 3° delle sue memorie.

In questo stato orribile di tempesta, degno del suo cuore fatto per Dio e della sua inquietudine per essere lontana da lui, arrivò ai 25 anni. Non le mancava nulla di quanto la natura e il mondo sanno dare: piena di forze e di vita, avvenente, con un cuore fatto di slanci e di lacrime, amata, adagiata nella ricchezza, inchinata, ed ora con un bambino di otto anni che riempie le sale del castello del suo nome di madre.

Ma no, o mio Dio, che manca tutto quando mancate voi, poichè è tale l’ardore dell’anima nostra, che in un istante si divora tutte le gioie della terra e poi grida, grida più forte: l’infinito, l’infinito! E se ci si sente legati sulle sponde del finito, il tormento si fa grande quanto è grande la brama di ciò che non si possiede.

Per questo, nel peccato si parla, si canta, si danza, si ama, si cerca, si trova, si dissimula, si sorride, ma se si è veramente grandi, ogni nota, ogni stretta, ogni sguardo e sorriso finiscono con questo strascico amaro: sei infelice!....

Ella lo sentiva. E il Signore delle misericordie, il Padre nostro della pietà ne fu commosso. Di nascosto ella gli mandava certi sospiri che portavano tutta l’anima oppressa e invocante aiuto, e, mentre la sua debolezza diceva al peccato: sì, sì — il suo bisogno di Dio vi piangeva sopra: ha no, no, non è così che io posso vivere. — Cuore fortunatamente inquieto per nove anni!

Un mattino Arsenio uscì col cane. L’aurora metteva veli rosati sugli ulivi; per tutta la campagna brillavano gemme di rugiada. Poi il sole si fece più alto, la collina fumò la nebbia leggera saliente dai prati; si accese di vita con un canto infinito di uccelli.

Fu giorno.

Ah come devi ricordare questo giorno nel tuo cielo, o Santa!

Io non posso ricordarlo tutto in questa breve storia. Esso è uno di quei giorni che mettono l’entusiasmo nell’anima di uno scrittore della vita di un santo: il giorno della decisione, il giorno vero dell’anima e di Dio, della Chiesa e dtlla società. Esso formerebbe il più toccante capitolo di un volume che si vorrebbe consacrare al grande cuore che ne è l’argomento.

Qui io dirò solamente che quando ella, tutta in palpito abboccata dal cane di Arsenio allo strascico della veste, andò fino a urtare contro il corpo morto di lui, assassinato nel bosco, mandò un grido; quel grido che era stato voce soffocata fino a quell’ora, il grido della liberazione, fatto di cuore che si spezzava, di lagrime che traeva la natura e la grazia, di infinito dolore per lui che l’aveva lasciata così, per lei che era rimasta così, ma più ancora, più ancora, per Voi, mio Dio, che vi facevate trovare così.

Il carbone tra le macerie si accese ancor più. Ella vide tutto: tutto il passato, tutto il presente, tutto ciò che doveva essere il suo futuro.

«Svenne» ci lasciò scritto il suo confessore. Ella moriva allora alla vita antica. E da questo istante non avrà più la vita che per rifarsi ed arrivare a santità.

Di tre sorta è l’inquietudine del cuore che anela a Dio: una è l’ansia dell’innocente che vive puro, che riproduce l’angelo nella sua terra e piange perchè nei suoi soli Dio gli si cela; egli invoca il lume di gloria e mormora il «cupio dissolvi et esse cum Christo». Questa sorta non è per il nostro caso. La seconda è il tormento è, il vuoto è, l’insazietà, l’infelicità del peccatore; questa l’abbiam veduta. La terza finalmente è quella del penitente. Quando un’anima grande prende la via della santità dopo quella del peccato, specialmente dopo i peccati del cuore, avendo fatto di Dio l’unico oggetto del suo amore, quindi di tutta se stessa poichè essa non è che un amore, non si acquieta più fino a che tutto il suo essere rinnovato in se, ne’ suoi rapporti con la società, non si trovi degno di sospirare a Lui come una vergine sposa e di entrare finalmente nelle nozze con Lui tra gli angeli ai quali è diventata sorella. E’ una inquietudine che produce un lavoro commovente di penitenza, di carità, di abbandono completo nel Signore.

Ed è questo il lavoro incominciato quel dì dalla nostra Santa presso il cadavere insanguinato di Arsenio. Si aggirò in principio come pazza pel dolore, cercando Dio a voce alta, a gridi strozzati dal pianto, per la selva. Pareva corresse in mezzo ai mille pensieri rei, ai mille movimenti indegni del cuore divenuti allora come spettri. E li voleva finire, finire tutti con un atto supremo di pentimento, con qualche cosa che essa stessa non sapeva e pur cercava. Dio la calmò un istante. Si compose con le lagrime impietrate negli occhi. Decise in un baleno di lasciare il castello, la villa, di andare per quella via di penitenza che certamente Iddio le avrebbe aperta dinnanzi.

Pochi giorni dopo fu vista con a mano il figlio che la guardava piangendo perchè lei piangeva, e camminando in fretta, traversare i campi per quella via che menava a Laviano. L’affetto tornava naturalmente alle sue sorgenti e il cuore risentiva il palpito della sua vena prima. Ella passò fra le siepi che raccolsero i suoi canti di fanciulla; rifece la strada che aveva fatto alle feste; rivide la chiesa, l’orto, dove con la madre si era seduta più volte, la casa!

Mio Dio come non si inginocchiarono davanti a questa santa, quelli che la videro allora e che se ne sentirono chiamati per pietà? poichè là era già la vostra santa o Dio, e nessuno mai dirà cos’era il suo volto in quel ritorno, nessuno ritrarrà quel suo sollevare la [p. 311 modifica]mano con la mano del figlio a bussare alla porta di casa.

Ne fu cacciata e la matrigna che la cacciò, rise.

Nel ripassare per l’orto non ne potè più; si abbandonò presso quel fico, il posto del quale è segnato anche oggidì dalla tradizione e custodito con giusta tenerezza; strinse al suo il capo del figlio. «Io sentii allora la tentazione, lasciò detto molti anni dopo: vidi che non mi sarebbe mancato nulla, se avessi voluto ritornare al passato, ma oh mio Dio, voi mi parlaste allora e fui salva».

Dio l’aveva condotta là per mortificare lo stesso movimento naturale del cuore.

Riprese i campi senza sapere per dove, camminò, camminò. Nel sospiro sollevò lo sguardo; vide le mura torrite di Cortona in alto. Non so qual voce le parlasse nell’anima, ma ella vi si sentì chiamata; pensò aí figli di S. Francesco; ne fu attratta. Da quella sera il suo nome e quello di Cortona si legarono insieme per non disgiungersi più. Entrò per porta Berarda. Dio le aveva mandato incontro due angeli: le nobili signore Marinaria e Raineria della famiglia Moscari, che sentirono la sua storia e capirono l’onore al quale Iddio le chiamava. Ah che la vostra misericordia, o mio Dio, e la vostra bontà hanno i loro riflessi sopra la terra! Quelle pie piansero con lei; la vollero loro, le diedero una camera nel loro palazzo, la ebbero vicina quasi tutta la vita.

O prima sera in quella camera! Primo scroscio di pianto al di là della porta chiusa! Primo bacio veramente casto sulla fronte del figlio legittimato da un divino amore! Ma sopratutto oh primo incontro con Dio nel cadere in ginocchio a giurare una lotta e una guerra implacabile a sè stessa!

Ma ci voleva chi dirigesse quell’anima e Dio si incaricò di farla incontrare in un cuore degno de’ suoi grandi ideali. E’ questa, una delle prove più manifeste dell’amore divino per un’anima, essendo in questo modo che Dio si rende visibile e sensibile sulla terra, e che sorveglia e dirige ogni passo e ogni batter di ciglio con voce diventata umana, con cuore che sa tutte le vie umane. Ci sono orizzonti nella vita spirituale, specialmente ai primi sguardi dopo una conversione, che spaventano per la loro stessa bellezza; cosi per contrario ci sono ricordi ed echi di canti passati che hanno fascini terribili; ci sono anche imprudenti fervori; c’è di solito una soverchia facilità a credere nell’umana bontà; ci sono dubbi e timori e titubanze che danno martirii; ci sono solitudini e abbandoni, mille cose da dire e da far sottintendere, da chiedere e da farsi comandare senza chiederle, Dov’è, dov’è quell’anima che capisca tutte queste cose, dov’è quell’anima tenera e forte e pura come un amico, ne come una madre, meglio, come Dio, come Dio.

Ah qual tesoro un confessore così!

(Continua).

Can. Pietro Gorla.




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Il Conte Gener. LUCHINO DEL MAYNO


Dopo una penosa alternativa di speranze e di sconforti, a Mariano Comense, nella notte di lunedì 18 settembre, è cristianamente spirato il conte generale Luchino Del Mayno, senatore del Regno.

La dolorosa notizia ha suscitato vivo dolore in tutti, ma specialmente negli aggregati all’Opera Bonomelliana di Assistenza ai nostri operai emigrati.

Il conte Luchino Del Mayno nacque a Milano, dalla storica famiglia che porta lo stesso nome, il 4 marzo del 1838.

In breve tempo percorse la carriera militare sino ad uno dei gradi supremi, lasciando ovunque di sè il ricordo di una pers ma colta e appassionata alle armi.

Il generale Del Mayno combattè da giovane ufficiale, sul campo di battaglia meritandosi elogi, medaglie ed altri onori: fu un prode, ma anche in tempo di pace seppe brillare per le sue felici attitudini che gli fecero guadagnare l’affetto dell’esercito e la stima generale.

Come comandante del IV corpo d’armata a Genova, dimostrò in più occasioni il proprio valore personale e la sua insuperata competenza: ma la patria a lui ricorse ancora una volta, in un’epoca triste, dopo Adua. Recatosi in Africa colla nuova spedizione, egli fu un prezioso collaboratore del generale Baldissera e contribuì efficacemente a far ritornare la calma negli animi, rialzando le sorti militari della colonia. Al processo Barattieri fu chiamato come presidente, ufficio delicato e ingrato, in quel momento, ma che egli seppe tenere abilmente, con tatto, con dignità e con giusta severità, dando prova di alto senno ed anche di patriottica abnegazione, tanto che si meritò lodi universali per essere riuscito a far superare felicemente all’Italia uno dei sui momenti più critici.

Il generale Del Mayno — che contava a Milano numerose conoscenze — nel 1905 veniva nominato senatore e in tale carica continuò a dedicarsi al bene dell’esercito, nel quale egli spiccava come una delle figure più gloriose e più amate.

Egli voleva altresì che gl’italiani all’estero portassero in alto e ben onorato il nome della patria; perciò, negli ultimi anni, dedicò tutte le sue mirabili energie, il suo cuore leale di soldato, tutte le benefiche influenze del suo carattere di gentiluomo all’Opera di Assistenza degli Operai Italiani Emigrati in Europa e nel Levante, riuscendo, d’accordo coll’illustre Presidente mons. Geremia Bonomelli, a dare alla nobile, patriottica e benefica intrapresa un impulso superiore ad ogni previsione.

La scomparsa del generale Del Mayno è una grave perdita per i nostri emigranti, come quella dell’indimenticabile generale Revel per i Missionari italiani.

Pur troppo scompaiono nobili, grandi, benefiche figure di uomini integerrimi che non si possono sostituire.