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il buon cuore 309
caduto ammalato. Non posso nascondervi, mia buona amica, ch’egli è in gravi condizioni, e che dobbiamo aspettarci di perderlo.... Sarebbe per lui una vera liberazione se Dio lo volesse chiamare a sè. Nutre buone idee ed ha sempre osservato i suoi doveri di pietà: per la sua festa, il 18 novembre, s’è confessato; ed ha fatto la santa comunione. Possiamo essere tranquilli da questo lato. Egli è così triste però: insomma il buon Dio faccia quello che crederà sia meglio per la sua gloria e per il bene del mio caro fratello.

A Genova ho passato quasi otto giorni con Oddone, e me ne son sentita assai lieta: è dolce essere con qualcuno che vi comprenda, cui si possa dire liberaniente tutto quello che si pensa. Avevo lasciato Luigi a Prangins e condotto meco Vittorio soltanto. Egli è stato al Santo Sudario, a San Giovanni per la benedizione; e da per tutto è stato tranquillo. Come mi sentivo contenta di poterlo condurre lassù dove ero stata ed al posto dove i miei genitori mi accompagnavano quando era bambina.

La contessa V... è sempre stata con me, il re me l’aveva data per accompagnarmi: pensate se ne fossi soddisfatta. L’ho avuta dal 25 ottobre al 29 novembre. Poi venuta a Genova mi ha lasciato a poca distanza che dalla frontiera. Siamo ritornati per la «Corniche» nè mio marito, nè io conoscevamo. Se volete altri particolari, interrogatemi.

Parigi, 30 gennaio 1866 — Torno a voi col cuore angosciato: grazie del vostro affetto e di tutto quello che mi dite. Sono profondamente afflitta: il pensiero della felicità eterna del mio caro Oddone può solo consolarmi, sostenermi in questa prova. Sono persuasa che abbiamo in cielo un protettore di più. Ho la dolce fiducia ch’egli goda già della vista di Dio: il giorno della sua morte ne fui intimamente convinta davanti al Santo Sacramento. Don Anzino ha detto al generale di Franconnière, che mio marito ha mandato per noi laggiù, che Oddone era un angelo del cielo. Ha enormemente sofferto negli ultimi mesi della sua vita, a tal punto che non poteva più distendersi sul letto. Se aveste ve duto in quale stato penoso era la sua schiena da gran tempo. Ma tutta la sofferenza è cessata prima della sua morte di modo che rese l’ultimo sospiro senza alcun dolore. Si è assolutamente addormentato appella appena gli altri si sono accorti che trapassava. Mio zio Eugenio era vicino a lui. Oddone è morto coi sacramenti e con tutti i soccorsi della nostra santa religione. Conosceva il suo stato ed era pieno di rassegnazione. Ha parlato molto di me. Il 20 ricevette la benedizione papale da monsignor Charvaz e monsignore stesso e don Anzino l’anno assistito ammirevolmente. E’ andato a ritrovare mamma, ad undici anni e due giorni d’intervallo: sono sicura che la nostra santa madre l’avrà aiutato. E’ una grande perdita per noi, un vuoto immenso, il buon Dio l’ha volto. Fiat, non è vero? sempre e per tutto.... Ora siamo noi da compiangere, e non lui. Papà l’ha veduto il 20 ed egli è morto il 22, a mezzanotte e 25 minuti. Papà ha pianto molto, uscendo dalla camera funeraria: egli è assai triste.

Parigi, 3 aprile 1866 — Faccio la maestra di scuola a Vittorio, gl’insegno il catechismo, gli insegno a leggere, egli sa tutte le lettere maiuscole. Che fate voi per vostra figlia? Aiutatemi con la vostra esperienza. Parla italiano e ho da poco una domestica inglese cattolica di nascita, che mi pare ottima. Vi è sempre la francese. Mio marito è ritornato in Italia ed io rimango qui: forse, tra poco, secondo il tempo che farà, andrò a Meudon, e questa villeggiatura farà molto bene ai ragazzi.

Parigi, 30 aprile 1867 — Attendo mia sorella per la settimana ventura; ella viene senza suo marito. Ha bisogno assoluto di cambiar aria per ordine dei medici. Sembra che non stia troppo bene: non conduce con sè i ragazzi, credo che non avrebbe la forza di occuparsene. Povera piccina. Ha fatto tutto quello che ha potuto, anche a spese della propria salute, per non lasciar suo marito ed i suoi figli, ma credo che non abbia potuto ritardare più a lungo il suo viaggio.

Pochi giorni dopo quest’ultima lettera, l’amica fedele, l’ex-damigella di compagnia di Moncalieri, moriva. E la sposa di Gerolamo Napoleone aggiunse una preghiera dolorosa al suo salterio quotidiano, una nuova pagina lacrimosa al piccolo manoscritto di meditazioni pei suoi morti, ritrovato là in un cassetto della camera nuda del vecchio castello dei suoi padri, dove ella spirò, ora è due mesi.

Domenico Russo.




Ricordatevi di comperare il 32.mo fascicolo dell’ENCICLOPEDIA DEI RAGAZZI che usci nella scorsa settimana.




Storia breve di un’anima penitente


(Continuazione, vedi n. 37)


Nella sua conversione ella ricordò d’essere scampata al naufragio perchè Gesù Cristo l’aspettava al ritorno. Ella era troppo tormentata dalla sua voce.

Il mattino si svegliò signora nel Castello, mendicante pace da tutti. I primi mesi passarono ingannando i rimorsi coi preparativi delle nozze, che non vennero mai.

— Sposami, sposami — diceva al compagno, e piangeva. Si vide tradita, avvilita. Guardò a Dio che non l’aveva tradita mai, che anche allora la chiamava. Ma la vanità era troppo forte e la casa lontana era troppo vuota, troppo fredda. Si diede allora alla carità; le sue virtù di fanciulla ritornarono a galla di quella palude; ma il rimorso sorgeva con esse perché Dio non parla d’amore se non quando taciono le passioni; e il suo cuore era in tempesta.

A 17 anni fu madre! Ah sacra missione della donna che con l’uomo serve a Dio di causa seconda della creazione! O santo nome di madre, il più santo dopo quello di Dio! Le profanazioni di questa dignità sono