Il buon cuore - Anno X, n. 06 - 4 febbraio 1911/Educazione ed Istruzione

Educazione ed Istruzione

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Beneficenza Religione

[p. 42 modifica]Educazione ed Istruzione


LIBERO

Era un giovine frassino, l’onore
del boschetto natio;
tra’ suoi floridi rami il novo albore
rivegliava d’augelli un cinguettio.


Cercando i moli: baci de la brezza
e il caldo amor del sole,
si ergeva in alto, con la sana ebbrezza
di chi intende la vita e sogna e vuole.


Ma una sera d’estate, l’improvviso
furor d’un uragano
turbò, con voce di rovina, il riso
verde e la pace de!’agreste piano.


Egli, il giovine frassino, sperava
(poiché l’età sua prima
di fede un’idea! forza gli dava),
tutti sfidar con l’agile sua cima.


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Ma la rabbia del turbine crescente
l’avvolse, lo scrollò,
lo contorse ululando e finalmente,
ribelle invano, a terra lo curvò.


Ne la lotta fra l’essere ed il fato
(lotta che affrange e doma),
un pino stento che gli stava a lato,
nei pigri rami gl’impigliò la chioma


e l’avvinse così, che il giovin fusto
(come chi d’anni carco
già sente il gel de l’orizzonte angusto),
si venia ripiegando a mo’ d’un arco.


Le fronde, avvezze a dominar l’azzurro
splendor del firmamento,
avvezze a ricambiar d’un pio sussurro
degli augelletti garruli il concento;


fra gli artigli sottili ond’eran presi
giacean lambendo il suolo,
da mortale languore ahimè già offese....
Ma a tempo se n’avvide il boscaiuolo,


che, in pochi colpi della pronta accetta,
tagliò l’inutil pino.
Disciolto allora da l’infida stretta
che mal suo grado lo tenea reclino;


il giovinetto frassino risorse
(obliando l’assalto
che tanto danno in suo furor gli porse)
verso l’aperta libertà d’in alto.


Corse un brivido lungo di speranza
tra i flessuosi rami;
gli ospiti alati in suono d’esultanza,
si scambiarono i soliti richiami.


E, ritornando ai baci de la brezza
ed a l’amor del sole,
beati ancora ne la sana ebbrezza
di chi intende la vita e sogna e vuole;


l’albero ricantò l’inno a la speme
ed alla libertà;
l’inno che eterno si diffonde e freme,
per ogni creatura in ogni età...


Che è mai l’amore se infecondo e schiavo,
non sa mirar sublime?
e la vita, che è mai se un giogo ignavo
di passioni misere l’opprime?....


Meglio, oh meglio cader per l’affilata
scure del boscaiuolo,
che languir facil preda inonorata,
d’un vil che seco ci tien proni al suolo.

Maria Motta.

Maestra Cieca.




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Giornalisti Missionari

Dev’essere una gran brava persona quel sig. C. I. D. che ha scritto il bellissimo articolo «Per l’igiene del giornalismo», come una gran brava persona è assolutamente il comm. Ghelli che la pubblicò il 15 settembre scorso nel giornale fiorentino a «La Nazione» da lui così degnamente diretto! Ed ogni persona che abbia un po’ di buon senso e l’abbia letto, dev’avere applaudito. Primissimi tra tutti, i signori Giornalisti i quali certamente son tutte persone di buon senso, e devono essere ritenuti tali perchè non si può supporre che chi governa il mondo come Quarto Potere, debba mancare di quel buon senso che anche da solo, senza l’aiuto del genio, rarissimo sempre ma specialmente negli uomini che hanno in mano un potere qualunque, potrebbe bastare a governare bene questo mondo birbone. Di certo dunque anche i signori Giornalisti avranno detto bravo! all’Articolista. In quanto poi al metter in pratica i suoi saggi consigli.... è un altro paio di maniche.

La questione della Cronaca del male è stata portata in ballo tante volte, che ormai, visto il nessun resultato che se ne ricava, si può dire che è venuta a noi come la questione di Giovanni Orth e quella di Miss Elkins, da cui finalmente pare che la misericordia di Dio e un po’ di questo non mai abbastanza lodato buon senso in altissime sfere ci abbia liberati per sempre.

Chi non ricorda il famoso Referendum sul Giornale d’Italia? Tutti gli onesti, e si lessero allora i più autorevoli nomi, deplorarono il sistema dei resoconti giudiziari, della cronaca lubrica o cinica dei delitti e dei suicidi. Ebbene il giornalismo se ne rise di quella deplorazione, come.... certi uomini politici se ne ridono di certe altre! Continuò a imbrandirci a tutto pasto i più schifosi particolari per soddisfare le più malsane curiosità, più bassi istinti, pago, beato lui! di contentare la canaglia, non importa se sporca e malvestita o profumata ed elegante. I più reputati giornali, e coscienziosamente bisogna dire che neppure i giornali di parte francamente cattolica se ne astengono, per quanto non scendano a delle lubriche espressioni, possono, in quei dati casi, aspirare all’onore d’esser letti nei postriboli, ai frequentatori dei quali si fanno anche spesso, con lo sminuzzare le circostanze più ributtanti, maestri d’accortezza, di furberia nei delitti più atroci.

Che importa tutto questo? i soldini piovono, si convertono in oro; e l’oro, lo diceva anche Vespasiano imperatore, non ha cattivi odori: venga dal lupanare o dal palazzo è sempre il benvenuto.

Perchè di qui non se n’esce, mi pare; o la cronaca schifosa si fa per amore del soldino o per la mania di sguazzare nel fango: nell’un caso o nell’altro c’è poco da andarne superbi, mi sembra. Esclusi questi due casi, rimarrebbe solo quello del proposito deliberato, voluto, di corrompere gli animi, il che, del resto, io escludo a priori assolutamente e sinceramente. So che nel giornalismo militano molte oneste persone; e lo dico con cognizione di causa, perchè io stesso ho fatto parte della redazione di alcuni giornali, e non degli ultimi [p. 44 modifica]per importanza, ed ho poi continuato nella collaborazione di altri.

Ma la grande obbiezione è questa: si fa così perchè il pubblico vuol così! Niente affatto: lo ripeto, rudemente se volete ma chiaramente, la canaglia dorata o scamiciata non è il pubblico; e rendersi schiavo di quella, lordarsi di fango per piacere a quella, non è un bel vanto, nè un titolo di gloria per un gioinale che si rispetta. Ci sono certi giornali i cui lettori più assidui sono quelli ascritti alla mala vita, che li leggono appunto per appagare la loro turpe curiosità, per poter tener dietro a tutte le gesta della teppa, e poterne, a tempo e luogo, trarne profitto. Si lasci a loro il non invidiabile vanto!

Come deve esser superbo un certo giornale di aver sentito dire, parecchi anni or sono, in piena Corte d’Assise, dall’infame assassino della Marietta Goretti, una fanciulletta di 12 anni, che al delitto atrocissimo era stato spinto dalla lettura dei delitti così minuziosamente narrati in quel foglio quotidiano!

Spesso non solo le persone colte, e delle classi elevate, ma lo stesso popolino onesto ho sentito inveire contro questa mania giornalistica, questo sfoggio di luridume, nauseati anch’essi, quei lavoratori onesti, che pur si dice sempre di voler educare, manifestavano, e non a me, così fra loro parlando, la propria indigna. zione con i termini di cui il vernacolo fiorentino è così ricco, e che naturalmente non mi è permesso di riportar qui per rispetto ai miei lettori e anche per riguardo a quei giornalisti ai quali s’indirizzavano quegli accenni e quelle riflessioni.

Senza esser dei colli torti nè dei bacia pile, siamo ormai a tal punto che bisogna dir apertamente, come l’egregio signor C. I. D. — il quale è del resto un avvocato e pubblicista stimato assai a Firenze — che «i giornali sono agenti provocatori d’immoralità e di violenze, e che, nella genesi del delitto, è un elemento etiogenico importantissimo il quotidiano avvelenamento della stampa o perversa od inconscia del male che alimenta». E scusate se è poco! o perversa od inconscia: nel primo caso, dunque questione d’onestà; nel secondo.... d’intelligenza. A scelta, Signori! Voi già sapete che la prima io l’escludo, benchè accetti pienamente tutte le ragioni e le conclusioni del dotto artiticolista. E dico dotto perchè Egli non è venuto a parlare di questa, che è veramente una cattiva azione del giornalismo, in nome della morale cristiana, del catechismo o dei dieci Comandamenti; Egli ha tratto i suoi argomenti stringentissimi dalla psicologia e dall’antropologia; non ha fatto questione di Fede, ma di Scienza; in nome della fratellanza umana ha chiesto a chi ne ha il dovere di curare l’igiene dello spirito, come, in nome della salvezza della popolazione, si cura l’igiene del corpo. Ogni interesse particolare ceda davanti a questa; ceda così ogni altra considerazione personale davanti alla prima; e quali siano queste considerazioni lo abbiamo veduto. È questione di solidarietà umana, di salvezza sociale.

Poichè, lo dico a lode del Comm. Ghelli, c’è stato un Direttore di giornale serio e autorevole come la Nazione, la quale ha avuto il coraggio di pubblicare quell’articolo, che nella sua serenità è la più terribile requisitoria contro questo continuo delitto sociale della stampa quotidiana, abbia Egli, il Direttore della Nazione, il nobile coraggio di farsi iniziatore di questa santa crociata, a cui tutti, da chi è al sommo della scala sociale fino a chi e nel più basso scalino, hanno il dovere di concorrere. Cessi una buona volta il ruffianesimo della quarta pagina.

— Ah, ma noi l’abbiamo affittata! — si dice — che ci possiamo fare?

— Sta bene rispondo — ma quando un padrone di casa onesto sa che i suoi inquilini subaffittano per usi equivoci li licenzia, di punto in bianco. A una persona per bene ripugna di rendere certi servizi: nessuno dei proprietari di giornali che affittano la IV o VI pagina del proprio giornale si adatterebbe.... a reggere il moccolo; eppure!... Finiamola con certi annunzi che puzzano di spedale: e finiamola pure con l’apoteosi dei delinquenti nella riproduzione delle loro sozze figure, delle scene di sangue dei loro delitti! Tutto ciò è lurido; e i Giornali più reputati devono continuare a farsi gli espositori del luridume? E la famosa Missione della stampa dove va a finire così? È una frase magnifica questa, che fa capolino spesso spesso nelle colonne dei giornali, come il «bene del poppolo» nelle bocche dei più grassi e aristocratici socialisti; ma, come questa, anche quella pare non abbia senso. Ogni tanto, è vero, qualche Giornalista, da buon Missionario, salta in pulpito e snocciola il suo bravo predicozzo che fa pianger di tenerezza gl’ingenui e fa ridere sotto i baffi i più furbi: parla della necessità dell’educazione popolare, si strugge di compassione per i bimbi poveri, fulmina la teppa e la malavita, perora per le colonie alpine, strepita contro la sempre crescente delinquenza dei minorenni ecc, ecc.; ma, sceso di pulpito ci serve caldo caldo i particolari più lubrici dell’adulterio; riempie le pagine del fattaccio; corre in traccia d’una sgualdrina della più bassa sfera, protagonista d’un dramma passionale, per averne la fotografia da riprodurre nel giornale signorile, intellettuale, insieme con quella del ladro, del magnaccia più laido! Rideccolo; torna in pulpito il Missionario, e sciorina un bel discorso contro la mania suicida; poi, per il primo ragazzaccio, magari di 15 anni, che ha preso a coltellate la madre perchè lo ha dolcemente rimproverato, e quindi si suicida; per la prima civettina a cui il babbo ha detto di troncare la tresca, con uno scavezzacollo, e che per fare dispetto al babbo eroicamente s’impicca; esso, il Missionario, cava fuori il vecchio bagaglio dei fiori retorici per spargerli, tra le lagrime dei piccoli teppisti, delle civettine novelle, ma promettenti, su le giovani salme pallide, esangui, strappatesi così violentemente ai sorrisi della vita, alle carezze dell’amore, per dormire per sempre sotto la terra fredda, mentre le stelle.... Acci....dempoli!

Senz’accorgermene infilzavo giù le frasi solite con cui finiscono i pistolotti su i suicidi delle ragazze, e che forse il reporter scrive ridendo come un matto, fumando, e che le sartine leggono coi luccioloni agli occhi, e pensando tra sè e sè.... anch’io forse un giorno!... Ma che [p. 45 modifica]prendere? pasticche di sublimato, o un soldo di capocchie di fiammiferi sciolte nell’acqua!.... La corda no, si è troppo brutte impiccate!

Non è molto, a proposito del processo del prete Adorni, mi pare, un lettore scriveva alla Tribuna, lamentando il solito lurido resoconto dei giornali; e la Tribuna gli dava pienamente ragione, si capisce, ma ripeteva anch’essa la solita falsa asserzione, che il pubblico vuol così, e concludeva affettando, mi pare, un olimpico disprezzo per il signor pubblico, con queste testuali parole: «Ogni pubblico ha il giornale che si merita». Dato e non concesso che sia così, che figura ci fa allora la solita e sullodata Missione educatrice? Non ha essa appunto, secondo la sua altosonante proclamazione, il dovere preciso di educarlo opponendosi strenuamente alle sue volgari tendenze? O che la santa? missione della stampa deve limitarsi soltanto a difendere, sostenere le prepotenze d’un partito politico, le cretinerie d’un governo, le disonestà patenti di qualche ministro, gl’intrighi di qualche poco o punto Onorevole?

Ah Missionari! Missionari!... Per qualche cosa dei missionari me ne fido sempre poco io! Nel più dei casi, si tratta di Cicero pro domo sua. La mia fiducia in essi, nella loro opera, la mia venerazione è quando so che, per una bella e santa idea, sono stati..., massacrati, e magari messi arrosto e mangiati da qualche cannibale!

Animo, Giornalisti missionari, cuore del mio cuore, fatevi martiri anche voi d’un’idea bella e santa.... Non dico già che vi facciate massacrare, o arrostire.... — io già preferirei un quarto di pollo arrosto con insalata fresca! — vi chiedo soltanto che rinunziate per essa idea al luridume della cronaca del male, al triviale plauso della canaglia, perchè in qualunque veste, in qualunque condizione, di qualunque fede politica, chi s’ingrufola beato nella lettura di certi stomachevoli resoconti, non può esser che canaglia!

Gli amministratori non temano di perdere il soldino dei teppisti, delle sgualdrine da trivio; la finezza, il brio, tutta l’amabilità, la graziosità del bello e del buono, ciò che di alto, di confortante ha la vita, reso nelle pagine del giornale con la freschezza d’una penna gentile ed agile vi porterà il soldo di tante famiglie che ora temono di portare in casa, col giornale, del fango che insozzi l’anima delle signore veramente per bene, della giovinezza per la quale non temerà più il contagio di questi microbi del male, che s’annidano in certa cronaca.

Volete continuare ad essere cooperatori indiretti del suicidio e del delitto? come ha dimostrato il signor C. I. D. nel suo articolo splendido perchè basato sulla scienza.

Un’azione concorde dei Direttori potrebbe operare il prodigio. Non ci diano il giornale noioso, piagnucoloso; non ci facciano prediche per carità: io vorrei tutti i giornali briosi, vivaci per conoscervi la storia della vita quotidiana, ma giocondamente, come si studia con un buon amico che sorrida sempre anche nello spiegarci le cose più serie.

Il giornale dev’essere un fiore del bene, perchè ci può far conoscere anche il male che c’è nella vita per farcene astenere; non sia, come adesso, un fiore del male dando la parte più importante, più ampia, e più minuziosamente svolta a ciò che di più turpe ha la vita. Le morbosità, le mostruosità della carne ci hanno ormai nauseati tutti; ne siamo stufi! La fiera requisitoria del signor C. I. D. — che, almeno come una pagina dell’Igiene dello spirito, tutti i giornali dovrebbero riportare — mette veramente le cose a posto. Per quanto il giornalismo oggi ha di più triviale, di più nauseabondo, essa non fa più questione di galateo, ma di coscienza; rivolgendosi ai Giornalisti per invocare che si facciano educatori per mezzo di un’estetica del bene — molto più efficace della povera estetica nuda e cruda invocata con tanta poca avvedutezza dal ministro Credaro, — e perchè cessino, tutti d’accordo, d’essere «agenti provocatori d’immoralità e di violenze», essa si rivolge non più ai gentiluomini ma ai galantuomini! Accetteranno? I Direttori sentiranno la voce non dico della morale — se di questa non vogliono curarsi — ma della scienza, la quale ha dimostrato quale contagio vengano a diffondere nella società?

No? Ebbene allora mi facciano il santo piacere: rinuncino alla Missione, si dimettano da Missionari e scendano di pulpito!




Ricordatevi di comperare il 24.mo fascicolo dell’ENCICLOPEDIA DEI RAGAZZI che uscì nella scorsa settimana.




Soeur Thérèse

Nel pomeriggio del 6 settembre scorso, nel cimitero di Lisieux in Francia, si svolgeva una scena molto curiosa. Alla presenza di un commissario di polizia, del dottor Néele, del Vescovo di Bayeux, del suo Vicario, del Parroco di San Giacomo, di Monsignor de Teil, dei Parroci di Lisieux, di numeroso clero e popolo, si toglieva dalla fossa comune dove era stato inumato, nel 1897, il corpo di una religiosa Carmelitana, per collocarlo in un altro feretro di piombo e altro di abete, in una tomba apposita, dove fosse protetto dalle ingiurie degli agenti dissolvitori che di quel corpo verginale avevano già fatto troppo indegno governo.

Terminata la delicata operazione, Monsignore invitò il Clero ad intonare con lui il salmo così appropriato alla circostanza: Laudate pueri Dominutn; quindi i fedeli presenti furono ammessi a sfilare davanti al feretro ed essi non cessarono di dare i segni più chiari d’una religiosa riverenza; ciascuno faceva toccare a quelle venerate spoglie della giovane Carmelitana, morta a 24 anni in concetto di santità, qualche oggetto; si videro perfino umili operai accostarvi i loro anelli matrimoniali. Sul feretro venne saldata una piastra colla semplice iscrizione: Soeur Thérèse de l’Enfant-Jésus et de la Sainte-Face, Marie Francoise Thérèse Martin 1873-1897.

[p. 46 modifica]A quel sepolcro già glorioso, è un concorso di gente che ogni dì più crescendo aumenta: una fiducia illimitata anima quei nuovi clienti a deporre sulla zolla santificata da Soeur Thérèse le loro pene, le loro speranze.

Appena fu deliberato di istruire il processo di Beatificazione, Monsignor Lemonnier, Vescovo di Bayeux, intuì la necessità di provvedere ad una migliore conservazione dei resti della religiosa di cui parliamo; quindi la esumazione delle sue ossa con una cerimonia patetica, quasi una scena delle Catacombe.

Ma chi era questa Suora Carmelitana che, appena morta, dopo una vita ben corta e seppellita in un Monastero ignorato da tutti, agita e fa convergere l’attenzione di milioni di cattolici sopra di sè?

Ve lo dirà lo splendido volume edito or ora dalla Casa Barbèra di Firenze, dal titolo: Storia di un’Anima — Suor Teresa del Bambino Gesù e del Volto Santo, — fregiato di lettere laudatorie d’insigni Prelati, come il Card. Gotti, Card. Mercier, ecc. ecc., entusiasti d’una visione così nuova, così stupefacente d’una santità facile, naturale, senza pose rigide e bizantine, ma snodata, moderna, tutta sorriso, fiducia, tutta slanci e trasporti di calda affettuosità infantile, ma soprannaturale, verso Dio — documentata però dall’eroismo di sofferenze atroci, portate con una disinvoltura, una gioia spinte all’estremo. Di quella religiosa è detto tutto dal versetto biblico: — in brevi explevit tempora multa.

Quella Storia d’un’Anima fu scritta dalla Serva di Dio, Suor Teresa istessa, per obbedienza alla sua Superiora presaga dell’avvenire. E la santa Carmelitana, colla massima naturalezza, racconta cento piccoli particolari, cento nonnulla — secondo lei — cominciando dai tre anni, quando l’intelligenza sua si destò alla realtà delle cose, su su, fino alla vigilia della sua morte. Di ottimo gusto, di delicato sentire, buona scrittrice, anche letterariamente parlando, attira, interessa, rapisce; la vita di famiglia — ambiente signorile ma fortunatamente santo — è reso con tocchi d’una poesia che fa pensare e trasalire; il sentimento della natura, e in quell’età, il senso del divino, del soprannaturale, in modo così sviluppato da strappare un grido di meraviglia, pur questi sono lì ad infiorare ogni pagina del libro che seduce più d’un romanzo. Tanto è vero che l’originale francese ha già avuto parecchie edizioni; e le domande affannose, rabbiose, quasi di affamati del soprannaturale, fioccano insistenti da cento parti, da molte case religiose e famiglie cristiane, chiedenti a Lisieux agli editori, una copia dell’impareggiabile Storia d’un’Anima, che appena stampata va a ruba in un entusiasmo delirante. Che stranezze! Si spiega il delirio per una stella del teatro, per un’artista di grido, per un celebre predicatore, per un libro d’autore idolatrato, ma per il libro d’una monaca!...

Noi segnaliamo ai nostri lettori, e questo fenomeno, così sintomatico nella vita prosastica dei nostri giorni — unico forse nella storia — ; e questo libro, sicuri che più d’un cuore si aprirà a ideali che soli nobilitano rendono felici anche quaggiù; più d’uno gioirà che tuttodì la nostra terra sia abbellita dal passaggio, per quanto fugace, di angeli in carne.... Non diciamo di più per non compromettere il godimento di cotanta visione, che solo il libro può dare.

Vendibile presso la Lega Eucaristica, Chiesa del Corpus Domini e presso la Casa Editrice L. F. Cogliati, Corso P. Romana, 17, in edizione di gran lusso, illustrata, di pp. 535 — Prezzo L. 4.