Il buon cuore - Anno X, n. 15 - 8 aprile 1911/Beneficenza

Beneficenza

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Il buon cuore - Anno X, n. 15 - 8 aprile 1911 Religione

[p. 113 modifica]Beneficenza


L’inaugurazione della bandiera

della

Società di Mutuo Soccorso fra i Ciechi e Semi-Ciechi

Con imponente solennità, domenica, 2 corrente, nel salone dell’Istituto dei Ciechi, veniva inaugurata la bandiera della Società di Mutuo Soccorso fra i Ciechi e Semi-Ciechi. Quale la natura e lo scopo della Società sono ben delineati nel discorso, che riportiamo più sotto dall’egregio maestro cieco Ascenso Antonio, Presidente della stessa Società.

Sul palco, intorno alla bandiera da inaugurarsi, coperta da un velo bianco, erano allineate molte bandiere di altre società cittadine di Mutuo Soccorso.

Nei posti d’onore assistevano il rappresentante del Prefetto, cav. Emprim, il Presidente dell’Istituto dei Ciechi, cav. prof. Denti, e l’ex consigliere dell’Istituto avvocato Lino Barbetta, colla sua signora, madrina della bandiera.

Gli allievi Ciechi eseguirono prima un pezzo di musica, con archi ed arpa, composizione del maestro cieco Fiorentini, accompagnante alcune romanze, cantate dalla signorina cieca, Pia Tolomei, ex-allieva dell’Istituto.

Il maestro Ascenso lesse poi il suo discorso, coronato in fondo da un generale applauso.

Finito il discorso la signora Barbetta, a lato della bandiera liberata dal velo, con gentili e appropriate parole, diede il saluto alla bandiera, e altre parole di presentazione, con frase viva e brillante, pronunciò in seguito l’avv. Barbetta. Una bambina cieca presentò con parole gentili alla madrina un mazzo di fiori.

Tutte le bandiere furono allora raccolte e avvicinate in segno di rispettoso saluto intorno alla nuova bandiera.

Vennero recitate, da un membro della Società, alcune strofe di saluto alla bandiera, e il Rettore dell’Istituto dei Ciechi aggiunse brevi parole, ringraziando e compiacendosi della nuova Società, che torna di utile complemento alle altre istituzioni di aiuto ai Ciechi.

Un altro pezzo di musica fu eseguito col canto dalle allieve, con a solo dell’allieva Tamburini.

Una bicchierata d’onore col vermouth chiuse la ben riuscita festività.

Ecco l’importante discorso del maestro Ascenso:

Gentili Signore, egregi Signori,
cari confratelli,

A voi tutti che rispondeste s’Aleciti e numerosi al nostro invito, dando colla vostra presenza un carattere più solenne e più significativo a questo lieto convegno, io porgo a nome del sodalizio che in questo momento ho l’onore di rappresentare, le più sentite grazie.

La festicciuola che oggi noi facciamo è cosa assai modesta, lo so; eppure essa ci riempie l’animo di una gradita soddisfazione e suscita in noi il sentimento della più legittima compiacenza, talchè non avremmo saputo dispensarci dal farne partecipi anche voi, o Signori, perchè sappiamo benissimo, per esperienza fatta, con quanto interessamento voi vi prendiate sempre a cuore tutto ciò che può contribuire al bene della nostra classe. Ma che c’entra, mi direte voi, il bene dei Ciechi coll’ inaugurazione di un vessillo sociale? O Signori, questo vessillo è il risultato, la testimonianza, l’affermazione di sforzi da noi compiuti, d’ansie durate, di difficoltà superate, col concorso benevolo ed efficace di non pochi tra voi.

E poichè la solennità di questo giorno segna una tappa nel cammino da noi percorso, e un punto di partenza per quello assai più lungo che dovremo ancora percorrere, permettete ch’io mi faccia a riandare [p. 114 modifica]brevemente le passate vicende del nostro sodalizio e ne riassuma le finalità: ciò varrà a farlo meglio conoscere ed apprezzare; e chissà che le mie povere parole non abbiano a procurarci la benevolenza di qualche anima gentile che per avventura ci avesse fino ad oggi ignorati.

Nei primi anni che seguirono la fondazione del laboratorio Zirotti (così chiamato dal nome del rimpianto medico che morendo legò all’Istituto dei Ciechi una cospicua somma all’uopo), fondazione destinata a dar lavoro ai Ciechi adulti che non avessero potuto applicarsi agli studi durante l’infanzia, o che non fossero riusciti a ritrarre profitto dagli studi fatti, l’amministrazione dell’opera doveva procedere con molta cautela per non esporsi al rischio di passività troppo gravi, e non poteva quindi largheggiare cogli operai, come sarebbe stato desiderabile. Essi alla loro volta, data la limitazione del loro salario, si trovavano nell’impossibilità di fare il benchè minimo risparmio pei casi di forzato impedimento al lavoro. Tale stato di cose fece sorgere negli operai del laboratorio l’idea di associarsi, per integrare il mutuo soccorso col minor sacrificio possibile, prendendo per base i criteri che informano le società ordinarie di mutuo soccorso; e così, verso il 1897 sorse l’Associazione fra i Ciechi del laboratorio Zirotti. Senonchè, non consentendo il numero troppo limitato de’ suoi membri di realizzare entrate adeguate ai bisogni, o mancando la maggior parte dei soci dell’esperienza necessaria al regolare funzionamento del sodalizio, dopo qualche anno, passato tra le difficoltà e le incertezze, essa dovette sciogliersi.

Ma il seme era gettato e non doveva andar disperso. Un membro della piccola società disciolta, l’operaio cieco Pietro Mantelli, facendo tesoro delle inesperienze che avevano fatto fallire il primo tentativo, andava maturando in cuor suo un disegno più completo e ardito. « Perchè » pensava egli « limitare il mutuo soccorso ai Ciechi del laboratorio Zirotti e non farne invece fruire tutti i Ciechi e i semi-ciechi della città? e perchè limitarsi al mutuo soccorso, mentre alla nostra classe urgono tanti altri provvedimenti di ordine morale, intellettuale ed economico che ne migliorino le condizioni? » E con l’entusiasmo che dà la gioventù e la coscienza di compiere un’azione redentrice, colla parola calda, persuasiva, insistente, egli riuscì a convincere tutti i suoi compagni di lavoro della necessità di ritentar la prova su basi più salde e più estese. Ed ecco che il 22 gennaio 1903 un manipolo di una ventina di Ciechi, riuniti e presieduti da un insigne Parlamentare, proclamava costituita la prima « Società di mutuo soccorso fra i ciechi » che sia mai sorta in Italia.

Fra i criteri capisaldi a cui il Mantelli volle s’informasse la nascente società, merita particolare attenzione questo, ch’essa dovesse esser diretta ed amministrata esclusivamente da Ciechi, e ciò per due ragioni principali: cioè perchè, avendo essi piena e precisa conoscenza dei loro bisogni, sono in grado d’indicarli ai loro generosi protettori veggenti; e possono altresì suggerire ad essi i mezzi più atti a provvedervi quando non abbiano la possibilità di provvedere da sè medesimi; e poi per provare al pubblico che i Ciechi intelligenti sono capaci di regolare da sè le proprie faccende al pari dei veggenti intelligenti, protestando così implicitamente contro la legge (oggimai un vero anacronismo), che ci dichiara inabili.

I primi anni di vita del minuscolo sodalizio non furono certamente sparsi di rose: anche questa volta non mancarono le inesperienze di tattica e le esuberanze di propositi, perdonabili conseguenze dell’ardore giovanile; e a ciò bisogna aggiungere che non tutti i Ciechi si resero subito conto del bene derivante dallo spirito di associazione, e non risposero compatti all’appello, come avremmo sperato. Ma le inesperienze e le esuberanze furono tosto avvisate; lo Statuto primitivo venne ripetutamente modificato, alleggerito, e finalmente limitato a ciò che può essere veramente pratico e non superiore ai nostri mezzi. Fu nostra cura mantenerci sempre nei più cordiali rapporti con questo Istituto dei Ciechi, di cui il nostro sodalizio può dirsi una ramificazione; e di ciò non possiamo che lodarci, poichè, tanto da parte dell’Onorevole Consiglio d’amministrazione quanto da parte del Benemerito Rettore, di tutto il corpo insegnante, noi ricevemmo sempre in ogni occasione le più lusinghiere dimostrazioni di simpatia; e valga per tutte a provarlo il presente trattenimento, alla riuscita del quale tutti qui indistintamente gareggiarono per noi d’impegno e di gentilezza.

Dopo i primi esperimenti di vita sociale, dovemmo accorgerci che, ad onta della nostra costanza e del nostro buon volere, le nostre sole forze non bastavano a farci prosperare; pensammo allora di ricorrere ad un mezzo che a Milano non ha mai fallito. Dobbiamo metterci a contatto coi veggenti, abbiamo detto, e renderceli amici. Chiediamo loro qualche cosa, il meno che sia possibile, ed in compenso invitiamoli a venire da noi, ad ascoltarci, a studiarci, a conoscere i nostri bisogni. Ed ecco così create le diverse categorie di soci veggenti, cioè contribuenti a una Lira all’anno, onorari, perpetui, con diritto per tutti d’intervenire alle assemblee, restando tuttavia fermo il principio della gestione sociale affidata ai Ciechi. Tale espediente, mercè lo zelo e l’attività di alcuni soci volonterosi, valse a rialzare alquanto le condizioni economiche del sodalizio, e oggi abbiamo ragione di ritenere scongiurato il pericolo di morire di anemia. A tutt’oggi il numero dei soci si eleva a 225, così ripartiti: Effettivi 30, Contribuenti 157, Onorari 36, Perpetui 2. E speriamo che i nostri fratelli di sventura che ancora non fanno parte dell’Associazione si risolvano ormai a vincere le ritrosìe, a togliersi dall’isolamento, per unirsi a noi affine di accrescere le forze comuni e di cooperare a vantaggio di tutti.

Fra i benefici che ricevemmo dalla filantropia pubblica e privata ci piace ricordare che il Comune di Milano volle più d’una volta annoverare anche la nostra Società fra quelle a cui suol fare una elargizione annuale nella ricorrenza dello Statuto; e ricorderemo inoltre con particolare gratitudine la munifica elargizione di lire mille, fattaci dagli eredi del rimpianto [p. 115 modifica]Cav. Enrico Boselli, in omaggio alla memoria del loro congiunto. Per chi non lo sapesse il Cav. Boselli, che insegnò in questo Istituto per più di mezzo secolo, fu pure tra i Ciechi che maggiormente beneficarono la nostra società, e la sua perdita fu per noi un vero lutto; e lutto grandissimo fu pure per noi la morte immatura del nostro fondatore Pietro Mantelli, la cui fede ed energia valsero quasi da sole a reggere il sodalizio nei momenti più difficili; e chi sa quale sarebbe stata la sua soddisfazione s’egli avesse potuto assistere a questa festa e vedere i buoni frutti dell’opera sua consolidata!

(Continua).


Per l’Asilo Convitto Luigi Vitali pei bambini ciechi



Per la festa delle ova di Pasqua


Offerte in denaro.

»Signore Antonia e Caterina Besozzi |||
 L. 100 ―
Signora Giulia Ferri Fioretti |||
   » 20 ―
» Vittoria De-Magri |||
   » 5 ―
» Giuseppina Gobbi Silvestri |||
   » 5 ―
» Leontina Giusti Cimbardi |||
   » 5 ―
» Giuseppina Torri Ferri |||
   » 20 ―
Don Ermes Visconti |||
   » 25 ―
Signora Maria Gallone Zinelli |||
   » 10 ―
Signorina Tina Ponzoni |||
   » 10 ―
Signora Carla Merlini Giussani |||
   » 5 ―
» Isoletta Naef Biancardi |||
   » 10 ―
» Maria Taroni |||
   » 15 ―
» Teresa Peduzzi Bonomi |||
   » 30 ―
» Amalia Fossati Staurenghi |||
   » 30 ―
Donna Amalia Sertoli |||
   » 10 ―
» Giuseppina Sertoli |||
   » 10 ―
Principessa Lena Trivulzio |||
   » 20 ―
Donna Matilde Sormani |||
   » 10 ―


Offerte in ova.

Signora Maria Fanelli, n. 4 ova variate.

»Amelia Neuschaeffer, n. 12 ova lacca giapponese.

Bambini Arnaldo e Adelaide Castiglioni, n. 14 ova bellissime.

L’assicurazione contro gl’infortuni agricoli


(Continuazione e fine, vedi n. 14).



Il principio dell’estensione del terreno fu, per la sua praticità e semplicità, assunto come base fondamentale dalle Associazioni private per l’ assicurazione agricola (si noti che circa cento grandi proprietari e conduttori di fondi hanno già in corso contratti di assicurazione agricola pei lavoratori delle loro terre). Il sistema proposto dal Sen. Conti reca alla proprietà fondiaria il minor aggravio possibile.

E infatti i terreni, secondo la cultura si dividono in ettari 1,670,000 di terreni irrigui; 11,000,000 di terreni a cultura; 2,749.000 di terreni a terzo; 4,505,000 di terreni a castagneto e boschivo; 359,000 di pascoli alpini. Gli ettari coperti dall’Assicurazione agraria sarebbero perciò 20,283,000. I premi di assicurazione salirebbero per le dette categorie rispettivamente a lire: 1,837,000; — 9,900,000; — 1,924,300; — 1,802.000; — 71,800. In totale lire 15,535,100 per 20 milioni di ettari e per 9,611,003 agricoltori d’ambo i sessi (media L. 1.60 a testa). Il Senatore Conti ritiene che l’opposizione fatta al suo progetto, in nome dell’aggravio complessivo di 15 milioni per l’api-coltura, non è seria, perchè tale aggravio si ripartirebbe su 20 milioni di ettari di terreno, in modo che un appezzamento di 4 ettari (40 mila mq.) verrebbe a pagare in media sole L. 4 annue di spese d’assicurazione. Il Senatore Conti crede invece che la media massima del premio potrà consolidarsi in una lira per ettaro, e la media minima in centesimi cinquanta.

Siamo perfettamente d’accordo con l’on. proponente, perchè veramente la classe dei lavoratori della terra fa, al giorno d’oggi, tutta la figura della Cenerentola nell’affluire delle nostre leggi sociali. Chi fu escluso dal probivirato, dal riposo festivo, dall’ispezione del lavoro, dal lavoro notturno, dalle assicurazioni per infortuni? Il proletariato rurale. Ed è per esso che è bene finalmente sollevare alta la bandiera della giustizia e della parità di trattamento, direi anzi della priorità di trattamento in un paese eminentemente agricolo qual’è l’Italia. Questa battaglia ci proponiamo di combattere con una serie di articoli sulle questioni più urgenti dell’agricoltura, tanto più d’attualità in quanto, data la stagione invernale, i lavori de’ campi sono in periodo di tregua, ed è questa appunto l’epoca dello studio dei problemi della vita rurale.

Interessante, dal lato della legislazione comparata, è il voto emesso dall’Association française pour la protection légale des travailleurs: «che il rischio professionale sia esteso alla riparazione degli infortuni sul lavoro avvenuti nelle industrie agricole e forestali. Ritiene che è soltanto coll’organizzazione di un regime d’assicurazione obbligatoria, raggruppante gli agricoltori in associazioni mutualiste, che codesta estensione sarebbe più completamente e facilmente realizzata. Domanda, inoltre, che i piccoli proprietari, il cui reddito annuo non oltrepassa una certa cifra, siano essi stessi obbligatoriamente garantiti per mezzo d’una tassa speciale, contro gli infortuni che possono colpire essi o i membri della loro famiglia, che li aiutano ne’ loro lavori. Se il Governo si opponese al regime di assicurazione obbligatoria e mantenesse il principio di libertà regolamentata, consacrata dalla legge 1898, l’associazione ritiene che non sarebbe necessaria una legge speciale, ma basterebbe applicare con qualche modificazione la legge 1898, tenendo perciò conto: a) che il benessere della legge non abbia luogo per le persone che, senza mercede, prestano la loro opera al proletario; b) che tutti gli infortuni avvenuti pel fatto o l’occasione del lavoro diano luogo a indennità; c) che le regole della prova dell’infortunio, quali risultano dalla legge 1898, non siano modificati; d) che la indennità giornaliera e gli interessi siano calcolati sulla totalità [p. 116 modifica]del salario guadagnato dalla vittima, ecc.; e) che non siano modificate le disposizioni della legge 1898, concernenti: 1) l’ammontare delle indennità alle vittime o ai loro rappresentanti, 2) il punto di partenza dell’indennità del mezzo-salario, 3) e si mantenga l’assimilazione fra l’operaio francese e straniero; f) che i proprietari possano assicurarsi, per tutte le indennità, a mutualità comunali, intercomunali e cantonali o altro, create in forma preveduta dalla legge 1900, purchè esse comprendano almeno so aderenti, riassicurino almeno il 25 a 75% delle indennità a società riconosciute dallo Stato e sottoposte al suo controllo. E altri due voti d’indole tecnica.

Fra i paesi, che già posseggono attuata l’assicurazione contro gli infortuni agricoli, dobbiamo segnalare la Germania (legge 5 maggio 1886), l’Inghilterra (legge 3o luglio 1900, che non obbliga i padroni che occupano abitualmente uno o più operai), la Nuova Zelanda (legge 18 ottobre 1900), il Queensland (legge 20 dicembre 1905), il Belgio (legge 24 dicembre 1903, con regole identiche per gli accidenti agricoli e gli accidenti industriali).

La Danimarca (legge 27 maggio 1908) estese agli operai agricoli e forestali le regole sull’indennizzo degli infortuni, stabilite dalla legge 7 gennaio 1908, che riguarda gli operai delle industrie.

Essa abbraccia tutti gli operai agricoli, orticoli e forestali, indennizza tutti gli infortuni causati dalla cultura del suolo o dalle circostanze in cui si opera codesta cultura o nel corso dei lavori domestici accessori.

La legge fa distinzione fra i piccoli proprietari (meno di 6000 corone; — circa 8000 lire — non compreso il bestiame e il materiale rurale), e i grandi proprietari (più di 6000 corone); l’assicurazione è obbligatoria pei secondi, facoltativa pei primi. Le indennità sono dovute solo a partire dalla quattordicesima settimana, per ’gli infortuni che durano oltre tredici settimane. E codeste indennità non comprendono le cure farmaceutiche.

Il progetto di legge italiano presenta certamente dei caratteri di maggiore chiarezza, nei confronti delle leggi estere, e inoltre forse porge campo a una maggiore facilità di attuazione ed equità nella ripartizione degli oneri gravanti sui proprietari fondiari in ragione dell’estensione delle loro terre e del valore delle medesime. Ci auguriamo che presto giunga in porto questo progetto di legge, che concerne la classe più benemerita della ricchezza nazionale. Per essa si richiedono altri provvedimenti, che noi riteniamo urgenti, e che saranno diretti all’elevazione materiale e morale del proletariato rurale. Sulle sue spalle poggia gran parte del commercio e della stessa industria nazionale, e fino ad oggi non è stato beneficiato di speciali cure dalla nostra legislazione sociale. I tempi sono mutati e anche nell’agricoltura le situazioni si sono cambiate; i nuovi processi e i nuovi metodi di cultura richiedono cure nuove e ignorate nei tempi andati. Per invocarle, alziamo la voce, fidenti che, coll’interessare l’opinione pubblica, efficacemente a codesti problemi vitali della vita industriale e agricola della nazione, avremo preparato un buon terreno per accogliere favorevolmente gli sforzi del legislatore. E per questa legge sull’assicurazione agricola diremo, col Sen. Conti, che «tanto più utile sia individualmente sia socialmente riuscirà la legge e tanto maggiore sarà anche la sua influenza morale e la sua opera pacificatrice, quanto più potrà essere approvata con facilità rapidamente e con sano criterio di giustizia».

Paolo Cesare Rinaudo.