Il buon cuore - Anno X, n. 33 - 12 agosto 1911/Religione

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Vangelo della decima domenica dopo Pentecoste


Testo del Vangelo.

In quel tempo uno della turba disse a Gesù: Maestro, ordina a mio fratello che mi dia la mia parte dell’eredità. Ma Gesù gli rispose: O uomo, chi ha costituito me giudice ed arbitro tra voi? E disse loro: Guardatevi attentamente da ogni avarizia; imperocche non sta la vita d’alcuno nella ridondanza dei beni che possiede. E disse una similitudine: Un uomo ricco ebbe un’abbondante raccolta nelle sue tenute; e andava discorrendo dentro di sè: Che farò ora che non ho dove ritirare la mia raccolta? E disse: Farò così: Demolirò i miei granai, e ne fabbricherò dei più grandi: e vi radunerò tutti i miei beni, e dirò all’anima mia: O anima, tu hai messo da parte dei beni per moltissimi anni. Stolto, in questa notte è ridomandata a te l’anima tua: e quello che hai messo da parte, di chi sarà? Così avviene di chi tesoreggia per se stesso, e non è ricco per Iddio.

S. LUCA, Cap. 12.


Pensieri.

Uomo, chi mi costituì giudice e arbitro fra voi?

Pare sorpreso Gesù che a lui, messaggero spirituale, vivente solo e solo operante per un ideale soprannaturale, ripieno di vita divina e anelante di comunicarla agli uomini, alcuno si rivolga perchè componga dissidi terreni. A ciò non si sente chiamato il Maestro.

Un’anima dolorante, uno spirito desideroso di elevazione, questi attraggono le sue cure, questi Egli desidera intorno a sè... ma a chi si preoccupa della terra, delle sue vanità, solo di quelle, a costoro Gesù non ha nulla da dire; la sua parola non sarebbe capita; a che parlarla?

Gesù si sentì il mandato di Dio, ma non per sostituire i giudici della terra; questi se li preparano gli uomini, non è necessario che Dio intervenga per ciò. E si ritrae. E come Gesù, tutti gli uomini divini, mandati per la salvazione delle anime; si ritraggono dalle dispute, dalle occupazioni della terra e attendono per lavorare nel modo in cui ad essi solo è possibile.

Sublime altezza codesta, raggiunta da pochi, ma che testimonia quanto sovrano può essere il dominio dello spirito sull’uomo.

Quanto dilata ed eleva udire come tutti i santi han parlato e parlano delle cose caduche di quaggiù!

Che rivelazione dalla loro valutazione d’ogni cosa terrena!

Ciò spiega la libertà con cui usano dei beni, delle agiatezze, degli onori e la serena pace con cui se ne vedono privi! Che giovamento per la loro grandezza morale da ciò che oggi è e domani non è più? Essi senton bene che nulla può nè diminuire i loro tesori profondi di vita interiore, e incompresi, abusati, tenuti da mille ostacoli, non si trovan per nulla inceppati nel loro intimo e non senton che pena per la turba accecata che li circonda, che li opprime.

Quante volte si geme davanti a grandezze disconosciute e condannati a solitudini morali vertiginose; eppure è gemito che si confonde con grida d’ammirazione; i sovrani, nella lotta fra la luce e le tenebre, fra il bene e il male, chi sono?

Ma Gesù ama le anime, non può lasciar nell’errore, un errore che può riuscire fatale, il povero illuso che ha avuto una spinta a ricorrere a Lui, e tenta, con una parabola, di dare a chi lo interrna la sua visione interiore.

La vita non sta nel possedere, ma nel far bene; non ciò che gli uomini possono togliere gioia, ma ciò che rimane in eterno.

Il Vangelo non dice se quell’uno che di fra la folla interrogò Gesù, comprese la risposta divina: ma quanti la intesero ne’ secoli e la intendono, leggendo nelle pagine sante il verbo della vita.

È il trionfo nascosto, ma magnifico, di ogni parola di verità.

E questo è il conforto d’ogni apostolo, d’ogni santo, d’ogni martire! La morte per la verità — e si posson soffrire tante sorta di morti — ha la sua bellezza per l’uomo interiore, il quale sa che il bene non muore e che solo la verità salva l’uomo.

PENSIERI


Senza cure materiali, senza parola che la parola interiore, senza sentimento che quello dell’intelligenza, senza altra vita che quella dell’anima: vi è in tale distacco dal mondo una libertà piena di gioia, una felicità sconosciuta e cosi grande, che per farla durare io comprendo si possa nascondersi in un deserto.


La carità che è residuo di feste, non commuove, nè educa quelli a cui è fatta. Per commuovere ed educare, dev’essere frutto di sacrifizio.

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I funerali del cav. VESPASIANO GHISI

Nella loro voluta modestia, riuscirono degni dell’uomo cui si voleva prestare l’estremo tributo di riconoscenza di ammirazione. Il Consiglio direttivo dell’Istituto dei Ciechi; mons. Luigi Vitali, Rettore; i colleghi tutti di ufficio e un eletto stuolo di amici convennero, sabato mattina, alla mesta cerimonia. Altri amici, in numero rilevante, sorpresi dalla triste notizia fuori di città e quivi trattenuti, si associarono con telegrammi e lettere alla affettuosa dimostrazione.

Nel corteo funebre notavansi una rappresentanza della Società di M. S. fra i Ciechi, di cui il cav. Ghisi era stato promotore e cassiere, e una folta schiera di allievi e allieve, Maestri e Maestre dell’Istituto dei Ciechi. Sulla fronte della Basilica di S. Babila, ove si compie il rito funebre, leggevasi la seguente iscrizione dettata da mons. Vitali, nostro Rettore:

DIO PREMII NEL CIELO

IL CAV. VESPASIANO GHISI

PER 34 ANNI ECONOMO CASSIERE

NELL’ISTITUTO DEI CIECHI

ALLE DOTI DISTINTE DI AMMINISTRATORE

UNIVA LO ZELO E L’AFFETTO DI PADRE

LASCIA INCONSOLABILI

LA SPOSA, I PARENTI, GLI AMICI.

Al Monumentale, prima che la cara salma si avviasse al cimitero di Musocco, ove Egli volle essere tumulato, il Presidente dell’Istituto, prof. cav. Francesco Denti, mons. Luigi Vitali, Rettore, e la maestra Venturelli, dell’Asilo infantile, con commosse parole dissero l’estremo vale. Riportiamo qui appresso i tre discorsi perchè in essi, con la parola che vien spontanea dal cuore, è rievocata la figura buona e geniale, l’opera alacre e benefica del compianto nostro Economo-Cassiere.

«Dentro questa bara, riposa il sonno eterno, un uomo buono, una coscienza retta, un cuor d’oro, il cav. Vespasiano Ghisi, da ben 34 anni Economo-Cassiere dell’Istituto dei Ciechi.

«Patriota zelante, quando nel 1866 l’Italia mosse in armi contro l’Austria, noi lo troviamo fra le balde schiere giovanili, che, duce Garibaldi, fronteggiarono e vinsero il nemico fra le montagne del Trentino: Egli combattè si distinse nel sanguinoso scontro di Bezzecca.

«Tornato a Milano, fu prima impiegato nell’amministrazione del Convitto Nazionale Longone, quindi passò nel nostro Istituto dei Ciechi che non lasciò più fino alla morte.

«Uomo modesto, dai costumi semplici, dalle abitudini antiche, amministratore intelligente ed integerrimo, divideva il suo tempo fra l’ufficio e gli affetti famigliari, portando sempre e dovunque un senso di rettitudine esemplare ed una eletta coscienza del proprio dovere: poichè la sorte non gli aveva dato figli, dell’Istituto dei Ciechi si era fatta la propria Famiglia, lo scopo della sua esistenza, e ad esso dedicò tutte le proprie cure, tutto il proprio affetto, tutto il proprio entusiasmo, come un padre si compiace nel vedere il proprio figlio crescere in virtù ed in fama, così Egli si compiaceva nel vedere l’Istituto dei Ciechi da modeste origini, crescere d’anno in anno in riputazione ed in potenza benefica, ed amava riconoscere e far rilevare, con senso di ben giustificato orgoglio che, almeno in parte, ciò era il portato anche delle proprie fatiche, oltre che, e sopratutto, della valentia e delle doti impareggiabili dell’esimio Rettore Don Luigi Vitali. E quelle cure e quell’affetto che portò sempre all’Istituto dei Ciechi nel curarne l’incremento, ebbe poi anche per l’Asilo Infantile al quale dedicò, quale membro del Comitato fondatore, un lavoro assiduo, amoroso, disinteressato, che non ristette se non quando vide questa nuova opera di illuminata carità, ben consolidata ed assicurata per gli anni avvenire.

«I vari Consigli che si succedettero, riconobbero però i meriti notevoli del cav. Ghisi e lo tennero sempre in considerazione di una fra le personalità più importanti dell’Istituto, gli affidarono mansioni delicate e di fiducia, gli accordarono titolo ed attribuzioni di Rettore ad honorem dell’Istituto, e per il suo 25° anno di servizio, sollecitarono per Lui il cavalierato della Corona d’Italia, ben meritato compenso alla sua onorata carriera.

«Tale fu l’uomo che noi accompagnammo all’ultima dimora, al quale, coll’animo profondamente commosso, io reco qui il saluto doveroso e riconoscente del Consiglio dell’Istituto dei Ciechi che io ho l’onore di presiedere, e di quanti Consigli si succedettero nei 34 anni di sua preziosa collaborazione a vantaggio dell’Istituto: io qui reco al cav. Ghisi l’attestazione di perenne, affettuosa gratitudine di tutta la Comunità, di tutta quella serie numerosa di infelici che si succedettero nell’Istituto nei 34 anni di sua carriera, e che ebbero sempre da Lui cure affettuose e paterne.

«Possa il largo rimpianto ed il grato ricordo che il cav. Ghisi, per le sue virtù e per i suoi meriti, lascia fra di noi, alleviare almeno in parte il dolore profondo della di lui amata Consorte, che le fu sempre compagna affettuosa ed esempio di virtù e di bontà nell’Istituto, e che oggi nella desolazione della sua solitudine trova unico conforto nel pensare che lo spirito dello sposo diletto non l’abbandonerà mai fin che Ella vive, e che un giorno potrà riunirsi a Lui là ove più non si soffre, ove più non si muore».

F. Denti.

«Io non avrei mai creduto di essere chiamato a rendere il tributo dell’estremo commiato all’amico e collega cav. Vespasiano Ghisi. Questo ufficio toccava più giustamente a lui per me, per me di lui tanto più innanzi negli anni e di cagionevole salute.

«Una parola sola vale a far comprendere la strettezza dei rapporti che esistevano fra me e lui: sono trentaquattro anni che noi abbiamo vissuto insieme nella vita di comunità.

«L’Istituto in questo periodo di tempo ha subito una notevole trasformazione di progresso e di ingrandimento, passando dall’umile dimora sul Corso di porta Nuova, allo splendido edificio di Via Vivajo: quante speranze, quante difficoltà incontrate, vinte; quanti trionfi! L’opera del cav. Ghisi si trovò in questo lungo tempo [p. 263 modifica]mescolata colla mia; spesse volte, nelle mie frequenti assenze, l’ha sostituita. In questo esercizio io ebbi campo di constatare le elette qualità che adornavano la sua mente e il suo cuore.

«Una qualità era eminente presso di lui, l’amore che egli portava all’Istituto: l’Istituto era la sua famiglia: il bene dell’Istituto, la sua grandezza, i suoi trionfi, egli li considerava come grandezze, come trionfi propri. Questo amore, convertito in zelo, era più ardente allora quando qualche impegno speciale chiamasse l’Istituto dinanzi al pubblico: in quelle circostanze il cav. Ghisi si moltiplicava: tutto prevedeva, e a tutto provvedeva. E quando l’Istituto ne usciva cresciuto nella stima del pubblico, favorito di maggiori mezzi, egli ne godeva come se l’onore, come se il vantaggio fossero toccati a lui.

«In una speciale circostanza l’opera del cav. Ghisi tornò di notevole particolare vantaggio all’Istituto: nel mantenere verso l’Istituto inalterata, costante l’affezione delle sorelle Zirotti: affezione che valse un patrimonio. E se le benefiche signore, persuase dell’opera sua zelante, vollero attestargliene la riconoscenza con un compenso, facendolo arbitro ira diverse forme di. questo compenso, il cav. Ghisi scelse quella che a scapito suo tornava di maggior vantaggio all’Istituto.

«L’Asilo Infantile, ultima delle istituzioni aggiunta all’Istituto, ebbe nel cav. Ghisi una valida collaborazione: non ebbe la prima parte nell’onore; ebbe quella, che più monta, del lavoro paziente dell’amministrazione.

«Gli venne fatto l’appunto di usare alle volte forme troppo risolute e vibrate: egli stesso ne ammise la verità. Ma correggeva subito l’asprezza colla dolcezza, e gli animi erano tosto rappacificati e contenti, perchè a tutti appariva che se la parola era dura, il cuore era paterno; che l’asprezza era transitoria, e permanente e sincera la bontà del cuore.

«Era stato assai lieto in questi ultimi tempi dei miglioramenti da lui molte volte invocati alla Casa di Binago: ne vide gli inizi, se ne compiacque: il compimento non potrà vederlo più!

«L’opera del cav. Ghisi, proficua per l’Istituto nel passato, non lo sarebbe stato meno nel futuro, pel vantaggio della acquistata esperienza: ne crescerà il pregio quando in seguito se ne avvertirà la mancanza.

«Ma il mio pensiero vola con trepida commozione a qualcuno, a cui la mancanza del cav. Ghisi torna di indimenticabile cordoglio, la consorte, da lui sempre teneramente amata: come egli amò i ciechi, essa con lui li amò coll’amor di madre. I ciechi la compensano colla riconoscenza di figli. Valga questo pensiero a lenire il suo dolore, il dolore dei parenti e degli amici: il culto dell’amicizia era un’altra sua nota caratteristica, altra prova del suo cuore nobile schietto generoso.

«Addio, caro e vecchio amico; noi ci ricorderemo di te dinnanzi a Dio, come tu dinnanzi a Lui ti ricordavi de’ tuoi genitori: questo connubio dell’amor domestico col sentimento della fede, salga come profumo di preghiera e di merito dinnanzi a Dio, e coll’amore che hai portato e hai fatto ai ciechi, diventi il diadema della tua gloria in Cielo!»

L. Vitali.

«A chi fu compagno, amico, fratello al nostro Economo, nel lungo periodo dell’operosa sua esistenza; a chi ha avuto campo d’ammirarne l’ingegno, la forza, ed anche i non pochi sacrifici sostenuti, onde tenere sempre alto il prestigio della provvida nostra istituzione, abbiam lasciato il compito di tessere l’elogio di sua vita. A noi, siccome espressione dell’affettuoso estremo saluto, a noi si permetta manifestare a Lui, l’omaggio della grande incancellabile nostra riconoscenza. «— Il signor Economo per tutti, ma specialmente per noi, ha un cuore buono, sensibile, generoso — era questo l’unanime grido di quanti ciechi hanno avuto il bene di conoscerlo ed apprezzarlo nel lungo periodo in cui visse della nostra vita, dedicando a nostro vantaggio energia, mente e cuore. Vorrei che tutti i ciechi sparsi nelle diverse parti d’Italia, già allievi dell’Istituto nostro, vorrei che tutti potessero qui convenire per porgere l’estremo saluto al caro estinto; oh come lo farebbero di cuore! perchè tutti avrebbero a ricordare dei favori, dei benefici ricevuti dalla generosa sua bontà.

«Da poco principiate le vacanze nell’Istituto, molti ciechi trovansi presso le loro famiglie; sono partiti lasciando il nostro signor Economo in buona salute; quale senso di tristissima angoscia proveranno nel ricevere il crudele annuncio dell’inattesa sua dipartita!

«Cari compagni, che al par di noi piangerete la perdita del nostro benefattore, cari amici il cui pensiero in quest’ora d’amarezza sarà certamente unito al nostro, è anche per voi ch’io gli porgo l’affettuosa parola d’un riconoscente saluto. E per voi pure, piccoli ciechi dell’Asilo Infantile, devo io esprimere l’omaggio di gratitudine, di benevolenza, d’addio, al benemerito che qui si piange; poichè anche a voi ha fatto ed ha voluto tanto bene nella nascente vostra istituzione. E quando vi si dirà: bambini, il signor Economo non è più, voi pure proverete un senso d’amaro sconforto, ed elevando l’innocente anima vostra a Dio, pregherete pace all’immortale suo spirito.

«Oh in quanti cuori l’improvvisa tua dipartita, o nostro caro Economo, in quanti cuori ha lasciato il vuoto, lo scoraggiamento, lo sconforto! Con quanta riconoscente tenerezza l’Istituto nostro avrebbe ancora fruito dell’opera tua intelligente laboriosa indefessa! Come sereni e tranquilli sarebbero scorsi ancora al tuo fianco i giorni alla diletta compagna della tua vita! Oh potesse l’espressione dell’affetto che per te e con te noi le serbiamo, potesse alleviarla nel grande inconsolabile suo giusto dolore! Ma ciò che a noi è impossibile, lo potrà l’ardente preghiera che da innumerevoli cuori da te beneficati, s’innalzerà costantemente al buon Dio, perchè doni alla tua Cara rassegnazione, forza e coraggio; a te, l’eterno gaudio del cielo, dove speriamo raggiungerti un giorno, ed ivi ripeterti l’inno della riconoscenza e dell’amore».

Maestra Carolina Venturelli.