Il Tesoro (Latini)/Illustrazioni al Libro I/Capitolo VII
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Traduzione dalla lingua d'oïl di Bono Giamboni (XIII secolo)
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Capitolo VII.
Questa distinzione secondo Aristotele, che è altresì nel capitolo VI, di creature immediatamente create da Dio, e di creature formate da esse: poi, della perpetuità, o immortalità delle prime, e non delle seconde, come insegnerà nel capitolo VIII, è identica in Dante.
Tu dici: Io veggo l’aere, io veggo il foco,
L’acqua, e la terra, e tutte lor misture
Venir a corruzione, e durar poco:
E queste cose pur fur creature;
Perchè, se ciò che ho detto è stato vero,
Esser dovrian da corruzion secure.
Gli angeli, frate, e il paese sincero
Nel qual tu se’, dir si posson creati,
Sì come sono, in loro essere intero;
Ma gli elementi che tu hai nomati,
E quelle cose che di lor si fanno,
Da creata virtù sono informati.
Creata fu la materia ch’egli hanno,
Creata fu la virtù informante
In queste stelle che intorno a lor vanno.
L’anima d’ogni bruto, e delle piante,
Di complession potenziata tira
Lo raggio e il moto delle luci sante.
Ma nostra vita senza mezzo spira
La somma beninanza, e la innamora
Di sè, sì che poi sempre la disira (Par. VII).
Con questa dottrina sono commentati anche i versi:
Innanzi a me non fur cose create
Se non eterne, ed io eterno duro (Inf. III).
Chiamavi il cielo, e intorno vi si gira,
Mostrandovi le sue bellezze eterne (Purg. XIV).
Trivïa vide tra le ninfe eterne
Che dipingono il ciel per tutti i seni (Par. XXIII).
La divina Bontà, che da sè sperne
Ogni livore, ardendo in sè sfavilla,
Sì che dispiega le bellezze eterne.
Ciò che da lei senza mezzo distilla,
Non ha poi fine, perchè non si muove
La sua imprenta, quand’ella sigilla.
Ciò che da essa senza mezzo piove,
Libero è tutto, perchè non soggiace
Alla virtute delle cose nuove (Par. VII).